Se si vive un’esperienza di taglio culturale, la contaminazione, unita ad una propensione naturale, può offrire un unicum nell’esperienza della vita di un artista, e di conseguenza del suo pubblico. Talvolta però è possibile andare anche oltre determinati canoni e riuscire, in maniera quasi incontrovertibile, a generare un “prima” e un “dopo“, uno stile riconoscibile e preciso. Pino Daniele è riuscito a superare il suo talento cristallino da cantautore diventando un’icona.

Chi era Pino Daniele?

Primo di sei figli di un lavoratore portuale, abitò prima nel Quartiere Porto di Napoli, poi dalle zie nei pressi di Santa Maria La Nova.

Amante della musica sin da bambino, decise di esibirsi in una festa, a dodici anni intrattenne durante una festicciola i suoi amici, cantando e scoprendo l’ansia di esporsi davanti ad un pubblico.

Crescendo e formandosi nel clima sessantottino dell‘Armando Diaz, dove si diplomò in ragioneria, imparò da autodidatta a suonare la chitarra.

Assieme al suo compagno di classe Gino Giglio, fondarono i “New Jet“, partendo dalle prove sul quartiere Sanità ed iniziando con le prime esibizioni.

Erano anni d’oro per la musica napoletana, lo stesso tempo in cui anche un giovane Edoardo Bennato si faceva strada nel mondo artistico, come se il contesto stesso della città spingesse, ancora una volta, verso l’originalità e la voglia di differenziarsi rispetto al passato.

Nel 2012 uscì un album inedito, “Arrivederci“, risalente alla sua carriera da sessionman tra il 1975 e il 1976, anni in cui la formazione di Pino prendeva una direzione specifica e conobbe uno degli uomini che più degli altri contribuì all’apertura della sua musica: James Senese, cantante italiano figlio di un soldato afroamericano.

Il legame con Napoli e il blues

Terra mia”, “Suonno d’ajere”, “‘Na tazzulella ‘e cafè”, “Libertà”, “Napule è“, composta a 18 anni, sono alcuni dei primi brani dell’allora giovanissimo cantautore, il quale vedeva l’inizio della sua carriera come raggiante con la pubblicazione di questi pezzi, divenuti nel tempo e riconosciuti come dei veri e propri simboli.

Allo stadio San Siro di Milano, di fronte 80mila persone, al concerto di Bob Marley il 27 giugno 1980, Daniele suonò nell’apertura. Era ormai entrato di diritto, a soli 25 anni, nel panorama internazionale degli artisti.

L’anno successivo con la pubblicazione di “Nero a metà“, invece, il suo nome è presente nella storia della musica, risultando 17esimo nei “100 album italiani più belli di ogni tempo“, stilata dal Rolling Stones nel 2012. Vista la strenua competizione e la produzione di altissimo livello della categoria, è un risultato unico.

Pino Daniele, James Senese, Rino Zurzolo, Joe Amoruso e Tullio De Piscopo, cinque napoletani davanti ad una Piazza del Plebiscito contenente 200mila persone danno inizio ad una nuova era musicale, unica e irripetibile: comincia il Neapolitan Power, uno stile che parte dalla tradizione napoletana e si unisce al funk, al rock, al blues e al jazz.

Gli anni ’80 del cantautore segnarono dunque la sua consacrazione tra i migliori artisti in circolazione e talento e tenacia trascinano per mano il ragazzo che abitava in un basso di Napoli direttamente nell’Olimpo del panorama musicale di ogni tempo.

Pino Daniele e Massimo Troisi

Pensare che la produzione artistica e culturale non comporti una rinascita morale e sociale di un territorio probabilmente non solo ignora la Storia, ma non ha coscienza della realtà delle cose.

Una terra come Napoli ha vissuto infatti parte della sua ripresa in degli anni non particolarmente felici sotto molti punti di vista proprio grazie a dei “cittadini straordinari” che hanno segnato l’epoca.

Tra questi, Pino Daniele e Massimo Troisi che cementificarono la loro amicizia, divenuta simbolo, inizialmente grazie ad un programma in onda nel 1977: “Non Stop“.

Durante un documentario di Anna Praderio, una scena iconica rivela il rapporto affettuoso e di reciproca stima fra i due nel momento in cui, mentre il regista di San Giorgio a Cremano è alla ricerca di una colonna sonora per il suo prossimo film “Credevo fosse amore e invece… era un calesse“, Pino Daniele grazie alla sua mente (e alle sue mani) partorisce uno dei brani più belli e significativi del panorama italiano: “Quando” che, almeno nelle riprese, dopo diversi sketch comici l’attore lima e corregge.

Quando” prima e “Saglie Saglie” poi divennero la rappresentazione della sinergia di due amici dotati di un talento naturale e una sensibilità artistica senza pari.

Altri brani presenti del repertorio del musicista nei film del fraterno amico sono presenti in “Le vie del Signore sono finite” e “Ricomincio da tre“.

La continua ricerca

Tournée condivise con artisti italiani e internazionali provenienti da stili musicali profondamente diversi, premi vinti, album pubblicati, niente di tutto questo riusciva a saziare l’enorme fame del cantautore partenopeo verso la ricerca e lo studio, con il fine di abbattere, ancora una volta, i muri non solo musicali ma anche culturali fra le varie estrazioni.

Il pop, la musica nordafricana, fino ai madrigali del ‘500, il tutto misto all’identità del genio pregna di tradizione napoletana e jazz.

Io sono Pino Daniele e vivo qui” è l’esempio. Rimi latino-americani uniti alla tradizione partenopea.

Memoria

Il 4 gennaio del 2015 Pino Daniele si spegne a causa di un arresto cardiaco. Dopo la notizia circa 100mila persone accorrono a Piazza del Plebiscito.

Increduli, tristi, malinconici e pieni di lacrime, la folla immensa ricorda una delle più grandi icone napoletane, capace di scrivere e segnare in maniera indelebile una delle più belle pagine della storia italiana.

Giuseppe “Pino” Daniele, leggenda in vita, diventa immortale nell’anima di Napoli.

Fonti:

Nero a metà. Dalle origini a “grande madre”, tutta la poesia di Pino Daniele, Roma, Arcana Editrice, 2012. Nero a metà. Dalle origini a “grande madre”, tutta la poesia di Pino Daniele, Roma, Arcana Editrice, 2012. 

Pino Daniele. Cantore mediterraneo senza confini

Dizionario completo della canzone italiana, Firenze

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