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Non si può capire Napoli senza conoscere Don Pedro di Toledo, il viceré che, più che governare la città da amministratore, si comportò come un vero e proprio re.

Al secolo Pedro Alvarez de Toledo y Zuniga, era un uomo dallo sguardo glaciale, dai modi bruschi e imperiosi e dalla presenza austera. Aveva il vizio del gioco e delle donne, amava i vestiti eleganti ed era tanto fedele nelle amicizie quanto crudele e vendicativo con le persone che non gli andavano a genio. Governò Napoli con un pugno di ferro, fra rivolte e grandi imprese.

I suoi vent’anni di governo cambiarono completamente il volto della città: costruì i Quartieri Spagnoli e la famosa Via Toledo e più in generale costruì opere pubbliche che sono durate fino ai giorni nostri; introdusse l’Inquisizione Spagnola; riuscì a tenere a bada i nobili e i baroni con repressioni ferocissime; cacciò tutti gli ebrei da Napoli e vinse i Saraceni nell’epica battaglia di Otranto.

Un personaggio complesso e affascinante come pochi nel lungo guado che furono i 200 anni di viceregno per Napoli.

Pedro di Toledo Ritratto
Il ritratto di Pedro di Toledo

Una missione: tenere a bada i nobili napoletani

La storia ci insegna che la nobiltà cittadina, la Chiesa e i baroni delle terre provinciali esercitavano un potere tanto grande da essere spesso più forte di quello dello stesso sovrano di Napoli. Lo scoprì a sue spese Ferrante d’Aragona, che passò tutta la vita in guerra sfuggendo a congiure e complotti, così come lo capirono bene gli Angioini che, per vivere tranquilli, sterminarono le famiglie nemiche e lasciarono in vita solo i nobili fedeli, liberi di fare qualsiasi cosa nel regno. Lo stesso Carlo V, “l’imperatore del mondo”, fu invitato ad entrare a Napoli per ottenere le chiavi della città dai rappresentanti della nobiltà cittadina un atto solo apparentemente formale: era un accordo.

Questa continua guerra di poteri divisi fra complotti, faide e lotte per il potere rappresentò una delle prime ragioni di debolezza del Regno di Napoli, che era perennemente la terra di conquista di questo o quell’altro invasore, spesso invitato e finanziato dai nemici di una o dell’altra fazione. Praticamente una tendenza all’autodistruzione cresciuta nelle maglie della politica locale.

Pedro di Toledo questo complesso sistema politico lo capì bene. E, al primo “no” detto ai Sedili di Napoli dopo il suo insediamento che avvenne nel 1532, si inimicò presto tutta la nobiltà cittadina. Fu il primo viceré che, in tutto il Regno, combatté contro i privilegi dei nobili e dei baroni.

Napoli di Pedro di Toledo
La Napoli di Pedro di Toledo: si vede benissimo la nuova Via Toledo sulla parte sinistra della città!

Una rivoluzione urbanistica

La rivoluzione di Don Pedro di Toledo fu però nella ricostruzione dell’assetto della città nella forma che conosciamo ancora oggi. Aveva capito che Napoli aveva bisogno di un gigantesco risanamento in tutti i sensi e cominciò costruendo una lunghissima e ampia strada, chiamata in suo onore Via Toledo, per progettare l’espansione a nord della città. Poi fece progettare e costruire la pianta dei Quartieri Spagnoli, nel 1536, per ospitare le guarnigioni di soldati che tornarono molto utili in occasione delle varie rivolte in città. Le guarnigioni di soldati erano odiatissime dai napoletani e, nel 1537 il popolo in rivolta commise un eccidio di 1000 militari: Il viceré capì che dietro quelle sommosse popolari c’era l’opera del Principe di Salerno.
Commissionò poi la costruzione di una nuova rete fognaria cittadina, con larghi tratti che sono ancora oggi utilizzati e fece restaurare l’Acquedotto Romano del Serino.

Non dimenticò: il basolato vesuviano, quello che ha reso famosa Napoli, cominciò a comparire proprio ai tempi di Don Pedro: prima le strade erano in selciato e a spese del governo fu completamente ripavimentata la città.

Le difese del Regno di Napoli furono poi rafforzate moltissimo: fece restaurare Castel Sant’Elmo a Napoli e il Castello Aragonese di Baia come torre di avvistamento per i saraceni.

Non ultimo, stabilì una nuova sede per i 10 tribunali di Napoli: Castel Capuano, dove sono rimasti fino alla costruzione del Centro Direzionale nel 1995. Il castello diventò anche la sede del fisco, dove tutti i cittadini potevano pagare le tasse in un unico ufficio. La zona fu soprannominata “Vicaria” (da “vicario del re”), il nome conservato ancora oggi dal quartiere.

