Il 19 marzo 1994, giorno del suo onomastico, alle 7:20 del mattino, venne ucciso don Peppe Diana. Sacerdote “scomodo” di Casal di Principe, dedicò la vita e l’impegno pastorale alla lotta per contrastare l’illegalità, smodatezza, privilegio, assassinio della speranza nel futuro.
Le sue non erano prediche vaghe o sollecitazioni adatte per ogni circostanza; all’opposto, erano ragionamenti ricchi di esempi concreti, di nomi e cognomi, di denunce morali e politiche. Non aveva nulla a che spartire con quella parte della Chiesa che benediceva le feste della camorra, frequentava corrotti e collusi, arrivando persino a negare l’esistenza stessa delle mafie
Don Peppe Diana era della stessa pasta dei don Pino Puglisi o dell’arcivescovo Carlos Romero, ammazzato sull’altare perché aveva scelto di stare dalla parte degli ultimi, accanto ai quali combatteva per eliminare emarginazione e sfruttamento.
Gli inizi: dagli studi ingegneristici al sacerdozio
Giuseppe Diana (poi per tutti solo don Peppe) nasce a Casal di Principe, un paese in provincia di Caserta, il 4 luglio 1958 da Gennaro e Iolanda Di Tella, primogenito di tre figli, con Emilio e Marisa. Dopo gli studi elementari presso la scuola delle suore di Sant’Anna, persuaso dagli insegnanti, nel 1968 entra nel seminario vescovile di Aversa, dove consegue la licenza media e liceale; durante questo tempo si profila il suo carattere e la sua indole: simpatico, esuberante, estroverso e brillante nello studio.
Dopo la maturità classica conseguita nel 1976, entra nell’Alma Collegio Capranica di Roma per seguire i corsi di filosofia e teologia nella prestigiosa Pontificia Facoltà Gregoriana, ma la separazione dai suoi affetti e l’austerità e severità di quell’ambiente fanno ricredere e mutare opinione. Decide così di tornare a Napoli dalla sua famiglia, e soprattutto abbandona la strada del sacerdozio iscrivendosi alla facoltà di Ingegneria di Napoli.
Il suo animo insofferente e docile, però, lo fa ancora dubitare, tanto che dopo alcuni mesi sente di nuovo il desiderio di tornare in seminario, questa volta assolutamente convinto di seguire la vocazione sacerdotale. Nel 1977, dopo svariate conversazioni con l’allora vescovo di Aversa, Antonio Cece, entra nel Pontificio Seminario Campano e frequenta la sezione San Luigi della facoltà teologica di Napoli; consegue il baccalaureato in Teologia nel 1981, mentre concluderà gli esami per la licenza in Teologia Biblica nel 1989. Nel 1985, frattanto, consegue anche la laurea in Storia e Filosofia presso l’Università di Napoli.
Il 25 aprile del 1981 viene ordinato diacono ed il 30 ottobre dello stesso anno consegue il Baccellierato Canonico in Teologia con il massimo dei voti. Viene ordinato sacerdote l’anno successivo, il 14 marzo 1982, dal vescovo di Aversa, Giovanni Gazza; diventerà anche il suo segretario dopo l’assegnazione, il 19 settembre 1989, della parrocchia di San Nicola di Bari, a Casal di Principe.
“Per amore del mio popolo non tacerò“: il manifesto contro la camorra
Molteplici sono le esperienze ecclesiali e le attività promosse in quel periodo da don Peppe Diana: dai gruppi di Azione Cattolica a quelli sportivi, dall’accoglienza ai migranti al recupero dei ragazzi in difficoltà.
A Natale del 1991 don Peppe Diana (principale promotore) e i parroci della forania (il distretto di una diocesi che raggruppa un certo numero di parrocchie) di Casal di Principe trasmettono ai loro fedeli un documento di grande impatto simbolico e pastorale, “Per amore del mio popolo non tacerò” (qui il testo integrale). La dichiarazione rappresenta il suo testamento spirituale, in essa egli richiama il ruolo profetico della Chiesa nella lotta alla camorra e propone anche vari incontri nelle scuole.
Questa comunicazione ebbe un impatto dirompente, fu una provocazione con il passato, anche dentro la chiesa, scuoteva le coscienze, lì, nella terra dei fuochi. Un manifesto che decretò, però, la condanna a morte di don Peppe; tra l’altro i suoi atti e il suo comportamento diventarono sempre più oppositivi alla malavita.
