Il tempo consuma, logora, ma spesso la terra conserva in sé i suoi doni più preziosi, imponenti strutture architettoniche, come la Villa di Poppea, mangiate dalla lava senza essere distrutte, destinate a rinascere in epoche diverse, a rivedere la luce dopo secoli ed essere ammirati sotto gli occhi affascinati di spettatori a noi contemporanei.
È quello che accadde nel XVIII secolo, nell’attuale zona di Torre Annunziata, quando iniziarono gli scavi di Oplontis, zona suburbana di Pompei, vittima anch’essa della tragedia del ‘79.
Il ritrovamento della Villa di Poppea
Nel 1964 venne ritrovata una villa maestosa, ricca di affreschi e statue marmoree. Tra i cimeli e le reliquie presenti, risalenti al I secolo a. C., fu trovata un’anfora con un’iscrizione indirizzata a Secundus, liberto di Poppea.
Fu la prova che in quelle sale affrescate, circondata dal lusso e dallo sfarzo, la seconda moglie di Nerone, l’imperatrice Poppea, si ingioiellava, trascorrendo ore davanti allo specchio ad ammirare la propria immagine.
Donna affascinante, astuta e probabilmente istigatrice e complice dei numerosi delitti che macchiarono il regno di Nerone, era solita coprire solo una parte del proprio viso con un velo, in modo che gli uomini incontrati sul proprio cammino potessero essere desiderosi di scoprirlo per ammirarne il viso per intero.
L’aspetto principesco e ostentato della villa riflette così la vanità della padrona di casa. Le decorazioni pittoriche, caratteristiche dell’architettura reale, creano intriganti giochi prospettici. Porte, colonne e tappeti sono dipinti su pareti creando sorprendenti effetti ottici e inducendo così il visitatore costantemente a interrogarsi se quelle forme viste da lontano siano strutture reali o semplici raffigurazioni.
Si tratta della tecnica pittorica trompe l’oeil, volta proprio a creare l’illusione di oggetti tridimensionali attraverso l’uso della prospettiva.
Simbolo di orgoglio e vanità per eccellenza, il pavone compare tra gli affreschi della villa, insieme a maschere teatrali, frutta, mosaici dai motivi geometrici.
Così Poppea, amante del lusso sfrenato, si circondava di bellezza, senza badare agli eccessi. Amava, inoltre, prendersi cura del proprio corpo: ungeva il viso di creme ed era solita farsi il bagno nel latte di asina, ideale per idratare e purificare la pelle. Non a caso, nella zona est della villa è presente un piccolo complesso termale circondato da un giardino fiorito e affrescato con scene del mito di Ercole nel giardino delle Esperidi. Ma non solo: fa parte della struttura anche una grande piscina, di dimensioni paragonabili a quelle delle vasche olimpioniche attuali.
Tuttavia, nonostante la villa fosse un possedimento reale destinato all’otium, non mancano le zone destinate alla produttività. Infatti sono stati riconosciuti ambienti destinati alla pigiatura d’uva per la produzione di vino.
Probabilmente Oplontis non fu solo la culla del fascino dell’imperatrice, ma anche la sua macabra tomba.
Secondo alcune fonti, infatti, Poppea fu uccisa quando era in stato di gravidanza dal marito con un calcio nel ventre. Tacito, invece, sostiene che la sua morte fosse dovuta a un problema di gravidanza. Altri ancora affermano che la donna, ripudiata dal marito intenzionato a sposare Statilia Messalina, si sarebbe ritirata nella sua villa e poi travolta dall’eruzione del Vesuvio del ’79.
Quest’ultima ipotesi è però poco accreditata dagli studiosi moderni. Infatti molti oggetti sono stati ritrovati accantonati in alcune stanze, non è pervenuto vasellame in cucina, né resti umani nell’edificio. Si pensa quindi che la villa fosse disabitata al momento della tragedia.
Probabilmente i suoi abitanti, turbati e allarmati dalle violenti scosse che precedettero la catastrofica eruzione, abbandonarono la struttura qualche tempo prima della tragedia, riuscendo così a mettersi in salvo.
Con gli scavi dei tempi moderni, la parte orientale della villa è stata portata quasi completamente in superficie, mentre gli scavi di quella occidentale sono stati interrotti per la presenza di un edificio militare: l’antica Real Fabbrica d’Armi.
Dal 1997 gli scavi sono stati dichiarati patrimonio dell’UNESCO ed è possibile visitarli insieme a quelli di Pompei ed Ercolano.
Laura d’Avossa
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