Ferdinando Galiani fu uno degli intellettuali più famosi e amati del XVIII secolo ed è conosciuto per essere uno dei massimi economisti della Storia umana. Rappresentò in tutto lo spirito dell’illuminismo: era economista, letterato, matematico, poeta e scienziato. Era curioso di ogni cosa, innamorato della vita e della conoscenza. E conquistò un prestigio tale da essere accolto con favore in tutte le corti d’Europa, da Londra a Parigi.
Lui, però, rimase sempre fedelissimo a Carlo di Borbone e perdutamente innamorato della città di Napoli. Per capire infatti il filo conduttore delle grandi opere intellettuali che caratterizzarono il ‘700 napoletano, dobbiamo spesso risalire al suo nome.
Ci basterà pensare che fu proprio lui a convincere il cartografo Giovanni Antonio Rizzi Zannoni a trasferirsi a Napoli, così come fu la sua opera diplomatica a contribuire all’indipendenza di Napoli da qualsiasi dominio straniero.
Geniale, cinico e bizzarro
Era di origine abruzzese: nacque a Chieti, capoluogo della provincia d’Abruzzo Citeriore, quando Napoli era sotto il dominio austriaco. Era infatti il 2 dicembre 1728 e l’antico Regno sarebbe presto diventato autonomo grazie all’arrivo di Carlo di Borbone.
Per il giovane si presentò avanti subito la strada dello studio: mentre girava la Puglia assieme al padre, che di lavoro faceva il regio uditore (un magistrato), fu notato dallo zio che era arcivescovo di Taranto: decise di portarlo con sé prima a Foggia e poi a Napoli, per avviarlo agli studi.
La cultura era infatti accessibile solo nei monasteri e presso gli istituti della Chiesa, prendendo i voti e dedicandosi ad una vita di studio. Era anche un modo per vivere grazie alle rendite della Chiesa, senza gli affanni di una vita passata a cercar lavori. Diventò così abate a 21 anni.
Durante il suo periodo napoletano fu allievo di Antonio Genovesi ed ebbe modo di studiare Giambattista Vico.
“Sono Ferdinando Galiani, filosofo e buffone”
Si presentò proprio così davanti ad uno degli uomini più potenti del pianeta, il Re di Francia Luigi XV. Era infatti di corporatura esile, con un’altezza ridicola e vestiti sobri e dai colori scuri, che contrastavano in modo fortissimo con lo sfarzo, l’oro e la magnificenza della corte di Parigi: quando per la prima volta il sovrano francese vide arrivare dinanzi a lui il napolitano, che aveva appena 31 anni, scoppiò in una risata. E con lui tutta la corte cominciò a deriderlo per la sua bruttezza e per l’aspetto che proprio non si addiceva all’atmosfera che, presto, sarebbe stata distrutta dalla Rivoluzione.
Un’accoglienza del genere avrebbe atterrito chiunque, e invece l’abate reagì in modo brillante. Si definì con una battuta tanto cinica quanto sorprendente: “Sono Ferdinando Galiani, filosofo e buffone“. E, per rompere l’ilarità generale, disse: “Sire, ecco un campione del segretario di Napoli: quello intero verrà dopo“. Furono tutti sorpresi dall’autoironia dell’abate e, con grande favore, fu subito accolto dal re e dalla nobiltà francese.
La visita di Galiani in Francia, che durò per ben 10 anni, non fu però un viaggio di piacere: l’intellettuale era infatti stato scelto da Bernardo Tanucci in persona, l’uomo più potente del Regno di Napoli dopo Carlo di Borbone, per andare come Segretario di Stato presso tutte le corti d’Europa e sancire diplomaticamente il riconoscimento dell’indipendenza di Napoli da qualsiasi corona straniera. Era un lavoro dalla difficoltà massima e dal peso storico immenso, se pensiamo che l’ultimo sovrano indipendente la città l’aveva visto più di 200 anni prima, con l’estinta dinastia degli Aragona. Ferdinando Galiani riuscì nell’impresa in modo brillante, garantendo la sopravvivenza del regno nella delicatissima fase di transizione in cui Carlo tornò in Spagna e Ferdinando IV, di appena 8 anni, ereditò il regno.
Anzi, Galiani fu talmente amato dagli ambienti intellettuali francesi che divenne una vera e propria star dei salotti parigini. Per la sua intelligenza unita a uno spirito ironico, divertente e raffinato fu soprannominato “Machiavellino” o “Arlecchino”.
