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Era soprannominato “Peppe ‘a frizione” ed era uno dei più famosi piloti di auto sportive dei suoi tempi. Oggi di Giuseppe Ruggiero si sa molto poco e la sua memoria è custodita gelosamente solo dalla figlia e dai pochi amici ancora in vita che l’hanno conosciuto nei tempi d’oro. È una beffa terribile per la storia del personaggio che fu definito addirittura “il più grande pilota napoletano di tutti i tempi” dalla rivista Cronosport.

Era un geniale figlio di Calvizzano e diventò uno dei pionieri dell’automobilismo sportivo italiano, quando le gare erano disputate su circuiti cittadini (e Napoli aveva il suo a Posillipo!) fra asfalto dissestato, norme di sicurezza inaccettabili per qualsiasi standard moderno e automobili artigianali, tanto belle quanto pericolose e indomabili, che rischiavano di prender fuoco al primo incidente.

I pionieri delle corse automobilistiche erano spesso uomini appassionati e spregiudicati, alla continua ricerca di emozioni estreme, scalate di marcia e accelerazioni brucianti che infiammavano il pubblico, raggruppato sempre nelle curve più pericolose in un’attesa sadica del prossimo incidente.

Giuseppe era proprio così: grintoso, divertente, spericolato. Amava il brivido di un sorpasso ed affrontava le curve con tecnica eccellente, facendo strazio di frizioni proprio a causa della sua guida eccessivamente allegra. Da qui il suo soprannome. Si trovò a gareggiare negli anni ’50 contro gli dei dell’automobilismo italiano, da Tazio Nuvolari ad Alberto Ascari, senza dimenticare un altro napoletano, Giovanni Rocco.

Se però Mantova è un tempio dedicato al suo leggendario pilota e Milano fa sempre bella mostra del campionissimo Ascari (che vinse il suo ultimo trofeo proprio a Napoli), di Ruggiero invece non c’è nemmeno una piccola targa nella sua Calvizzano.
Un destino leggermente migliore capitò invece ad una sua cara amica, la napoletana Maria Teresa De Filippis, la prima donna a gareggiare in Formula Uno.

Nato assieme ai motori

Si può dire che Giuseppe Ruggiero sia nato assieme alla passione per l’automobile in Italia. Era il 1913 e le quattro ruote erano ormai diventate qualcosa di più che un giocattolo per ricchi e lentamente si facevano strada fra le classi più abbienti che potevano permettersi un mezzo per gli spostamenti veloci.
Ruggiero era un figlio di una antichissima famiglia di Calvizzano, un comune della provincia napoletana schiacciato fra Giugliano, Mugnano e Qualiano. Attorno a Napoli la vita era fatta per lo più di agricoltura, pane e preghiere.
Per i più poveri l’unica strada era il seminario: solo così abbiamo potuto conoscere cervelli magnifici come quello di Gennaro Aspreno Rocco e San Gaetano Errico. Per le famiglie più abbienti come i Ruggiero, la strada più comune era invece quella della Giurisprudenza, fra notariato, avvocatura e magistratura.
Ma della chiesa e della legge il buon Peppe non ne voleva sapere nulla: la sua passione era la meccanica. E tutta la vita la spese a studiare i motori per poterci lavorare su e poi guidarli.

Fotografia di Calvizzano Web

Giuseppe Ruggiero e una passione per ricchi

Fu dopo la II Guerra Mondiale che la carriera di Ruggiero spiccò il volo, complice anche il boom dell’automobile. Le corse degli anni ’50 rimanevano cose per ricchi o per mecenati. Chi correva era chiamato “incosciente” o “pazzo” dalla famiglia: ogni pilota sapeva che in ogni momento si poteva diventare invalidi a vita o morti: non esistevano tute, protezioni o sistemi di sicurezza. Si viaggiava con una maglietta, guanti, un elmetto e gli occhiali. E i premi in denaro erano davvero miseri!
Le gare di Gran Turismo erano però un’occasione di festa: colleghi e avversari si radunavano prima e dopo le competizioni, stringendo amicizie che collegavano tutte le regioni d’Italia. Spesso ci si ospitava a vicenda nelle proprie case o si alloggiava presso gli Auto e Moto Club in occasione di gare in trasferta. Ed era immancabile la serata in osteria fra amici di tutte le scuderie: era quasi un’offesa ritirarsi a casa dopo la gara.

