“Fate presto” di Andy Warhol: quando la terra trema e l’arte chiede aiuto
“Napoli, come New York, è una città che cade a pezzi e nonostante tutto la gente è felice, come quella di New York”
È il 1975 l’anno in cui ha inizio un legame che attraversa l’oceano, quello tra Andy Warhol e la città della contraddizione.
L’artista americano viene ospitato per tre giorni dall’amico Lucio Amelio, noto gallerista napoletano che gli dà l’opportunità di venire a contatto per la prima volta con la cultura partenopea.
È in quest’occasione che Warhol trova una sorprendente similititudine tra Napoli e New York: entrambe gli appaiono come “due caldaie, due ribollitori di energia pronti a esplodere”.
E infatti Napoli esploderà solo pochi anni dopo.
La notte del 23 novembre 1980 la terra trema: un devastante terremoto sconvolge il territorio campano, causando crolli, feriti e morti.
La notizia corre sui quotidiani, si diffonde lontano, arriva dall’altra parte del mondo, dove scuote i sentimenti di un artista tanto legato a questa terra.
Lucio Amelio raggiunge la Factory, lo studio newyorkese di Andy Warhol, portando con sé le copie di molti giornali che hanno divulgato la voce della catastrofe nei giorni precedenti. Il suo obiettivo è quello di realizzare una collezione di opere d’arte in memoria della tragedia napoletana e chiede subito al collega di parteciparvi.
Così Warhorl scruta tra quelle stampe in bianco e nero, tra le esclamazioni in grassetto e i mille insoliti tentativi di enfatizzare l’accaduto; individua un’espressione sulla prima pagina de “Il Mattino” adoperata dal giornalista Roberto Ciuni.
“Fate presto”: una richiesta di intervento, tanto essenziale quanto autentica, di un popolo che vive in una disperata situazione di emergenza per edifici e persone.
L’artista americano realizza un gigantesco trittico che mostra la prima pagina de “Il Mattino” anche in versione bianco su bianco e nero su nero, per dar maggior rilievo alla brutalità dell’evento. Ancora una volta Warhol si mostra in grado di trasformare la quotidianità in arte e renderla capace di diffondere un messaggio oltre qualsiasi confine.
L’opera ha un successo tale da divenire il manifesto dell’intera collezione di Lucio Amelio, che viene poi intitolata “Terrae Motus”: raccolta considerata, come lo stesso gallerista afferma, “una macchina per creare un terremoto continuo”, dunque uno strumento capace di sconvolgere in eterno l’osservatore che, turbato e al contempo disarmato, si trova al cospetto di una tragedia imprevedibile.
D’altronde era questo l’effetto che da sempre terremoti e altre “catastrofi cieche e ingovernabili” avevano nell’animo di Warhol. Ne era inspiegabilmente tormentato e affascinato, tant’è che spesso torneranno protagoniste delle sue tele (“Vesuvius” è tra le sue opere più note).
“Fate presto” oggi è esposto a Caserta, testimonianza di una tragedia e disperata richiesta di aiuto, ma anche simbolo di rivalsa. Perché l’arte non rimane mai muta, ma parla, grida, controbatte, risponde alla distruzione con la creazione.
Perché l’arte è capace di rispondere alla morte sempre con la vita.
Laura d’Avossa
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