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pane
Il pane dei Camaldoli

Il suo odore caldo e fragrante riesce a catturare la fantasia e il naso anche a un isolato di distanza: il solo profumo del pane è l’inconfondibile promessa di quel sapore speciale che accompagnerà il nostro pranzo.

Il pane è il protagonista di un rituale antico che comincia per strada e continua a tavola, con lo scrocchio della crosta che è solo il preludio di quel sapore inconfondibile della mollica compatta e morbida che, ogni domenica, finisce puntualmente inzuppata nel ragù.

Ecco l’identikit del pane dei Camaldoli, l’oro di Napoli che ogni giorno arricchisce le tavole di tutta la città con il suo sapore e con la sua tradizione antichissima e piena di dignità.
La particolarità di questa tipologia di pane, che è ancora oggi prodotto dalle parti di Marano e dei Camaldoli, è la dimensione molto generosa della pagnotta, che può pesare anche 4-5 chili, unita ad una notevole capacità di conservazione, che permette al pane di poter essere mangiato fino a 7 giorni dalla cottura. Solo se prodotto a regola d’arte, ovviamente.

Una storia millenaria

Non è facile capire con precisione quando sia nata la particolare lavorazione del pane cafone dei Camaldoli dato che l’arte della panificazione in Campania ha radici umili e antichissime e, in ogni parte della regione, sono prodotte pagnotte dalle forme e dai procedimenti di lavorazione diversi.

Genericamente la pagnotta napoletana è identificata come “pane cafone” perché, fino al secolo passato, era un prodotto da forno realizzato dai contadini della provincia di Napoli che, con i loro carretti di legno, giungevano nel centro storico per vendere un panello fresco in cambio di pochi spiccioli.
Anche la materia prima utilizzata era poco nobile: si tratta della semplice farina di grano morbido, la 0, che si distingue dal grano duro utilizzato solitamente nelle regioni del Sud.

D’altro canto, per capire quanto fosse “lontana” da Napoli la tradizione contadina del pane cafone, basta pensare che la stessa collina dei Camaldoli è entrata nei confini cittadini solo nel XIX secolo: prima di allora era considerata una zona di scarso interesse ed esterna alla città, abitata per lo più dai monaci camaldolesi e frequentata dai braccianti della vicina Marano.
Ma era proprio qui che, grazie al sudore e alla fatica di chi conosce bene i prodotti della terra, il pane veniva prodotto per essere venduto in città, in modo tale da poter guadagnare quelle poche monete necessarie per condurre una vita dignitosa nelle campagne.

Ma il sapore del pane contadino è stato capace di conquistare anche le bocche nobili: pare che Ferdinando IV ne fosse particolarmente ghiotto, tanto da fare spesso spuntini con il pane. Tempo dopo, il fornitore ufficiale di pane della Real Casa dei Borbone sarebbe diventato un fornaio di San Sebastiano al Vesuvio, altro luogo che vanta una antica storia nel mondo della panificazione.

venditori di pane dei camaldoli

La tradizione ha i suoi tempi

I panettieri seguono ancora oggi un rituale tramandato da secoli, che richiede un giorno intero di lavorazioni prima di infornare la pagnotta, che spesso costituiva l’unico pasto per intere famiglie della zona.

Le teorie sulla lievitazione sono numerose, ma tutti concordano sul fatto che dev’essere estremamente lenta e naturale: la tradizione sostiene che dovrebbe essere utilizzato rigorosamente il lievito madre, ma per lo più in passato era utilizzato il criscito, che è praticamente una pasta realizzata con i residui delle precedenti generazioni.
Senza dimenticare l’acqua: è necessaria rigorosamente quella del Serino che, come dicono spesso anche i pizzaioli napoletani, aggiunge quel sapore unico ai prodotti da forno di Napoli.
E il forno, inoltre, dev’essere rigorosamente a legna. Secondo alcuni va realizzato con pietre di Sorrento che, per le loro peculiari caratteristiche, garantiscono una fragranza speciale.
La pagnotta va cotta solo nel momento di massima lievitazione, in modo da garantire il miglior sapore possibile.

  1. Alla farina viene aggiunto il lievito di birra sciolto in acqua tiepida, poi si procede ad una lunga lavorazione, impastando molto energicamente.
  2. Lievitazione di 5 ore
  3. Si impasta nuovamente
  4. Si modella la pasta in forme rotonde, che possono pesare fino a 4 chili
  5. Si inforna

Un procedimento che ha garantito al pane dei Camaldoli la nomina come “Prodotto agroalimentare tradizionale” da parte della Regione Campania.
Ancora oggi molti nonni ricordano i tempi in cui il panello veniva portato su carretti malconci a Piazza Mercato e veniva offerto ai compratori dalle mani callose dei contadini che venivano dalle terre vicine.
Oggi la provincia è diventata città e i carretti sono diventati illegali, ma il pane dei Camaldoli è ancora lì mentre, con il suo odore e la sua storia, ci invita nelle vetrine dei negozi della città.

-Federico Quagliuolo

Fonti:
https://www.aifb.it/cibo-e-cultura/gran-tour-italia/campania/gran-tour-ditalia-la-campania-il-pane-cafone-e-i-pani-della-campania/
https://eatitalynews.com/pane-dei-camaldoli-pat-campana/
https://blog.giallozafferano.it/graficareincucina/pane-cafone/
http://www.agricoltura.regione.campania.it/tipici/tradizionali/pane-camaldoli.htm

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  1. Malica Avatar
    Malica

    Eeeeh mio caro Federico! purtroppo il pane oggi non è più l alimento sano e genuino di una volta neanche se lo fai con tutti i crismi descritti in questa bella storia del pane camaldolese! La materia prima, il grano, non è più quello di una volta. Questo SACRO cereale (sacro non solo per la continuità con la religione cristiana ma proprio perché, per la fondamentale importanza che ha nella nostra catena alimentare, tale doveva restare) é stato DISSACRATO! nel tempo lo hanno così tanto modificato, alterato, perfino nel suo codice genetico, che ora é diventato, un po’ come tanti alimenti sugli scaffali dei supermercati, un NON alimento, troppo ricco di glutine non solo nel chicco ma anche nell impasto per la produzione del pane al quale aggiungono ulteriore glutine perché rende elastica “a past e pan”. Probabilmente penserai che ciò non è un gran danno. Invece ciò non lo rende più un alimento sano. Non solo, infatti, chi é celiaco ma anche coloro che non lo sono hanno conseguenze sulla salute dal consumo di questo pane moderno contenente una percentuale di glutine del 25% superiore rispetto al pane prodotto con il grano delle nostre terre del primo decennio del ‘900. Le più disparate patologie, dal reflusso gastroesofageo, colon irritabile, ai dolori articolari, che mai è poi mi andresti a collegare al consumo del (FU) salutare pane. Con uno stimatissimo abbraccio! MALICA

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