Pudicizia e Disinganno, le statue che raccontano la famiglia Sansevero
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La Pudicizia e il Disinganno insieme al Cristo Velato, è la triade che il mondo dell’architettura più invidia alla città di Napoli. Le statue ubicate nel Museo della Capella Sansevero, ormai sconsacrata, furono commissionate da don Raimondo di Sangro. Quest’ultimo attribuì alla Pudicizia e il Disinganno un significato estrinseco, riconducendole alle personalità dei suoi genitori e alle sciagure familiari che subì fin da piccolissimo, ma anche all’esperienza massonica...

credit by David Sivyer

La Pudicizia, la vita spezzata di una madre

La Pudicizia è nota anche come “la verità velata“, ma prima di scavare più a fondo nella storia di quest’opera, eccelsamente eseguita da Antonio Corradini nel 1752, diamo una definizione di questo sostantivo.

La pudicizia è una “Disposizione d’animo e atteggiamento caratterizzati da un forte senso di pudore, di riserbo, di vergogna, specie nei confronti di quanto riguarda la sfera sessuale”.

Di pudicizia in questa statua ce n’è ben poca: la donna rappresentata infatti è coperta solamente da un velo, attraverso il quale si scorgono le forme sinuose del corpo. Il corpo sembra privo di ossa, quasi come se si volesse rappresentare una figura divina. Le velature, con le sue pieghe e le sue trasparenze rese con grande abilità, danno un tocco di grande realismo all’opera in stile Rococò. Il velo alla vista sembra attillato al corpo come se fosse umido, un effetto ottico voluto, che spiega anche la presenza di un brucia profumi ai piedi della statua.

La donna rappresentata è la madre di Raimondo di Sangro, Cecilia dell’Aquila D’Aragona, morta quando il principe aveva poco più di un anno. Questa sembra fluttuare nello spazio con lo sguardo perso nel tempo, le mani sostengono delle rose che cingono la vita quasi ad andare a celebrare la fecondità di quella donna, a cui la vita è stata spezzata. E’ spezzata, come la lapide che sembra essersi rotta un istante prima che si posi la vista su di essa, posizionata alla sinistra della donna.

La fretta del Corradini e altri rimandi alle divinità

Decisiva per la scultura è la fretta con cui è stata eseguita, la si nota da delle imperfezioni che di certo non possiamo considerare errori, ma che possono essere colti dagli osservatori più attenti. Osservando bene i piedi della Pudicizia non possiamo non notare dei buchetti sul dorso dei piedi: questi sono stati provocati da colpi dati dallo scalpelletto sul marmo troppo forti che hanno scheggiato il marmo in profondità, inutile fu la levigatura che non eliminò i segni.

Un’altra imperfezione la ritroviamo sempre sui piedi, ma questa volta soffermiamoci sull’anulare, sotto il quale è stato posto un piccolo sostegno in marmo, che va a sorreggere la statua. L’aggiunta fu dovuta all’eccessiva rimozione del marmo, che avrebbe dovuto sostenere la statua e che diminuì anche a seguito della levigatura.

Osservando l’opera, inoltre, non possiamo non notare le somiglianze con la dea Iside, divinità della maternità e fecondità, che nell’iconografia greca viene spesso raffigurata con il capo e il corpo coperti da un velo. Il rimando alla divinità si pensa sia stato voluto dal di Sangro, infatti prima che la cappella fosse costruita, nello stesso luogo sorgeva un tempio risalente alla Neapolis greca, in cui vi era una statua della dea Iside.

Queste similitudini non sono delle coincidenze, Raimondo di Sangro infatti non a caso associa Iside che non è soltanto dea della maternità ma anche della morte e della rinascita, così riprendendo quelli che erano gli ideali massonici e l’applicazione degli studi esoterici, a cui il Principe si dedicava costantemente.

Il Disinganno, la remissione dei peccati di un padre

credit by David Sivyer

Il Disinganno è un improvviso e spiacevole contatto con una realtà diversa da quella immaginata. Quante volte capita di illudersi e di farsi idee sbagliate su qualcosa o su qualcuno, tanto da restare profondamente delusi quando vi si va incontro alla realtà?

E’ ciò che successe a Raimondo di Sangro che, non solo perse sua madre, ma anche il padre, Antonio di Sangro che, non riuscendo ad affrontare il lutto, si dedicò ad una vita all’insegna dei vizi, abbandonò il figlio e viaggiò per il mondo. Ormai vecchio, il padre del di Sangro si pentì dei peccati commessi e chiese perdono a quel figlio che aveva trascurato per tutta la vita, convertendosi anche al sacerdozio. Il Disinganno nella cappella Sansevero racconta la storia di un figlio che prova compassione per il padre.

L’opera eccelsamente eseguita Francesco Quierolo, completata nel 1757, rappresenta un uomo che si libera da una rete, aiutato dall’angelo che troviamo alla sua destra.

L’uomo che si libera dalla rete, rappresenta il padre del di Sangro che si libera dai peccati commessi durante la sua vita, aiutato da un angelo che ha appoggiato sulla fronte una fiammella, allegoria dell’intelletto che spinge l’uomo alla redenzione.

Il bozzetto del gruppo scultoreo fu interamente disegnato da Raimondo di Sangro, ma lo scultore dovette affrontare diverse difficoltà tecniche, poiché il gruppo, e la rete compresa, che è quasi sospesa in aria, è stato scolpito in un unico blocco di marmo.

Particolare attenzione dobbiamo porre alla rete che riveste il corpo dell’uomo, crea un’illusione ottica tale da non credere che sia stata cesellata e lavorata interamente nel marmo. Il Quierolo impiegò ben sette anni affinché soltanto la rete fosse ultimata, una volta finita gli allievi della bottega dell’artista si rifiutarono di levigarla per paura che questa si potesse rompere durante la lavorazione.

Una leggenda che ha per protagonista sempre la stessa rete, racconta che durante la seconda guerra mondiale, un soldato tedesco rifugiatosi nella Cappella e incuriosito dalla statua del Disinganno, provò a tamponarne la rete con il calcio del fucile volendo testare il materiale di cui vi era fatta la statua.

Oltre alla rete ci sono diversi elementi del gruppo scultoreo che bisogna analizzare, uno di questi è il globo su cui l’angelo è poggiato e grande importanza dobbiamo dare anche al basso rilievo, che ritroviamo sul pilastro che sostiene l’opera. Il globo rappresenta i vizi del mondo, ma in particolare quelli del padre di Raimondo di Sangro.

Per quanto riguarda il bassorilievo, viene rappresentata una scena del Vangelo, dove Gesù dona la vista ad un cieco che potrebbe trarre in inganno. Non c’entra la Bibbia, bensì l’alchimista e inventore volle fare un riferimento esplicito alla loggia massonica da lui stesso creata. Uno dei riti di iniziazione della massoneria, infatti, era proprio far entrare bendato colui che voleva diventarne membro: una volta arrivato al cospetto dei maestri diceva “sono una cadavere che vuole risorgere” o “sono un cieco che chiede la luce“.

Bibliografia

Giovanni Liccardo, la grande guida dei musei di Napoli: storia, arte, segreti, leggende, curiosità. Newton & Compton editori.

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