Immagina di avere come unica arma una cesoia per farti strada fra le piante che hanno ormai occupato vecchie strade asfaltate. Ogni tanto, nella vegetazione fittissima, emergono blocchi di cemento, automobili degli anni ’50 e tracce di (in)civiltà risalenti ad epoche passate: siamo nel Vallone San Rocco, e non in un episodio di The Last of Us ambientato ai Colli Aminei.
Nell’articolo saranno volutamente omesse indicazioni in quanto l’esplorazione è davvero molto pericolosa e va fatta esclusivamente in occasione dei tour guidati che vengono periodicamente organizzati dalle associazioni che si battono da anni per la tutela del luogo: “Salviamo il Vallone San Rocco”.
Esploriamo il Vallone San Rocco!
Già a guardarlo dall’alto qualcosa si capisce: il Vallone San Rocco, anche noto come Vallone Saliscendi, collega il ponte vecchio di San Rocco con la zona dell’attuale Policlinico Nuovo da un lato e ai Ponti Rossi dall’altro lato. Si tratta di una vallata che ha circa 12.000 anni, nata da un’eruzione dei Campi Flegrei e segnata dal passaggio di un fiume, il Bellaria.
Il manto stradale in basolato vesuviano si trova qui da almeno un secolo e mezzo e i residenti più datati affermano che, fino agli anni ’80, era possibile percorrere serenamente la strada asfaltata fino al Policlinico.
Scopriamo, grazie a una piccola scritta su di un muro, che questa strada fu protagonista dello sciopero dei lavoratori del 1910, presumibilmente si parla degli operai che scavavano il tufo da lavorare per realizzare gli edifici del Vomero e di Corso Umberto. Proprio da queste cave infatti si estraeva il materiale per le costruzioni che furono protagoniste della stagione del Risanamento di Napoli.
Un deposito malinconico
Il tempo passa e le cave di tufo si trasformano assieme ai napoletani. Durante la guerra furono infatti occupate dalle truppe alleate e dai residenti per ripararsi dai bombardamenti, mentre invece le grotte di Posillipo, che sono molto simili, erano sede di un’attività di produzione macchinari, dai motori delle navi ai pezzi di ricambio per gli aeroplani. Il vantaggio strategico di questi luoghi era infatti l’impossibilità di essere riconosciuti dall’alto, durante le ricognizioni aeree. Erano anche molto più comode degli angusti ipogei di Napoli Sotterranea, che non davano aria e respiro. E così fu fino al dopoguerra.
Poi due delle 11 cave del Vallone San Rocco diventarono deposito della Aloschi Bros, una compagnia di viaggi e trasporti ancora oggi esistente.
Ecco infatti che, dietro un cancello, ci appaiono malinconici degli autobus dalle linee datate, vecchi giganti che invecchiano fra la ruggine e la vernice screpolata che, piano piano, salta via a pezzetti.
Gli interni sono paradossalmente in ottime condizioni e questo testimonia il fatto che il luogo, nonostante i circa 50 anni di abbandono, non è stato visitato.
Grotte e proiettili
Le altre grotte del Vallone San Rocco sono liberamente visitabili, ma non è affatto facile entrarci. I panorami però ripagano pienamente gli sforzi, fra ostacoli, tronchi caduti, zone franate e altri imprevisti. E la sensazione di malinconia sale sempre più, pensando che, nonostante le tracce umane rimaste siano solo quelle degli scavi, questo luogo potrebbe diventare un’area naturalistica con panorami da far incantare chiunque. Sono presenti specie rare di uccelli (ed anche bossoli e cartucce di fucile), volpi, serpenti ed altri animali selvatici. Tutti che tirano avanti la propria segreta vita in un ecosistema che è diventato negli ultimi 40 anni una delle aree più inquinate della città.
Spazzatura, e illegalità
Il leit motiv della nostra esplorazione, infatti, è la spazzatura. Ai lati delle strade, fra le piante, dentro le cave, sotto la strada. Nessuno ha idea di quanti quintali di rifiuti ci siano sparsi in giro per il Vallone di San Rocco, tant’è vero che, dopo il crollo della casina dell’Albergo dei Poveri alla fine di Via Nicolardi, fu scoperta una discarica abusiva. Mi capita ad un certo punto di scivolare per terra e di mettere una mano su un oggetto che restituisce una sensazione innaturale al tatto. Ripresomi dallo spavento, scopro di aver toccato una bottiglia di Fanta fatta di quella plasticaccia spessa e ruvida tipica delle bottiglie degli anni ’80. E mi è andata anche molto bene: sono presenti rifiuti di ogni sorta sepolti sotto le piante, molti altri interrati in fosse invisibili all’occhio: a volte sono proprio loro a causare delle frane che, ad ogni pioggia torrenziale, rivelano il marcio dell’animo umano, il lato vergognoso sotto i piedi della borghese Via Nicolardi che, a partire dagli anni ’70, ha gettato sotto il tappeto materiali di risulta della costruzione di edifici, rifiuti più o meno ingombranti e altri oggetti di varia natura.
