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Nel viavai di pedoni e automobili di Via Fieravecchia, poco al di fuori del centro antico del capoluogo di provincia campano, è difficile immaginare che, proprio nei luoghi oggi occupati dai palazzi, si svolgeva la Fiera di Salerno. Nacque nel 1258 e fu per diverso tempo il più importante evento mercantile d’Italia.
Tutta la città lo aspettava e, nei 10 giorni di fiera, addirittura veniva nominato un responsabile che diventava a tutti gli effetti un re di Salerno.

Si potevano trovare merci da ogni parte del mondo: nelle ultime edizioni si menzionano addirittura oggetti del Giappone, e delle Americhe!

Anche dopo la fine dei tempi d’oro fu un punto di riferimento culturale e commerciale fino alla soppressione nel 1811 voluta da Gioacchino Murat, nel suo progetto politico di riorganizzazione delle province meridionali.

Salerno antica
Una veduta di Salerno antica fatta da un incisore francese. In vendita su questo sito.

L’evento di San Matteo

La Fiera di Salerno si svolgeva in due periodi diversi e la sua prima edizione si svolse nel 1259. I giorni di festa erano il 4 maggio e il 21 settembre, in occasione delle due feste di San Matteo, il patrono di Salerno (e infatti, non a caso, l’intera fiera diventerà nota come “fiera di San Matteo“).

Se ancora nel mondo moderno le fiere sono un’occasione di stupore e meraviglia, dall’Expo di Milano del 2015 alla nostra Mostra d’Oltremare del 1940, ci risulta più facile contestualizzare l’impatto straordinario che avevano degli eventi simili nel Medioevo sia sul popolo che sull’economia locale. Proprio a causa delle crociate, per giunta, cominciarono a giungere tantissimi manufatti e prodotti esotici nei paesi occidentali, creando curiosità e domanda per i nuovi prodotti. Allo stesso modo, per il popolo la fiera era considerata il momento di festa per eccellenza: era un’attesa fra un evento e l’altro, che nel corso degli anni furono arricchiti sempre di più con attrazioni, saltimbanchi, spettacoli teatrali, botteghe cariche di cibo e aperte giorno e notte.

Con le dovute proporzioni, ritroviamo le stesse dinamiche ancora oggi nella città di Giffoni, che tutto l’anno freme in attesa del suo festival annuale.

San Matteo patrono di Salerno
San Matteo, patrono di Salerno. Foto della Diocesi

Feste indimenticabili alla fiera di Salerno

In occasione della fiera di Salerno giungevano mercanti da ogni parte del Mediterraneo: lungo le strade e gli spiazzi ad ovest delle mura cittadine si radunavano lucchesi, pisani, fiorentini, genovesi, catalani. Anche i napoletani e i cittadini di buona parte della Campania accorrevano alla Fiera, che inizialmente durava 8 giorni poi, a causa dell’immenso afflusso di visitatori, Carlo I d’Angiò decise di estendere l’evento a 10 giorni.
All’invasione di visitatori, che facevano anche raddoppiare il numero di residenti a Salerno in quei giorni, i cittadini rispondevano cercando di guadagnare il più possibile: spesso si convertivano le proprie case in ostelli, le botteghe e i lavoratori invece fittavano delle baracche per poterle adibire a negozi temporanei nei luoghi di fiera, che si trovavano generalmente al di fuori delle mura della città. Questo evento era anche l’occasione dell’anno per i mercanti e gli artigiani dei piccoli paesi, soprattutto dal Cilento e dall’Irpinia, che caricavano interi carri dei migliori prodotti per garantirsi il massimo dei guadagni, che spesso finivano fra i risparmi invernali.

Non ultimi gli Ebrei, che a Napoli e Salerno avevano comunità molto ben radicate, furono ben felici di far fruttare il proprio talento negli affari. Addirittura le date delle fiere diventavano per la città una misura del tempo, un po’ come i greci usavano le Olimpiadi: si dava la scadenza di un debito o di un appuntamento al prossimo appuntamento fieristico, come emerge in molti contratti ripresi dagli studiosi della Fiera.

Fiera di Salerno medioevo
Una fiera medievale

Il mastro di Fiera, un re di Salerno per 10 giorni

Data la crescente popolarità dell’evento già nei suoi primi anni di vita, fu necessario per la città creare la figura del “Mastro di Fiera”, che era letteralmente l’addetto che ogni anno prendeva in carico il compito di organizzare l’evento nel modo migliore possibile. Come spesso accade in Italia, anche questo incarico fu di natura ereditaria, nonostante non ci fosse. Fu infatti per secoli l’importantissima famiglia Ruggi d’Aragona ad avere il monopolio sull’organizzazione della fiera di Salerno. E tecnicamente, in quei 10 giorni di festa, i poteri erano pari a quelli di un vero re della città.

Quella del Mastro di fiera era una figura dotata di poteri giudiziari e governativi. Tutte le competenze sulle questioni civili e penali della corte della Bagliva (le cause di minor valore), ad esempio, finivano in capo al mastro. Per giunta era anche legittimato ad ingaggiare una guardia armata, che poteva far uso di qualsiasi tipo di violenza ritenesse necessaria, per ottenere i tributi dai mercanti. Perché chiaramente il Regno non imponeva tasse sulle importazioni, ma il mastro di Fiera richiedeva dei compensi per il lavoro di organizzazione dell’evento, sotto forma di costo degli alloggi dei mercanti.

