Noi popoli del Sud siamo figli di una storia che ci ha messo in contatto con tanti popoli e tante culture lontane.
Non c’è da meravigliarsi allora che alcuni tra i più grandi elementi della tradizione abbiano le loro origini in terra straniera.
E’ anche questa la storia dei crocchè di patate, un piatto che accomuna la cucina napoletana e quella palermitana.
Con il termine crocchè, si intende una sorta di polpetta di patate e uova, gratinata e fritta.
A Napoli sono chiamati anche “panzarotti”, forse per via della loro forma panciuta: una “panza” morbida e saporita. Venivano venduti nelle strade del centro storico, da un “panzerottaro” che al momento buttava l’impasto già preparato nella pentola d’olio bollente per cuocerlo e dorarlo.
Questi attirava i passanti gridando “Fa marenna, fa marenna! Te ne magne ciento dint’ ‘a nu sciuscio ‘e viento”, tradotto “Fai merenda, fai merenda! Te ne mangi cento in un soffio di vento”.
E da qui sono entrati nello street food napoletano, l’elemento fondamentale del così detto “cuoppo”.
Ma da dove arrivano?
Le tendenze sono diverse.
Da un lato si dice che i crocchè trovino la sua origine nelle croquettes di patate della Francia del XVIII secolo.
Ma si trattava di un cibo gustato a corte, a tavola.
Le prime ricette scritte del crocchè di patate risalirebbero infatti a un trattato del 1798, in particolare “Il Trattato delle patate ad uso di cibo” di Antoine Augusten Parmentier, nutrizionista alla corte di Luigi XVI. Nel trattato si voleva rivalorizzare l’uso del tubero, allora considerato un cibo estremamente povero da dare in pasto ad animali o mangiare in periodo di carestia.
In esso vengono riportate anche due ricette simili al crocchè per la nobilitare le patate: le patate in bignè e le supresse di patate, entrambe arricchite con grasso animale, elemento che poi si è perso nella ricetta tradizionale.
Dall’altro lato si dice che i crocchè abbiano natali spagnoli, e che siano giunti qui in Italia durante la dominazione spagnola nel Regno delle due Sicilie.
Sarebbero la versione povera delle “croquetas de jamon” (“prosciutto”).
Infatti nelle case più umili si pensò di utilizzare al posto del latte, prosciutto e uova della cucina iberica un elemento povero: le patate, accompagnate da sale, pepe e prezzemolo.
Tutti gli altri elementi quali uova, parmigiano per amalgamare, pan grattato per impanare, fior di latte, sono successivi.
A Palermo sono chiamati “cazzilli”, e alla tradizione siciliana dobbiamo anche i famosi “crocchè al latte” caratterizzati da un ripieno morbido di formaggio, latte e farina, insaporito da noce moscata e prezzemolo.
Vi lasciamo la ricetta, a cura di Giallozafferano.
Lidia Vitale
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