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Illustrazione di Alex Amoresano

I.

E’ da quando ha quattro anni che Cecilia, detta Cece, guarda con aggressiva tenacia e con una quasi disperata  dignità gli attori muoversi sul palcoscenico logoro del Teatro a Via San Teodoro 1.

Con le unghie rovinate e divorate fino al sangue, sorveglia avidamente ogni battuta ed ogni tono di voce da quando ne ha memoria, esaminando le espressioni di quei visi superbi e ripetendo tra le labbra infuocate le loro stesse parole.

Ogni spettacolo è così da sempre: tremante ed arrotondata come un gatto, nell’angolo buio sopra il palco, osserva con occhi luminosi i movimenti bellissimi delle dame e le guerriglie forsennate degli eroi. Rivive in testa le sceneggiature nelle quali immergersi come un sogno vivissimo e poi, ritta come un topo, guarda il pubblico in visibilio che applaude ed urla e grida per la contentezza.

<<Cecì, ‘e scinne a papà>> Le strillò Babbo da sotto il solito nascondiglio in cui si era intrufolata. Cece lo guardò sorpresa, non si era accorta che lo spettacolo era finito già da tempo, inclinò la testa lentamente e provò un improvviso disgusto.  Quel padre vecchio e stanco era proprio brutto come lei, sporco come lei, sgraziato come lei. 

L’uomo era il custode di quella sala fetente da almeno trent’anni, portiere infelice di quelle poltrone putride e marce che nessuno puliva mai. Il rosso rubino delle tende aveva da tempo lasciato spazio a drappi inneriti e sgarrupati, le tavole di legno invece, piene di buchi, scricchiolavano ad ogni passo lasciando intravedere di tanto in tanto qualche scarafaggio o qualche altra bestiolina immonda, che dal nero usciva solo per far urlare, di purissimo terrore, attrici e attricette.

<< Cecì, ‘e muovete! >> abbaiò ancora e Cece si vergognò come sempre della voce gutturale e profonda del padre, una voce a cui anche ad occhi chiusi si è in grado di associare un volto, una classe sociale.

<<Allora ti è piaciuto ‘o spettacolo, è vero piccerella?>> Ridacchiò mentre tornavano e Cece annuì arrossendo, non solo le era piaciuto, quel dramma l’aveva impressionata più di quanto lei avrebbe potuto mai immaginare, nei mesi precedenti aveva seguito le prove con passione, le aveva rese sue immergendosi e amandole profondamente, ma mai avrebbe pensato di poter provare tanta emozione. Già dalle prime battute si sentì bruciare, letteralmente, percependo questo fuoco improvviso che l’attraversava da parte a parte.

<<Deve essere proprio bravo sto Shakespeare dicono, lo spettacolo sta facendo molti soldi>>

E’ proprio vero, pensò Cece, ed il cuore cominciò a batterle fino a farle male.

II.

Da che ne aveva ricordo, Cecilia detta Cece, non viveva che di teatro. Mangiava teatro, respirava teatro, piangeva per il teatro. Conosceva a memoria ogni rappresentazione ed ogni parte, ne percepiva la sinergia di ogni dettaglio e ne intendeva i movimenti ed i pensieri stessi. Lo ammirava da lontano come un grande amore, consumandone i lembi a mo’ di veste e torcendosi tutta in un tormento a cui non riusciva a dare un nome. A cosa era dovuta tutta quella sensibilità? Perché ne soffriva? Sarà questa la pena dell’arte pensava, la capacità di poterne apprezzare la bellezza, ed il dolore per poterla comprendere così chiaramente.

Ma un giorno di Maggio, accadde qualcosa.

La mattinata iniziò con un urlo lacerante, sembrò esser partito dalla parte opposta della città.

<< Io me ne vado, me ne vado mò mò!>> disse Nunù tutta impomellata e laccata nel suo abito da Medea.

<< Ma no, Nunù, nun fà accussì, ‘o saje ca sì ‘a reggina>> Rispose il regista Michele, mentre era piegato, inginocchiato e con la coda tra le gambe.

<< Io me ne vado! Me ne vaco e basta!>> strillò aspramente la protagonista della tragedia, alzando i tacchi e chiudendo la porta rumorosamente.

<< E questo succede a fà ‘e ccorna all’ annammurata tua Michè >> sogghignò Pasquale il costumista, << Non si mischiano femmene e fatica!>>

Il regista si stese a terra per un mancamento improvviso.