L’annuncio della nomina (assai prevedibile) dei vari mastri di fiera era fatta in pompa magna nel Duomo di Salerno. Davanti a una funzione sacra, era accompagnato da un picchetto di guardie e occupava il posto a sedere dello Straticò, che in tempi normali era il deputato alla gestione della giustizia cittadina. Dopo il momento di cerimonia solenne, con le campane a festa che annunciavano l’inizio della fiera, l’intero governo cittadino era considerato estraneo per i 10 giorni di festeggiamenti, dato che praticamente l’intera città era gestita dal Mastro, che si muoveva fra i mercanti con il fare di un sovrano.

La prima scelta degli organizzatori fu quella di dividere la città di Salerno per territori, in modo da suddividere i vari mercanti per tipologia: lungo la spiaggia c’erano lunghissime file di barche con pescatori che vendevano alici, arighe e altri prodotti ittici. Più in là c’erano i venditori di oggetti e scarabattole provenienti dall’oriente e davanti alle mura occidentali c’erano i venditori di prodotti agricoli.
Poi fu deciso di chiudere i negozi in città: tutti i mercanti salernitani, infatti, furono obbligati a portare anche loro le proprie mercanzie dalle parti di San Lorenzo, Tarcinale e Portanova, che erano le tre piazze principali dove si svolgevano i mercati. Per giunta i commercianti salernitani erano proprio i più colpiti dalle tasse imposte dal mastro di fiera, che rendeva così più appetibile l’ingresso in città di merci dall’estero. L’amministrazione salernitana fu costretta addirittura a scendere a patti con il mastro per diminuire la pressione fiscale sui poveri salernitani, che erano chiaramente svantaggiati. I vari mastri di Fiera non rinunciarono ai propri compensi, così l’unica soluzione fu quella di usare le casse della città di Salerno per pagare parte dei tributi richiesti ai propri cittadini.

Inutile dire che queste prepotenze portarono a numerose agitazioni della popolazione, comprese anche rivolte, come quella del 1656 che fu repressa con un intervento militare: il popolo era anche esasperato dall’epidemia di peste di quell’anno.

Giovanni da Procida fiera di Salerno
Un ritratto di Giovanni da Procida

Una mossa politica geniale

L’idea di realizzare la fiera di Salerno fu di Giovanni da Procida, uno dei più brillanti e intelligenti politici del suo tempo, nonché cittadino salernitano. Era un fidatissimo consigliere di Re Manfredi di Svevia, il figlio dello Stupor Mundi, Federico II. Ad avviso di Giovanni, infatti, era necessario creare un evento che esaltasse la vocazione commerciale di Salerno, che da sempre era città di navigatori e porto molto importante. Gli eventi fieristici erano infatti già conosciutissimi in altri paesi del mediterraneo, sopratutto dalle parti francesi, e quindi anche il Regno di Sicilia doveva avere la sua fiera.

Oltretutto ci fu una trovata geniale: i mercanti in fiera godevano di una “zona franca”, ovvero non pagavano tasse sulle proprie merci. Con una lungimiranza da politico illuminato, Giovanni da Procida aveva capito perfettamente che un flusso economico consistente sul territorio avrebbe generato benessere. E il benessere avrebbe portato ricchezze anche per le casse di uno Stato che, presto, avrebbe affrontato uno dei terremoti politici più grandi della Storia d’Italia con l’arrivo degli Angioini.

Per capire l’importanza che fu data alla Fiera di Salerno, basterà notare che nel 1260 fu promossa la completa ristrutturazione del molo longobardo della città, che ancora oggi si chiama, non a caso, “Molo Manfredi”. Insomma, l’idea fu quella di creare un evento internazionale capace di attrarre flussi economici in città e di aumentare il prestigio del regno. Scommessa riuscitissima.

Poi arrivò quel fatidico 1492. Un italiano pensò di aver scoperto la rotta per le Indie, poco dopo un altro connazionale capì che era un mondo nuovo e gli diede il suo nome. L’America invasa dagli Europei fu miniera d’oro, terra selvaggia, luogo di grandi orrori e grandi orizzonti. E il centro del mondo, improvvisamente, si spostò dal vecchio Mediterraneo all’Oceano Atlantico con i suoi mari selvaggi. La fiera di Salerno nel XV secolo aveva perso già da tempo lo scettro di fiera più grande del Mediterraneo, ma rimaneva una tradizione storica di grande interesse e ricchezza. Gli angioini, infatti, spostarono a Napoli il centro di potere del loro regno e investirono ingenti risorse per concentrare politica, commercio e potere nella nuova capitale. E Salerno si trovò ad affrontare un lento declino che, nelle feste della sua fiera, cercava di dimenticare ricordando quei tempi in cui era uno dei porti più importanti del Mediterraneo.

-Federico Quagliuolo

Riferimenti:
Andrea Sinno, La Fiera di Salerno, Ente Provinciale per il Turismo, Salerno, 1959
Mimma De Maio, Il commercio solofrano e la fiera di Salerno nel XVI secolo, solofrastorica, Solofra 2010
Taviani, Carozzi, Vetere, Leone, Salerno nel Medioevo, Congedo Editore, Milano, 2000

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