Il fico bianco del Cilento ha il sapore dolce e senza tempo della Grecia antica. Si tratta infatti di una specialità della provincia meridionale di Salerno che è conosciuta addirittura dal VI secolo a.C., quando furono portati dall’oriente grazie all’intervento dei primi coloni greci che fondarono Elea, Poseidonia e tutte le altre città che oggi ci sono raccontate dagli antichi scavi e dai reperti che affiorano fra i palazzi delle moderne città turistiche.
Si tratta di un prodotto della terra che probabilmente più di qualunque altro rappresenta la storia, la cultura e la vita degli ultimi 2500 anni fra Paestum e Sapri: troviamo il fico nei proverbi, nella mitologia popolare e nella storia locale. Spesso era anche utilizzato al posto della moneta.
Un tempo era conosciuto come “il pane dei poveri”, grazie alle sue eccellenti qualità nutritive e alla facilità di conservazione (il fico secco è anche un altro prodotto locale). Oggi, come tante altre ricette tradizionali legate alla vita rurale, si è affrancato dalla qualifica di “povero” ed è diventato un prodotto pregiato che in ogni stagione fa la gioia di tutta Italia: basta pensare che dal Cilento arriva il 25% della produzione nazionale di fichi.
Dall’antica Grecia ai mercanti cilentani
I greci erano ghiotti di fichi, li consideravano frutti sacri ed afrodisiaci. Possiamo essere quasi certi che furono loro a portarli in Cilento. Di sicure, però, abbiamo le gioie dei latini, come Catone e Varrone, che hanno lasciato testimonianze scritte della fantastica polpa bianca dal sapore dolcissimo che caratterizzava i frutti dal Cilento e dalla Lucania, altra terra di origini greche. Non dobbiamo poi dimenticare le qualità eccellenti dell’albero del fico: resiste senza timore alle siccità ed ai parassiti.
Oggi potremmo dire che “sanno di zucchero”, ma all’epoca questo prezioso ingrediente non era ancora conosciuto.
Altra procedura antichissima è l’essiccazione: probabilmente anche questa lavorazione del frutto è una diretta eredità dei nostri antenati greci, dato che i fichi secchi erano ampiamente utilizzati già 2500 anni fa come cibo da conservare nei periodi freddi o da utilizzare durante lunghi viaggi o lavori molto duri, dato che erano facili da conservare e deperivano difficilmente. Oltretutto erano (e sono ancora oggi) abbondantissimi in tutto il sud della Campania. E sul finire dell’estate, lungo le strade in terra battuta delle campagne di Agropoli e dintorni, c’è un dolcissimo odore di fichi che si spande nell’aria e caratterizza ancora di più la particolarissima “regione nella regione” che è il Cilento.
Per capire l’importanza del fico nella cultura locale, basta pensare che erano anche una fonte di reddito: ai tempi di Ferrante I d’Aragona è infatti presente un documento, il “Quaterno doganale delle marine del Cilento” del 1486, che attesta l’esistenza di una fiorente produzione e vendita di fichi da parte dei mercanti cilentani.
Il fico natalizio
Sulle tavole natalizie della Campania (anche se è facile trovarli anche nel resto d’Italia) non possono mancare i fichi secchi. Oggi sono un prodotto di ordinario piacere, spesso confezionati uno ad uno e in bella mostra nei supermercati con confezioni rifinite con scritte eleganti e decorazioni dorate (quelli turchi o stranieri invece hanno ben minore cura, spesso in anonime scatole di plastica), dobbiamo pensare che stiamo involontariamente portando avanti una tradizione antica e umile. Un motivo in più per onorare questo frutto, figlio di tempi in cui il cibo era un dono.
Il fico secco era l’alimento natalizio degli agricoltori non per lusso, ma per necessità: dopo averli coltivati in estate, l’essiccazione era il metodo perfetto per conservare a lungo un alimento nutriente e versatile, da mangiare in periodi di carestia o di difficoltà proprio come l’inverno. Potremmo pensare ad un’altra tradizione di conservazione derivante dagli antichi: la colatura di alici di Cetara.
L’aceto balsamico di fico bianco del Cilento
Parlando di “aceto balsamico” inevitabilmente la fantasia vola a Modena. Eppure c’è nella provincia di Salerno un aceto dal retrogusto agrodolce e dall’odore tipico della frutta secca, ideale per condire insalate, carni e pesce.
La procedura di realizzazione dell’aceto balsamico di fico bianco del Cilento segue la tradizione della normale acetificazione in botti di legno pregiato, con l’aggiunta di fichi secchi macerati in infusione.
Così, che siano liquidi, freschi o essiccati, i fichi cilentani sono quell’unione fra antico e moderno, in procedimenti ripetuti da secoli e per secoli, conservati intatti come alcuni termini greci rimasti nei dialetti locali.
-Federico Quagliuolo
Riferimenti:
Regione Campania
Disciplinare di produzione del Fico Bianco del Cilento, Gazzetta ufficiale della Repubblica Italiana