<< Marò, ‘e comme facimme, ‘a prima è stasera!>>

III.

<<Aiutate il regista, aiutate il regista!>> e tutti si accerchiarono attorno all’uomo con sali, acqua e ventagli per farlo rinvenire. <<Uh marò>>. Gli attori iniziarono ad interrogarsi l’un l’altro, nel grande putiferio che si era creato: <<Dov’è la sostituta?>> Chiese accigliato Michele tutto rosso in viso e schiumante di rabbia. <<Non c’è, non c’è l’hai cacciata, Nunù era gelosa.>> sghignazzarono tra i denti storti, le comparse.

Ma poi nel trambusto generale, una frase zittì tutti i presenti:

<<Cecilia>>.

Il silenzio si sparse come un liquame rovente che sciolse l’intero palco già in avanzata putrefazione, Cece rimase pietrificata sul posto, incapace di pensare, incapace di respirare, capì troppo tardi ciò che stava accadendo.

<< Certo, Cecilia, sicuro, certamente! Pecchè nun l’aggio penzato primma! Hai assistito ad ogni prova, ad ogni fessaria e ad ogni scena!>> Disse gioioso Michele rinvenendo dalla fossa nella quale era caduto. Fu un rimbombo assordante: Gli attori iniziarono a saltare <<Siamo salvi, siamo salvi!>>, le donne, morse dall’invidia, ondeggiarono i ventagli per aria << E brava Donna Cecì, brava! zitta zitta, sempre silenziosa, mò fa nientedimeno che la prima attrice! E brava, complimenti.>> sibilarono con le facce arrognate e cattive: <<E pecché nun ‘a pò fà Melina la protagonista, eh Michè?>>

<< Melina è volgare, è ‘na vrenzola, abbiamo bisogno di una dama, di una signora! Cecilia è deciso, sarai tu Medea questa sera, è deciso, è deciso, mò basta!>>

<< Ma Cecilia è ‘na pezzente, tene sulamente ‘o nomme bello, da signora, da marchesa. Ma chella nun sape ‘e battute>> Continuarono quelle.

<<Si che le sa! Vive qui da quando è bambina, conosce tutte le storie, meglio ‘e te!>> ringhiò feroce, e la conversazione terminò.

Così Il regista andò via superbo, allegro, non si guardò neppure indietro e non vide, nella sua giornata rischiarata, Cecilia alle sue spalle invece, che si accasciava a terra.

IV.

La ragazza cercò disperatamente il padre, ma non lo vide, e questa disgrazia le pesò come un macigno che non riuscì a sopportare. Lacrime pesantissime le scivolarono sui vestiti sudici, sfigurandole il viso con solchi profondissimi.

<<Ma che tiene quella >> continuarono con crudeltà le attrici. << Nun ‘a sa ‘a parte, nun ‘a sa. Che figura ‘e merda farrà stasera ‘o reggista>>.

V.

Verso il tramonto, delle percosse terribili schiaffeggiarono la porta. <<Aprite, aprite muovetevi!>> disse una voce infantile e rabbiosa, <<Aprite chista porta, mò mò!>> La soglia tremò tutta per quella tempesta improvvisa, Babbo costernato si alzò dalla tavola svelto e con passo sghembo si trascinò fino all’ingresso.

<<Dove sta Cecilia, deve correre a teatro! Lo spettacolo inizia tra poco! Dove sta Cecilia!>> schiamazzò il ragazzo delle luci da fuori alla porta. <<Perché deve venire a teatro, che volete da lei?>> 

<<Ma come che volete? Deve fare Medea, deve fare lo spettacolo>> Latrò il giovane con tutto il fiato che aveva in corpo.

<<Cosa deve fare?>> Il vecchio guardò il ragazzo dai baffi lunghi e gli occhi spiritati. <<Lo spettacolo! Nunù se ne è andata, Cecilia deve fare Medea stasera, ma site strunzo?>> Egli tacque per un momento, ed il fascio di nervi che era diventato barcollò un poco.

Il Babbo stanco e pesante nei suoi vecchi pantaloni sospirò forte. <<Ma no, non può farlo…>> bisbigliò sconfitto. Sentì il proprio stomaco contorcersi, in un attimo assaporò la bile che gli era salita su per la gola e che gli stava incenerendo perfino la lingua.

<<Perché?>> Gridò ancora quello fiammeggiante, l’intera casa vacillò.

<<Mia figlia non può parlare, è muta.>>

Arianna Giannetti

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