La ginestra” è uno degli ultimi componimenti di Giacomo Leopardi, insieme al “Tramonto della luna“, composto nel 1836 a Villa Ferrigni (meglio conosciuta come Villa delle Ginestre).

Il poeta di Recanati risiedette nell’abitazione di Torre del Greco a partire dal 1836, per sfuggire all’epidemia di colera che incombeva nel capoluogo campano. Infatti, già a partire dal 1833 Napoli aveva accolto Giacomo Leopardi, il quale aveva deciso di lasciare Firenze in compagnia dell’amico e intellettuale partenopeo Antonio Ranieri.

La ginestra“, poesia di sette strofe libere di endecasillabi e settenari, è una profonda riflessione sulla vera condizione dell’uomo in terra, ma nasconde anche il sincero legame fra Leopardi e la terra napoletana.

La Ginestra

La ginestra: il fiore del deserto

Fin dai primi versi, Leopardi stimola l’immaginazione visiva del lettore descrivendo il desolato paesaggio alle pendici del Vesuvio, dove cresce il fiore che dà il titolo alla poesia.

Qui su l’arida schiena
del formidabil monte
sterminator Vesevo,
la qual null’altro allegra arbor né fiore,
tuoi cespi solitari intorno spargi,
odorata ginestra,
contenta dei deserti. 

LA GINESTRA- VV. 1-6

Leopardi ricorda, poi, le città che abitavano le pendici dello “Sterminator Vesevo” prima che fossero distrutte dall’eruzione del 79 d.C. (Pompei, Ercolano, Stabia). Non resta più nulla della prosperità del passato, la desolazione regna sovrana. Unicamente la timida ginestra sopravvive ed emana un dolce profumo che allevia la tristezza che il luogo solitario trasmette.

Fur città famose,
che coi torrenti suoi l’altèro monte
dall’ignea bocca fulminando oppresse
con gli abitanti insieme. Or tutto intorno
una ruina involve,
ove tu siedi, o fior gentile, e quasi
i danni altrui commiserando, al cielo
di dolcissimo odor mandi un profumo,
che il deserto consola.

LA GINESTRA – VV. 29-37

 

Il ricordo dell’eruzione del 79 d.C. abbonda anche nelle strofe successive. Infatti, a partire dal verso 237, Leopardi paragona la condizione di un contadino che vive alle pendici del Vesuvio e che teme sempre una nuova eruzione con il ricordo di quella famosa del 79 d.C. Quest’ultima è testimoniata dai ruderi delle città distrutte, i quali, al tempo del poeta, erano stati da poco riportati alla luce. Il Vesuvio, agli occhi di Leopardi, è immobile e sempre uguale a sé stesso, così come la natura: giovane, vigorosa e incurante delle vicende umane.

Ben mille ed ottocento
anni varcâr poi che sparîro, oppressi
dall’ignea forza, i popolati seggi,
e il villanello intento
ai vigneti, che a stento in questi campi
nutre la morta zolla e incenerita,
ancor leva lo sguardo
sospettoso alla vetta
fatal, che nulla mai fatta piú mite
ancor siede tremenda, ancor minaccia
a lui strage ed ai figli ed agli averi
lor poverelli. 

LA GINESTRA- VV. 237-248

La riflessione leopardiana

Nei versi de “La ginestra“, Leopardi sostiene una delle tesi fondamentali del suo pensiero: quella secondo cui la natura non agisce per fare del bene o del male all’uomo, ma è a lui del tutto indifferente. Essa non si accorge dei vorticosi mutamenti che caratterizzano l’umanità, eppure quest’ultima continua illusoriamente a credersi al centro dell’universo e causa/effetto delle vicende della natura.

Caggiono i regni intanto,
passan genti e linguaggi: ella nol vede:
e l’uom d’eternitá s’arroga il vanto.

LA GINESTRA- VV. 294-296

Nel pensiero leopardiano, l’uomo dovrebbe accettare il fatto che la natura non agisce in funzione della vita umana. Una qualsiasi calamità naturale non è dovuta alla volontà di punire l’uomo, né tantomeno un fenomeno positivo a premiarlo. La natura agisce per sé, non curandosi della presenza dell’uomo sulla Terra.

La ginestra rappresenta simbolicamente la volontà di sopravvivenza del genere umano alla prova delle avversità naturali. L’uomo crede che la natura si accanisca talvolta contro di lui, e vuole resisterle con tutte le proprie forze.

E tu, lenta ginestra,
che di selve odorate queste campagne dispogliate adorni,
anche tu presto alla crudel possanza
soccomberai del sotterraneo foco,
che ritornando al loco
giá noto, stenderá l’avaro lembo
su tue molli foreste. E piegherai
sotto il fascio mortal non renitente
il tuo capo innocente:
ma non piegato insino allora indarno
codardamente supplicando innanzi
al futuro oppressor

LA GINESTRA- VV. 297-317

La ginestra solleva il capo contro “l’oppressore”, il Vesuvio pronto a esplodere. Allo stesso modo, gli uomini si illudono di poter lottare e respingere le azioni della natura e di essere perciò immortali e invincibili.

Dall’altra parte, il fiore sa che sarà destinato a soccombere non appena la lava arriverà a coprirla, e lo accetterà, a differenza dell’uomo, senza la presunzione e l’orgoglio di essere immortale e di dominare la natura. Leopardi capisce che toccherà anche all’uomo arrendersi alle forze naturali e accettare di essere un ospite all’interno di un mondo che non può e non potrà mai governare. Il corso naturale degli eventi non può essere guidato dall’umanità.

La vista del Vesuvio dalla villa di Torre del Greco in cui Leopardi visse per gli ultimi mesi della sua vita, ispirò questo componimento che resta fra i suoi più celebri. La ginestra fu uno dei testi che contribuì a rendere la fama leopardiana eterna, e il suo destino per sempre legato alle radici campane.

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