Le auto da corsa erano per lo più modelli costruiti in modo artigianale da tecnici e appassionati, da Abarth a Zagato, partendo da automobili commerciali. Un po’ come oggi accade con la passione delle auto truccate in Inghilterra e in Germania.
Ruggiero cominciò a gareggiare così nella Mille Miglia del 1940 con un’Alfa Romeo 3200 del 1939, macchina che continuò ad usare per 8 anni con buone fortune. Un’eternità, se si guarda con l’occhio dei tempi moderni.

Dopo l’armistizio ricominciò la sua carriera nella “Coppa Posillipo“, una corsa da Mergellina a Bagnoli passando per la tortuosa strada di Coroglio. La vinse a mani basse con quell’auto sopravvissuta anche alla guerra. Di lì, continuò un filotto di trofei regionali, fra Campania, Toscana e Puglia. Almeno finché non gareggiò assieme a Tazio Nuvolari a Bari, dove arrivò quinto.

Giuseppe Ruggiero e Maria Teresa De Filippis
Giuseppe Ruggiero al volante e Maria Teresa De Filippis come copilota. L’automobile “Urania” era stata ricavata dal telaio di una Fiat Topolino con sopra montato il motore di una motocicletta BMW: molti si lamentavano perché era definita “inguidabile”. Fu costruita a Teramo da Bernardo Taraschi.

L’amicizia con la prima donna pilota

Fu proprio a Napoli, nelle numerose gare amatoriali, che conobbe Maria Teresa De Filippis, più giovane di 14 anni. Era una giovane nobildonna dalla personalità travolgente che, rinnegando l’intera storia di famiglia, spese quasi tutto il suo patrimonio in automobili e benzina. Aveva un solo obiettivo: la vittoria. E lo fece acquistando un’automobile usata, una Maserati A6GCS, che era un’auto considerata imbattibile. E anche quando diventò vecchia, rimase comunque competitiva anche contro vetture molto più potenti e blasonate.

Giuseppe Ruggiero e Maria Teresa De Filippis, forse anche grazie alle comuni origini ribelli, strinsero una stretta amicizia e corsero assieme in molti gran premi italiani, dalla Targa Florio in Sicilia (che finì con un brutto incidente e un braccio rotto) ai circuiti delle Dolomiti: lui era il copilota, lei la guidatrice. E viceversa.
Anche questo fu un fatto strano: in uno sport forse ancora più maschilista del calcio, correre contro una donna imbarazzava gli altri concorrenti, timorosi di perdere la dignità in caso di sconfitta. Peppe decise invece addirittura di fare team con la sua conterranea.
Forse non è un caso se, proprio in quegli anni, cominciò anche il primo torneo di calcio femminile italiano a Napoli.

Fotografia tratta da Calvizzano Web

L’ultimo trofeo

Si ritirò dall’agonismo negli anni ’70, quando ormai il corpo di un cinquantenne non garantiva più i riflessi e la reattività giusta per fare quello stacco di frizione che lo aveva reso famoso in gara per lo spettacolo che dava e ai box per i dischi bruciati. E poi c’era la moglie, che ad ogni gara tremava nell’immaginare suo marito in ambulanza, cosa che purtroppo accadde in Calabria, con un incidente che gli compromise gravemente i polmoni.
Peppe ‘a Frizione morì nel 1981 a 68 anni, lasciando una figlia giovanissima e una moglie che, più tardi, sarebbe divenuta nota nel suo paese come poetessa.

Il suo funerale fu l’ultimo trofeo di una carriera senza campionati mondiali e bacheche ricche, ma piena di passione e amicizie in uno sport che all’epoca era frequentato da gente ricca e amante del brivido.
L’intera Calvizzano affollò la chiesa per salutare il pilota. Trovarono posto al funerale anche i suoi amici conosciuti sul circuito, gli avversari e gli ex compagni provenienti da ogni regione d’Italia.
Oggi la moglie ha 91 anni e la figlia non vive più in Italia: dal padre ha ereditato l’amore per le automobili e il temperamento grintoso ed allegro. Ha però promesso alla madre di non incominciare la carriera da pilota, altrimenti la povera signora sarebbe davvero morta di crepacuore! Probabilmente solo per questa ragione oggi non si parla di un’altra campionessa di Calvizzano. Una città che oggi rischia di dimenticare le avventure di Giuseppe Ruggiero.


Bisogna ringraziare Leila Ruggiero e Domenico Rosiello, autore di Calvizzano Web, se la memoria di Giuseppe Ruggiero è ancora viva. Merita di essere ricordata in una targa.

-Federico Quagliuolo

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Riferimenti:
Intervista a Maria Teresa De Filippis
https://www.historicautopro.com/1952-monaci-8c-bimotore-zagato
Intervista a Leila Ruggiero

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