L’assassinio
19 marzo 1994. Don Peppe Diana, intorno alle 7 di mattino, va al bar vicino alla chiesa, dove lo aspettano i suoi amici per festeggiare il suo onomastico; la messa del mattino è alle 07:30. Poi va in chiesa, per la celebrazione ci sono già alcuni fedeli che lo aspettano. Va verso l’altare in un breve e buio corridoio si trova di fronte a un uomo. “Chi è don Peppino?” “Sono io”. Quattro, cinque colpi. Il clan dei casalesi uccide per la prima volta un sacerdote. Aveva trentasei anni.
“Don Peppe Diana era un camorrista”, titolò il “Corriere di Caserta”. Pochi giorni dopo un altro titolo diffamatorio: “Don Diana a letto con due donne”. La delazione, così come per altri casi, è sempre stata una pratica esercitata con frequenza dalle mafie e dai loro affiliati.
Però i sindaci campani, per tutta risposta, scesero in piazza e sfilarono in silenzio per le vie del paese: il più grande corteo contro la camorra mai organizzato a Casal di Principe. “Don Giuseppe Diana ha condiviso con il sangue e il sacrificio di Cristo Redentore”, commenterà invece Giovanni Paolo II dopo aver appreso il triste fatto.
Augusto di Meo, fotografo e amico di don Peppe Diana, che è stato il testimone chiave nel processo insieme al sagrestano per far arrestare e condannare l’assassino di don Diana, Giuseppe Quadrano, killer del cartello De Falco-Caterino, all’epoca in guerra contro i clan Schiavone-Bidognetti, ha raccontato diversi retroscena.
Ha riferito, tra l’altro, che il 16 marzo venne ammazzato lo zio di Quadrano, Giliberto Cecora, e Don Peppe non officiò la cerimonia solenne in chiesa. Il giorno seguente, il figlio del defunto Cecora, Armando, ebbe un violento diverbio con don Peppino perchè si sentiva “discriminato”. Il 19 marzo la vendetta di Quadrano.
La Corte di Cassazione, il 4 marzo 2004, condanna Giuseppe Quadrano a 14 anni quale esecutore materiale, confermando la condanna all’ergastolo per Mario Santoro e Francesco Piacenti che avrebbero svolto un ruolo attivo nella realizzazione della trama omicidiaria. Il movente è rimasto incerto, ma rimane chiara la matrice mafiosa del delitto.
Nel ricordo di don Peppe Diana
Nel luglio del 2012 a don Peppe Diana è stata intitolata la sala consiliare del comune di Casal di Principe, mentre il 19 marzo 2015, in occasione del ventunesimo anniversario della sua uccisione, il vescovo di Aversa Angelo Spinillo dichiarò in un’intervista che sarebbe stato avviato il processo per la beatificazione di don Diana a seguito della petizione presentata dalla AGESCI e dal comitato “Don Peppe Diana”.
A più di vent’anni dalla morte il suo ricordo non scompare, a cominciare dalla memoria che ne serba la sua famiglia. Emilio, fratello di don Peppe, per esempio, si è fatto tramite dei sentimenti della famiglia rilasciando una sofferta intervista a “Famiglia Cristiana”: non senza una punta di amarezza disse, tra l’altro, che “il dolore rimane ma è un conforto sapere che quel sacrificio non è stato vano: tante cose sono cambiate in meglio da allora. Ma lo Stato dovrebbe esserci di più”.
Il 21 marzo 2014, nella chiesa di San Gregorio XVI a Roma, Papa Francesco e don Luigi Ciotti hanno presieduto all’incontro con i partecipanti alla veglia di preghiera promossa dalla fondazione Libera nella ricorrenza della XIX giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. Una folla di fedeli si riunì davanti alla chiesa con la presenza di circa 900 familiari delle vittime, in rappresentanza delle oltre 15.000 persone che hanno fino ad oggi perso un loro caro per mano della violenza criminale.
Il Papa si rivolse in quell’occasione ai mafiosi con parole chiare: “il vostro potere è insanguinato; per favore, ve lo chiedo in ginocchio, convertitevi e non fate più il male”. Per impartire la benedizione finale scelse in quell’occasione di indossare una stola speciale e simbolica: era la stola di don Peppe Diana.
Fonti
“Storia irriverente di eroi, santi e tiranni di Napoli” – Giovanni Liccardo
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