Sulla testa del Cavallo Carafa si è scritto di tutto: leggende, storie di fantasmi e curiosità: addirittura c’è chi crede che l’abbia creata Virgilio in persona.
Fra le tante storie tramandate dal popolo c’è anche un indovinello: si racconta ancora oggi che in un tempo imprecisato, sotto la testa, c’era una frase enigmatica che sfidava gli avventori un po’ come una sfinge. Il premio, però, in quel caso era particolarmente ghiotto: un misterioso tesoro.

Testa del Cavallo Carafa
La testa del Cavallo Carafa. Fotografia di Federico Quagliuolo

L’indovinello del Cavallo Carafa

Davanti ai miei occhi c’è un tesoro“: questa frase era scritta su una targa ai piedi della statua. Secondo una tradizione popolare, per decine di anni si scervellarono gli occupanti del palazzo per capire dove si trovasse l’eredità di Diomede Carafa che, secondo quella scritta, era nascosta da qualche parte e l’indizio decisivo stava nel cavallo.

Quasi tutti, dopo aver letto la scritta, partivano alla ricerca del tesoro. Don Diomede era uno degli uomini più potenti della Napoli del XV secolo ed aveva accumulato fortune immense: rimaneva solo da capire chi avrebbe acciuffato quella parte di ricchezza.

Il Cavallo Carafa si trova ancora oggi a Via San Biagio dei Librai 122 ma, come scopriremo più avanti, originariamente aveva lo sguardo rivolto verso un’altra direzione nel cortile, quella che oggi corrisponde al muro a sinistra quando si entra, che prima era un porticato. Nel cortile il cavallo “guardava” altre statue posizionate di fronte a sé che in apparenza non mostravano nulla di anomalo.

Il ramo dei Carafa di Maddaloni, proprietari originari del palazzo, si estinse nel XVI secolo e il mistero si infittì ulteriormente dato che, se gli eredi diretti non avevano trovato nulla, era ancora più improbabile che i nuovi occupanti avrebbero avuto fortuna.

Il cavallo continuò a dire per oltre un secolo sempre la stessa frase:Davanti ai miei occhi c’è un tesoro“. Ma il tesoro non c’era. E nessuno continuava a capire il senso di quella frase finché uno sconosciuto non ebbe un colpo di genio: il tesoro era il cavallo stesso. O meglio: i suoi occhi che, una volta cavati, rivelarono dei diamanti.

Non ci sono testimonianze storiche sulla presenza di questi diamanti, oltre al fatto che nel XV secolo non erano oggetti facilmente reperibili. Ma la leggenda, diffusissima presso il popolo napoletano, suscitava le invidie di tutti, pensando alla fortuna del misterioso personaggio che si era arricchito grazie ad un colpo di genio.

Cortile di Palazzo Carafa
Il cortile di Palazzo Carafa: come ricordato nel 1671 da Antonio Bulifon

Chi ha fatto il cavallo?

Nessuno lo sapeva con certezza fino a pochi anni fa. O meglio: ognuno aveva una sua verità. La tradizione del popolo, sostenuta da Matilde Serao e in tempi più antichi anche da Carlo Celano, afferma che il cavallo rampante di bronzo un tempo si trovava dalle parti dell’attuale Duomo ed era una scultura probabilmente di origine greca che i napoletani veneravano perché era capace di curare gli animali. Fu poi fusa per costruire le campane del Duomo, in modo da interrompere questo culto pagano in città.

Avrebbe poi preso il nome di “Testa Carafa” perché fu salvata dalla distruzione solo la parte superiore, che ancora oggi si trova nel palazzo costruito dal potentissimo Diomede Carafa ai tempi della Napoli aragonese.

Dobbiamo prendere per buona solo la seconda parte di questa leggenda, ovvero che la scultura si chiama “Cavallo Carafa” o “Testa Carafa” perché si trovava nel palazzo del dignitario di corte di Alfonso d’Aragona. Secondo molti autorevolissimi storici dell’arte del calibro di Giorgio Vasari, infatti, la scultura è figlia delle mani di Donatello.

Anche altri elementi confermano questa teoria: Bartolommeo Capasso rinvenne, sul finire del XIX secolo, una lettera scritta proprio da Diomede che ringraziava Lorenzo il Magnifico per avergli donato la protome. Studi seguenti hanno anche trovato le ricevute di pagamento dell’artista toscano e si può dire con certezza che Donatello sia l’autore del monumento. Questa protome era poi solo un piccolo pezzo di una scultura molto più grossa, dalle dimensioni di circa 5 metri d’altezza, che doveva celebrare Alfonso d’Aragona a cavallo. Non fu però mai realizzata perché il re di Napoli morì nel 1458 e Donatello lo accompagnò nell’oltretomba nel 1466.

Cavallo Carafa monumento Gattamelata
Il monumento equestre di Gattamelata a Padova: probabilmente il Cavallo Carafa, se fosse stato completato, sarebbe stato molto simile a quest’altra opera realizzata sempre da Donatello

Un cavallo nomade

Anche se incompleto, quel frammento di scultura era troppo bello per essere distrutto e questo lo sapeva bene Lorenzo de’ Medici, che era un amante dell’arte in ogni sua forma. Il fiorentino pensò così di spedire quel monumento incompleto all’amico Diomede Carafa per omaggiarlo con un ricordo del compianto Alfonso d’Aragona: il nobile napoletano gradì molto il regalo e lo piazzò alla destra del cortile del suo palazzo e lì rimase fino al 1809.

Giuseppe Bonaparte decise poi di spostarlo nel Museo Archeologico Nazionale e, per non perdere la presenza del monumento nel suo luogo storico, fu posizionata in seguito una copia realizzata in terracotta e non in bronzo, come invece era l’originale. Attenzione, però: la copia si trova nell’area nord del cortile, mentre l’originale si trovava a destra.

Simbolo della Provincia di Napoli
Il simbolo della Provincia di Napoli, il Corsiero del Sole

Il cavallo napoletano: una storia antica

In ogni caso, se nel mondo la testa di cavallo è un riferimento universale alla scena del film del Padrino, a Napoli diventa una questione a metà fra Storia e fantasia popolare.
In realtà, a ben vedere, l’intera Storia di Napoli è caratterizzata da figure equine: dal corsiero del Sole, il simbolo più antico della città, alla nobilissima razza del cavallo napoletano, oggi quasi scomparsa. Se ci mettiamo anche la leggenda di Virgilio e l’anima velatamente pagana dei napoletani, non ci stupirà trovare così tanta letteratura attorno ad una bellissima testa incompiuta.

-Federico Quagliuolo

Riferimenti:
Giorgio Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori, architettori
Antonio Summonte, Historia della città e del Regno di Napoli, Antonio Bulifon, Napoli, 1675
Carlo Celano, Gianpasquale Greco, Delle notizie del bello, dell’antico e del curioso della città di Napoli, Rogiosi Editore, Napoli, 2019
Napoli Aragonese

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