Non ultimi, alla fine del tracciato del Vallone San Rocco emergono anche diverse lastre di eternit abbandonate da chissà quanto tempo. Mai ho benedetto tanto la mascherina (utile anche per moscerini, ragni e per l’allergia al polline)!
Sogni di riqualificazione
Dopo quarant’anni di abbandono, un progetto interessantissimo per il recupero del Vallone San Rocco fu presentato nel 2012, dopo il primo progetto di riqualificazione del parco cominciato nel 2003 e finito nel 2011: sembrava una nuova era, con una pavimentazione rifatta completamente (fermata ai primi 500 metri di strada, a dire il vero) e con la creazione di un percorso pedonale in un punto che oggi è completamente sparito sotto la vegetazione.
Poi, alla conclusione della prima facciata del progetto, il Comune di Napoli annunciò un ambiziosissimo piano per la creazione di un parco pubblico di 100 ettari, di dimensioni paragonabili solo al Bosco di Capodimonte e collegato con quest’ultimo. Sulla carta il Vallone di San Rocco doveva diventare una sorta di “Central Park” di Napoli Nord con strutture ricreative, piscine, aree picnic, zone ciclabili e ogni sorta di amenità che d’altronde sarebbe degna di un quartiere che porta il nome di “Colli Aminei“. I costi ammontavano a 20 milioni di euro, escluse tutte le spese straordinario per lo smaltimento di rifiuti e acque reflue. Gli ingressi sarebbero stati aperti direttamente davanti alla Metropolitana dei Colli Aminei, San Rocco, Chiaiano, Capodimonte e Via Nicolardi. Un quartiere immerso nel verde che, sulla carta, avrebbe fatto invidia a tutta Italia.
Una storia di insulti alla natura
I problemi erano due: in primis gli espropri, alla caccia dei proprietari di quei fazzoletti di terreno individuati sulla caotica lottizzazione fatta nei lontani anni ’60, e in secondo luogo la bonifica del territorio, sottolineata anche dallo Studio Majone che ha presentato il progetto di risanamento idraulico del Vallone con la costruzione di un nuovo sistema fognario per i Colli Aminei.
Sono infatti visibili gli scarichi fognari che finiscono direttamente nell’Alveo di San Rocco, conosciuto dai residenti più attempati come “Fiume Bellaria“, probabilmente l’ultimo corso d’acqua collinare ancora visibile, fatta la buona pace del Cavone Case Puntellate che vive sottoterra. Incredibilmente, anche gli scarichi fognari del Policlinico inizialmente finivano dentro il corso d’acqua. Allo stesso modo c’erano anche numerosi allacci fognari abusivi che finivano dritti dritti nel fiume.
Come spesso accade, però, i progetti straordinari e più ambiziosi spesso naufragano fra le carte di qualche tribunale, le complicazioni burocratiche e i lavori imprevisti che non si completano più. Dall’altro lato abbiamo il parco di Via Nicolardi, che nacque nel 2008 al posto del centro ricovero per gli sfollati del Terremoto del 1980: nei progetti doveva essere “la porta del Vallone”. L’ultimo atto di questa vicenda è arrivato con le dimissioni nel 2020 del presidente dell’Ente Parco Metropolitano delle Colline.
E così, mentre questa vallata ha sempre mostrato il suo volto amico al popolo napoletano, fornendo materiale solido per le costruzioni, riparo e alloggio durante la guerra e preservando un rettangolo di natura nella stagione del cemento, l’Uomo ha risposto con un vero e proprio pestaggio fatto di rifiuti e scarichi abusivi, caccia ed eternit. E si è salvato per puro caso da costruzioni abusive. Ma il Vallone San Rocco, benevolo e paziente come solo Madre Natura sa esserlo, attende di diventare di nuovo un luogo amico dei cittadini.
-Federico Quagliuolo
Per approfondire:
Il progetto di riqualificazione del Comune di Napoli
Studio Majone
Tutti gli aggiornamenti sul lavoro di risanamento del sottosuolo dal 1999 al 2014
Storia giudiziaria del Vallone San Rocco
Ente Parco Metropolitano delle Colline di Napoli
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