Provate ad immaginare di essere un sacerdote di Eboli e di ritrovarvi nella Cina del XVIII secolo a convertire i funzionari dell’imperatore, i cosiddetti “mandarini”, una delle classi più erudite della Cina e del Mondo intero. Per arrivare lì dov’erano, infatti, dovevano superare degli estenuanti esami di Stato, basati tutti sul merito, molto complessi e incentrati su diverse arti e saperi.
Ebbene, questa non è immaginazione, ma pura realtà. Il sacerdote si chiama Matteo Ripa e ogni volta che passiamo dinnanzi a Palazzo Giusso o a Palazzo Corigliano, sedi dell’Università di Napoli “L’Orientale”, ricordiamoci che è grazie a lui che questa prestigiosa università esiste.
Ma facciamo un passo indietro. Chi era Matteo Ripa?
Nato in Eboli nel 1682 da una nobile famiglia di Giffoni, casale Prepezzano, da Giovan Filippo Ripa, barone di Pianchetelle e medico, e da Antonia Longo, il giovane Matteo trascorse i primi anni della sua infanzia con i fratelli Tommaso, Diego e Lorenzo. Nonostante possedesse un’innata propensione per l’arte, era stato indirizzato dalla famiglia verso una carriera in avvocatura, ma era un altro il suo destino. In quegli anni il Regno di Napoli, come del resto l’Europa intera, fu interessato da una fervida attività missionaria e Matteo non fece eccezione, così decise di entrare nella Congregazione dei preti secolari missionari. Fu proprio questo l’inizio della sua svolta. Durante il suo soggiorno-studio a Roma, venne a contatto con il cosiddetto problema dei “Riti cinesi”, ovvero i criteri liturgici che caratterizzavano l’azione dei Gesuiti che in Cina conducevano la loro azione e che furono condannati dalla Santa Sede nel 1704.
I gesuiti e l’evangelizzazione in Asia
Occorre ricordare che i Gesuiti compirono una importantissima opera di evangelizzazione in Asia Orientale, dove per raggiungere l’obiettivo della conversione utilizzarono metodi anche un po’ “sopra le righe” per gli standard cattolici dell’epoca, arrivando ad assimilare anche usi e costumi locali pur di raggiungere il rispetto necessario a compiere l’opera di evangelizzazione anche nelle più alte sfere della società autoctona. Ad esempio, in Cina i seguaci della Compagnia di Gesù si vestivano, si comportavano e parlavano come i “mandarini”, proprio perché considerata la classe rispettata dalla società cinese. Questo fece ottenere loro un grandissimo successo, che però non piacque molto ad altri ordini che non facevano uso di metodi così poco ortodossi. Il culmine si raggiunse quando i Gesuiti si inchinarono dinanzi all’imperatore e a nulla servì la giustificazione che quello era solo un semplice costume “civile” che niente aveva a che fare con la sfera religiosa. Per questa ragione fu inviata una Legazione in Cina da parte di Papa Clemente XI, sotto la guida di Carlo Tommaso Maillard de Tournon (1705-06).
E fu proprio nell’ottobre 1707, che Matteo Ripa, due anni dopo essere stato ordinato sacerdote dall’Arcivescovo di Salerno, fu chiamato a far parte del gruppo di missionari incaricati di portare al Legato Papale Tournon la nomina a Cardinale, appena decisa da un Concistoro del 1º agosto precedente. Insieme a lui partirono gli italiani Gennaro Amodei, Giuseppe Cerù, Domenico Perroni e il francese Guglielmo Fabre-Bonjour, imbarcati su una nave inglese in partenza da Londra il 6 aprile 1708, su cui i missionari viaggiarono senza palesare la propria identità di religiosi cattolici.
