Chissà quante mani di donne pazienti hanno “arrotolato” questa “storia”. Chissà nei decenni che si sono succeduti quante tavole di contadini umili, ma sapienti, hanno ospitato questo piatto povero, ma nutriente e saporito.
Un piatto che ha assunto diversi nomi, a seconda della zona di produzione; sì, perché è stato il piatto dei contadini molisani, irpini, lucani, pugliesi e calabresi. Il nome storico più accertato, con una miriade di varianti simili, è quello di “gnummareddi”, dal latino “glomus“, da cui l’arcaico “gnomerru“, cioè gomitolo, richiamante proprio il gesto di “raggomitolare” gli intestini di agnello che conterranno le animelle impreziosite da prezzemolo e pepe nero, ma anche alloro, pecorino o aglio, a seconda delle varianti.
La foto di copertina è dell’Agriturismo San Bonaventura
Un piatto conosciuto in tutto il Sud Italia
Conosciuti come “turcinelli” nel Gargano, “mugliatielli” in Irpinia, “mariciddi” nella Murgia e l’elenco potrebbe continuare ancora per molto. Ciò già basterebbe per comprendere perché questo piatto sia stato inserito nella lista dei prodotti tradizionali della Regione Campania, come si evince dall’elenco stilato dal Ministero per le Politiche agricole e forestali.
Ho avuto la gioia di ricevere alcuni “mugliatielli” fatti in casa proprio in questi giorni; gioia non solo perché quando qualcuno ha un pensiero per noi è giusto essere felici, ma anche perché, così facendo, si tengono in vita tradizioni che altrimenti scomparirebbero.
I mugliatielli, storia di vita fra i campi
Quando mezzadri e signori mangiavano carni pregiate, ai contadini delle masserie non rimaneva altro da fare che accontentarsi delle interiora: fegato, polmone e rognone di agnello avvolti, “raggomitolati”, “turciati” nel suo intestino e conditi con spezie.
I “mugliatielli” sono la storia di quei contadini delle nostre terre, storie di briganti e transumanza, storie millenarie di chi ha preservato tradizioni antiche che sono giunte fino ai nostri giorni.
Arrostiti, sfritti o con il pomodoro, i “mugliatielli” sono davvero buonissimi e vale la pena assaggiarli, in giro tra le osterie e le sagre del nostro Sud.
Piatto povero sì, ma impreziosito dai tanti condimenti diversi e dalle spezie, quasi a voler dire: “voi mangiate carni preziose, noi impreziosiamo carni povere, grazie all’amore delle nostre mogli e al calore del nostro focolare”.
Yuri Buono
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