Il Museo Archeologico Nazionale di Napoli accoglie stupendi capolavori dell’arte antica. Tra queste opere spicca senza dubbio l’immensa scultura in marmo conosciuta come il Toro Farnese. Ma qual è la storia che si cela dietro la “montagna di pietra”?
Il ritrovamento del Toro Farnese
Il gruppo scultoreo del “Toro Farnese” fu ritrovato nel 1545 nell’area delle Terme di Caracalla a Roma. Gli scavi furono promossi da Papa Paolo III Farnese, intenzionato a trovare sculture antiche per abbellire la sua dimora. Il ritrovamento ebbe un’eco enorme, pari a quella suscitata dal Laocoonte nel 1506 sull’Esquilino.
L’opera entra dunque nella collezione della Famiglia Farnese, anche dopo il loro trasferimento a Parma. Nel 1731 la collezione d’arte, compreso il Toro Farnese, passa in eredità ai Borbone, in quanto Elisabetta Farnese convola a nozze con Filippo V di Spagna dando alla luce Carlo.
Il mastodontico manufatto fu portato a Napoli per mare nel 1788, scortato da una nave da guerra. Fu collocato inizialmente nel giardino della Villa Reale a Chiaia, esposto alle intemperie. Infine fu definitamente posizionato nelle sale del Museo Archeologico Nazionale a partire dal 1826.
Il supplizio di Dirce
Il Toro Farnese rappresenta una scena concitata proveniente dalla mitologia classica. Narra infatti l’episodio del supplizio di Dirce, la regine di Tebe, che viene descritto in diversi testi classici tra i quali la perduta tragedia di Euripide.
Antiope, punita per i suoi amori illegali con Zeus, viene affidata allo zio Lico, re di Tebe. È costretta anche ad abbandonare i due gemelli nati dall’amplesso con il Re degli Dei, Leto a Anfione. I due fratelli vengono però trovati e accuditi da un pastore.
Antiope si rincontra anni dopo con i figli sul monte Citerone, raccontando loro tutte le angherie e i soprusi subiti per opera di Dirce, moglie di Lico. Leto e Anfione, quindi, decidono di vendicare la ritrovata madre. Durante un corteo in onore di Dioniso legano Dirce con una corda a un toro inferocito. Il corpo della donna viene quindi trascinato e dilaniato dalla furia incontenibile dell’animale in corsa.
Un originale greco o una copia romana?
Inizialmente si ritenne che il Toro Farnese ritrovato alle Terme di Caracalla fosse proprio l’opera originale che Plinio il Vecchio, nella sua Naturalis Historia, cita come figlia degli scalpelli di due scultori di Rodi della seconda metà del II secolo a.C.: Apollonio e Taurisco.
In realtà si tratta più verosimilmente di una copia romana del I o del III secolo D.C. Ciò non diminuisce affatto la preziosità di questo marmo che costituisce la più grande opera scultorea proveniente dal mondo classico. Le sue dimensioni (295×370 cm) giustificano a pieno il suo soprannome di “montagna di pietra“!
Analisi dell’opera
L’aspetto attuale dell’opera è il risultato di una serie di restauri che l’hanno interessata fin dall’antichità. Ma intaccate risultano la sua dinamicità e l’originale teatralità della scena arricchita da una moltitudine di personaggi e di dettagli di contesto.
Il punto di vista privilegiato è a sinistra da dove è possibile osservare in un unico colpo tutti i personaggi: Dirce che, al di sotto del toro imbizzarrito, si dimena nel tentativo di liberarsi; Anfione che tira la fune; Zeto che con impeto immobilizza la testa dell’animale prima di liberarlo nella sua sfrenata corsa; Antiope che assiste impassibile alla scena.
Il gruppo scultore è ricavato da un unico blocco di marmo e ha una struttura piramidale che lo rende ancora più imponente, ma non pesante. Intorno ai protagonisti principali si succedono una serie di elementi di evocazione dionisiaca e la fauna del monte Citerone, dove venne consumato l’atroce supplizio.
Una straordinaria opera custodita a Napoli
La leggenda di Dirce termina con l’intervento divino di Dioniso (Bacco per i romani). Il dio, commosso dalla triste sorte di una sua fedele adulatrice, la trasforma in una fontana, portando Antiope alla follia.
Il Toro Farnese è una straordinaria testimonianza del mondo classico che stupisce per la sua mole imponente ma al contempo per la sua stupefacente dinamicità. E il fatto che sia custodita a Napoli è senza dubbio un motivi d’orgoglio per la nostra terra!
Fonti
- Corriere della Sera, I capolavori dell’arte–Musei del mondo. Museo Archeologico. Napoli, 2016
- Bora – Fiaccadori – Negri, I luoghi dell’arte. Dalla Preistoria al VI secolo d.C., Electa Scuola, 2009.
- S. De Caro (a cura di), Museo Archeologico Nazionale di Napoli, Electa Napoli. Soprintendenza archeologica di Napoli e Caserta 1999.
- Il Toro Farnese e M. Curzio che si getta nella voragine, Grimaldo, Venezia 1862.
- MANN Stories – Toro Farnese
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