L’arrivo di Matteo Ripa in Cina
Dopo un lungo ed estenuante viaggio, nei primi giorni di gennaio 1710 i missionari giunsero a Macao, dove incontrarono finalmente il Legato Tournon, che nel frattempo aveva tristemente concluso la sua Legazione ed era stato messo in domicilio coatto sotto la guardia dei portoghesi, e gli consegnarono ufficialmente la berretta cardinalizia. Poco dopo la morte del Legato, avvenuta l’8 giugno di quell’anno, Ripa fu chiamato alla Corte dell’Imperatore Kangxi (della Dinastia Qing, di origini mancesi), dove rimase per circa tredici anni, dal febbraio 1711 al novembre 1723, lavorando in qualità di pittore e incisore su rame al servizio dell’Imperatore stesso.
Un vero e proprio onore per uno straniero. Molte furono le opere realizzate dal sacerdote ebolitano, anche con non poche difficoltà vista la scarsa reperibilità di materie prime necessarie per le stampe occidentali e la mancanza della strumentazione per i calchi in stile portoghese.
Ma Ripa non divenne di certo celebre per la sua abilità nelle arti visive. Dopo aver tentato, invano, di aprire una scuola a Pechino per l’educazione di giovani cinesi, cui affidare il compito di diffondere il Cristianesimo tra i loro connazionali, nel novembre 1723 decise di ripartire per l’Italia per realizzare il desidero che lo aveva animato per tutta la sua vita: il Collegio dei Cinesi di Napoli. Condusse così con sé quattro giovani cinesi, i cui nomi erano Giovanni Guo (ca. 1700-1763), Giovanni Yin (ca. 1704-1735), Philipo Huang (ca. 1711-1776), e Lucio Wu (ca. 1712-1763), insieme a un loro connazionale più adulto che era maestro di lingua e scrittura mandarina, con l’intento di dar loro una formazione religiosa adeguata.
La nascita del Collegio dei Cinesi
Al suo ritorno in Italia, nel novembre 1724, questo gruppo costituì il primo nucleo del Collegio dei Cinesi che fu riconosciuto da papa Clemente XII, a partire del 7 aprile 1732. Negli anni trenta Ripa fu consulente di Propaganda Fide (la Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli) nella lunga fase istruttoria di elaborazione di quella che sarà poi nel 1742 la Bolla Ex Quo Singulari con cui Benedetto XIV chiuse definitivamente la questione dei Riti Cinesi.
Matteo Ripa si spense il 29 marzo del 1746, a 64 anni, ma con lui non si spense la sua più grande creatura che dopo secoli perdura ancora e continua ad insegnare, non solo il cinese, ma altre 37 lingue straniere a ragazzi napoletani e provenienti da tutta Italia e non solo. Il Collegio dei Cinesi si proponeva la formazione religiosa e l’ordinazione sacerdotale di giovani cinesi convertiti, destinati a propagare il cattolicesimo nel loro paese. Tra gli scopi del Collegio era prevista in origine anche la formazione di interpreti, esperti nelle lingue dell’India e della Cina, al servizio della Compagnia di Ostenda, costituita nei Paesi Bassi con il favore dell’imperatore Carlo VI d’Asburgo, per stabilire rapporti commerciali tra i paesi dell’Estremo Oriente e l’Impero asburgico, nel cui ambito rientrava il Regno di Napoli.
L’istituto fondato dal Ripa non ha eguali nel mondo: è la prima istituzione formalmente riconosciuta in cui era possibile studiare la lingua e la cultura cinese al di fuori del continente asiatico. Questo consentì di creare anche delle relazioni, ancora oggi saldissime, tra la città di Napoli (e l’allora Regno) e la Cina e di generare un proficuo legame scientifico tra gli studiosi cinesi e quelli partenopei. Ciò che Matteo Ripa ha realizzato è la creazione di un vero e proprio dialogo tra culture diversissime.
Il Collegio dei Cinesi, oggi “L’Orientale”, non è solo un istituto scolastico, ma un vero e proprio manifesto che ci ricorda come la cultura possa andare ben oltre la politica, anche nell’ambito delle relazioni internazionali e diplomatiche; e di come un sacerdote ebolitano abbia reso realtà ciò che per secoli Imperatori cinesi e Papi non sono riusciti a realizzare, grazie semplicemente all’amore per la cultura e l’arte.
-Giovanni De Palma
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