Castel Capuano
Via dei Tribunali e Castel Capuano hanno la firma di Pedro di Toledo

Un viceré amante di Pozzuoli

Più Don Pedro operava, più aumentavano i nemici e le rivolte. Per evitare di essere avvelenato o ucciso, decise di stabilirsi nella tranquilla Pozzuoli, in una villa maestosa (ancora oggi esistente), e per l’occasione conobbe in prima persona le problematiche della città: si fece quindi promotore del restauro della Crypta Neapolitana, l’antica grotta romana che collegava l’area flegrea con Napoli, e promosse un editto per ripopolare la città dopo l’eruzione di Monte Nuovo del 1538: chiunque si fosse trasferito a Pozzuoli, non avrebbe pagato tasse. Si impegnò anche a restaurare numerosi edifici di culto a sue spese.

Pedro di Toledo Tiziano
Don Pedro dipinto da Tiziano

Via nobili, ebrei e università da Napoli

Nel frattempo, Napoli era una pentola a pressione pronta a scoppiare. Nel 1540 fu emanato un editto per cacciare tutti gli ebrei dalla città, perché accusati di essere usurai, ladri e di rubare oggetti dai cadaveri per rivenderli al mercato, un sacrilegio inaccettabile. Gli ebrei ebbero un anno di tempo per andarsene, poi sarebbe scattata la pena di morte. E, in termini di condanne capitali, Pedro di Toledo fu un uomo da record: caddero a terra ben 18.000 teste durante la sua amministrazione. Furono poi “sospese temporaneamente” tutte le attività accademiche, note per essere luogo di ritrovo di nobiltà.

I nobili non erano per niente contenti della gestione dittatoriale di Pedro di Toledo: tramite l’Eletto del Popolo, designato dal viceré, aveva tolto potere alle rappresentanze nobiliari dei Sedili, scavalcando la nobiltà nel rapporto con il sovrano. E fu così che cominciarono le prime rivolte e, quando Carlo V giunse a Napoli, ogni nobile chiedeva all’imperatore di cacciar via Don Pedro. L’imperatore diede picche ai nobili.

La goccia che fece traboccare il vaso fu l’introduzione del Tribunale dell’Inquisizione nel 1547, che fu una dichiarazione di guerra alla nobiltà cittadina che continuava a tramare contro il re. La misura era colma e il popolo si unì in rivolta contro i tributi imposti per le immense spese di ristrutturazione della città. A capo della rivolta ci fu un pescatore di sorrento, Tommaso Anello (da non confondere con Tommaso Aniello di Amalfi, il Masaniello del 1647!). La questione si risolse con l’esercito e con le scuse di Pedro di Toledo. Ma la ferita era ormai aperta. Tutto il governo di Pedro di Toledo continuò con un ping pong fra rivolte armate, esercito spagnolo, mediazioni popolari e carcerazioni. La storia finì con l’esilio e la morte del Principe di Salerno, storico oppositore di Don Pedro, che suonò all’opinione pubblica come una vendetta personale

Tomba di Pedro di Toledo
Tomba di Pedro di Toledo

Il “licenziamento” di Pedro di Toledo

L’ultima rivolta, assieme alla vendetta sul Principe di Salerno e al fallimento del progetto dell’Inquisizione Spagnola a Napoli, avevano compromesso la presenza politica che Pietro di Toledo non riusciva più a gestire. Erano tutti contro di lui e il suo carattere guardingo non lo aveva.
Era l’anno 1552 e il viceré aveva 71 anni. L’imperatore Carlo V mandò una lettera a Napoli dando all’anziano viceré il compito di guidare l’esercito spagnolo per sedare le rivolte nella città toscana: una missione senza alcun senso per un uomo che nella vita fu politico e non militare, ma soprattutto che era vecchio e malato.
Pedro di Toledo l’aveva capito bene: era una “lettera di licenziamento”, oltre ad essere per giunta una velata condanna a morte. La sua malattia lo aveva reso infermo. Ma all’Imperatore non si può dire di no.
Nel viaggio verso la Toscana si sentì male, come prevedibile. Fu così portato a Firenze, dove morì il 22 febbraio 1552.

Dopo la morte, fu sepolto nel Duomo di Firenze contro le sue ultime volontà, dato che aveva chiesto di tornare a Napoli. La sua tomba fu poi distrutta durante i lavori di risanamento del XIX secolo.

E il sepolcro di don Pedro di Toledo, che ancora oggi esiste nella chiesa di San Giacomo degli Spagnoli, è solo un bellissimo involucro vuoto.

-Federico Quagliuolo

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Riferimenti:
Gio. Antonio Summonte, Historia del Regno di Napoli e della città, Antonio Bulifon, 1671
Carlo De Frede, I viceré spagnoli di Napoli, Newton Compton, Napoli, 1997
Giovanni Tarcagnota, La città di Napoli dopo la rivoluzione urbanistica di Pedro di Toledo, Gabriele e Mariateresa Benincasa, Roma, 1988
Benedetto Croce, Storia del Regno di Napoli
Domenico Antonio Parrino, Teatro eroico e politico de’ governi de’ viceré del Regno di Napoli, 1730
https://www.treccani.it/enciclopedia/pedro-alvarez-de-toledo_%28Dizionario-Biografico%29/

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