Grazie all’amicizia con Louise d’Epinay, diventò anche amico stretto di Denis Diderot, l’enciclopedista e intellettuale protagonista dell’illuminismo, così come ebbe modo di conoscere Alessandro Verri e Cesare Beccaria.
Un contributo fondamentale alla Storia dell’economia
Non dobbiamo ricordare la scuola napoletana di economia solo per il maestro Antonio Genovesi, che ebbe il merito di inaugurare il primo corso universitario in questa materia o per il “Diario Notizioso”, che fu il primo quotidiano d’Italia, per giunta dedicato proprio alle materie economiche.
Nel 1751, prima della partenza in Francia, Ferdinando Galiani scrisse il saggio che lo rese famoso in tutto il mondo. Si chiamava “Della Moneta” e lo dedicò a Carlo di Borbone, Re di Napoli e di Sicilia. L’abate aveva solo 23 anni ed elaborò il suo pensiero in occasione di una grave crisi monetaria all’interno del Regno.
Trattò tutti gli aspetti più rilevanti legati alla questione del denaro: dalla diversità dei materiali per la realizzazione delle monete arrivando al rapporto fra prezzo e valore di un bene, definendo i principi di rarità, utilità e sforzo che ancora oggi sono alla base delle teorie economiche moderne.
Una delle parti più importanti e famose del trattato è legato al concetto di “alzamento” del valore della moneta, ovvero il calo di valore che ha una moneta rispetto alle altre.
Un magistrato creativo
Al ritorno dalla Francia fu coperto d’onori e di gloria da Ferdinando IV e dal suo entourage, nonostante fosse uno degli uomini più stretti di Tanucci, che nel frattempo era caduto in disgrazia.
Ebbe magistrature e numerosi incarichi pubblici: diventò consigliere del Supremo Tribunale del Commercio, poi presidente della Giunta dei Reali Allodiali, l’organo di Stato che si occupava della gestione e della cura del patrimonio personale del Re.
E ancora, nel 1782 diventò assessore del Consiglio superiore delle Finanze e due anni dopo finì nel Fondo della Separazione, gestendo l’intero aspetto economico del demanio militare.
Ma non si fermò al lavoro giuridico. Si dedicò infatti ad ogni sorta di divertimento culturale: studiò la storia del linguaggio napoletano (scrisse uno dei primi vocabolari Italiano-Napoletano!), si dedicò allo studio delle piante e della biologia, poi diede sfogo alla sua vena comica cominciando a scrivere piccole operette umoristiche con lo pseudonimo di Onofrio Galeota. Non ultimo, fu un assiduo frequentatore del Real Officio Topografico, fondato dall’amico Rizzi Zannoni che venne a Napoli proprio su suo consiglio.
Per intenderci, quasi ogni aspetto dell’economia napoletana fu per 15 anni nelle mani di Ferdinando Galiani. E anche quando ebbe un colpo apoplettico (era per giunta malato di sifilide da molto tempo), ormai con la salute in pessime condizioni, riuscì a realizzare un importante trattato commerciale con la Russia, che fu poi la base per la futura alleanza che verrà diversi decenni dopo con Ferdinando II.
Fu l’ultima firma di un uomo che, con le sue opere, ha cambiato il pensiero economico mondiale. Morì a Napoli il 30 ottobre 1787 e la città l’ha ricordato con una bellissima strada a Mergellina, inaugurata circa cent’anni dopo la sua morte. La comunità scientifica, invece, gli ha dedicato addirittura un asteroide: 11958 Galiani.
L’eredità di Galiani
Se la vita del nostro geniale abate ci sembra lontana nei secoli e persa fra le teorie moderne di Friedman, Keynes e di tutti gli altri studiosi dell’economia, in realtà ci sbagliamo di grosso. Pensiamo infatti che uno dei maggiori studiosi del pensiero dell’abate napoletano fu Luigi Einaudi, secondo Presidente della Repubblica ed economista di fama mondiale. Fra i suoi ammiratori del passato, troviamo Alessandro Manzoni, Friedrich Nietzsche, Benedetto croce e Karl Marx.
-Federico Quagliuolo
Riferimenti:
Ferdinando Galiani, Della Moneta
https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1992/11/03/sono-galiani-filosofo-buffone.html
Franco Di Tizio, Ferdinando Galiani, Solfanelli Editore, 1998
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