Gennaro Rivelli è un nome di cui non si sente parlare spesso, una figura di secondo piano nella storia, seppur di fondamentale importanza nella vita del re Ferdinando IV di Borbone. Fianco a fianco fin da quando erano bambini, i due hanno vissuto a stretto contatto buona parte della loro vita, fino a che le azioni di Rivelli non divennero così riprovevoli da dover essere allontanato dalla Corte.
Il capro espiatorio di Ferdinando IV
Il legame tra il giovane principe Ferdinando e Gennaro Rivelli iniziò nel 1751, l’anno di nascita di colui che si sarebbe rivelato uno dei sovrani più longevi d’Italia. Per il figlio del re Carlo III fu scelta una balia originaria dell’odierna provincia di Salerno, Agnese Rivelli. Quest’ultima era solita portare con sè a Corte suo figlio Gennaro, un bambino di tre anni, robusto e poco educato, che non si ambientò mai del tutto nel luogo di lavoro di sua madre.
Con il passare degli anni, Ferdinando e Gennaro legarono molto e divennero prima compagni di giochi e poi di scherzi, dispetti e malefatte che rendevano difficile la vita di tutti coloro che lavoravano al Palazzo Reale, tra cui il ministro Bernardo Tanucci, che assunse la reggenza al posto di Ferdinando, troppo giovane per salire sul trono.
Pare che il carattere di Gennaro Rivelli, decisamente scostumato per un ambiente formale e serioso come quello di una famiglia reale, abbia fortemente influenzato il giovane Ferdinando, che preferiva trascorrere il suo tempo per strada, a divertirsi, anzichè partecipare a lunghe riunioni con nobili e dipolmatici al Palazzo e presenziare a noiosi eventi ufficiali, al punto da fargli attribuire il soprannome di “re lazzarone“.
I due, insieme, organizzavano scherzi alla servitù, sgattaiolavano fuori dalla reggia di sera per andare in strada, in mezzo ai loro coetanei, con cui ogni tanto scoppiava perfino qualche rissa, noncuranti del differente ceto sociale, salvo quando Ferdinando lo ostentava per vincere nei giochi.
Tuttavia, anche un giovane re deve ricevere un’educazione. I suoi dispetti ed i suoi comportamenti decisamente fuori dalla rigida etichetta di Corte dovevano essere puniti. Ma a ricevere la punizione non sarebbe stato Ferdinando, per nessuna ragione al mondo: nessuno in tutto il Regno può permettersi di scavalcare il sovrano in questo modo e di mancargli di rispetto, nonostante sia solo un bambino. L’unico responsabile delle malefatte fu il suo amico Gennaro, che avrebbe incassato rimproveri e punizioni d’ogni sorta, al posto del suo giovane re.
Una vita tra spionaggio, tradimenti e agricoltura
Al compimento dei sedici anni,Ferdinando IV assunse in definitiva il posto per cui era predestinato, quello di sovrano del Regno delle Due Sicilie. E non si dimenticò del suo amico Gennaro Rivelli, a cui assegnò un ruolo amministrativo nell’area di Salerno e il meno nobile compito di individuare i nemici della corona e farli arrestare.
Gennaro si dimostrò molto zelante: in breve tempo, le prigioni nei dintorni di Salerno si riempirono di persone sospettate di atti o pensieri sovversivi contro la Corona provenienti da tutto il Regno, contribuendo così a rendere sempre più indigesta la figura del Re al popolo.
Negli anni in cui si occupò di spionaggio, Rivelli si sposò con una donna del luogo dove era nato, Luisa. Tuttavia, sua moglie, che aveva un forte ascendente su di lui, non gradiva il lavoro di Gennaro. Senza difficoltà, lei riuscì a convincerlo a lasciare quell’incarico, per dedicarsi ad una più tranquilla vita di campagna.
Da Luisa, Gennaro ebbe due gemelli. Insieme trascorsero anni tranquilli, lontani dalla vita di Corte. Ma la tranquillità terminò nel momento in cui Gennaro venne a sapere dell’infedeltà di sua moglie, grazie ad una domestica.
L’uomo con cui Luisa tradiva l’ignaro Gennaro era nientemeno che suo fratello Lorenzo, un uomo istruito e caratterialmente molto diverso da Gennaro. Inoltre, era un prete.
Gennaro non ci vide più dall’ira. Uccise sua moglie a coltellate e poi fuggì in Calabria per sfuggire alla legge e alla cattiva reputazione che aveva aquisito nel paese in cui abitava.
Nei suoi anni da fuggitivo, si unì ad un gruppo di ribelli, ai margini della società, nel quale conobbe Fra Diavolo, che divenne suo compagno di malefatte: i due, insieme, si macchiarono di furti, omicidi e, addirittura, diedero fuoco ad un convento.
Ma Gennaro Rivelli non scontò mai una punizione per le sue azioni di quegli anni: quando tornò a Napoli, nel 1798, fu accolto calorosamente dal suo amico fraterno, il re Ferdinando IV, che obbligò i suoi ministri a concedere la grazia per quei crimini.
La rivoluzione del 1799
Tra la monarchia e la popolazione l’atmosfera era sempre più tesa, imperversavano le manifestazioni di dissenso e incominciavano le prime rivolte.
In quel fatidico anno, Gennaro Rivelli conobbe Fabrizio Ruffo, che aveva da poco formato l’esercito della Santa Fede. Rivelli ne prese parte senza esitazione, divenendo aiutante di campo del Cardinale. Insieme, guidarono spedizioni per sedare le rivolte in tutto il Regno.
Tra gli eventi più tristemente memorabili della carriera militare di Rivelli, ci fu la spedizione a Crotone, in cui lui e l’esercito sanfedista non si limitarono nel compiere nefandezze d’ogni genere, tra furti, stupri, omicidi e distruzione di edifici. E, al termine di tanta devastazione, il cardinale Ruffo organizzò un altare nel “campo di battaglia” e celebrò una messa per l’assoluzione dei peccati delle sue truppe.
A Potenza, dopo altre violenze, Rivelli e le truppe che erano con lui prelevarono il cardinale della città, che predicava contro la monarchia, lo portarono in una piazza e lo decapitarono. Dopodichè, portarono la testa in giro per la città. Pare che quel giorno abbiano incontrato pochissima resistenza, data la paura che incutevano.
Ad Altamura, accadde un evento non tanto diverso dagli esempi precedenti, così come da ogni tappa della sua risalita verso Napoli, se non addirittura più brutale. Gennaro Rivelli e gli uomini al suo seguito entrarono di prepotenza nel convento delle suore Orsoline, macchiandosi di altri orribili crimini e terminando quella spedizione contro innocenti con quaranta morti sulla coscienza.
Giunto a Napoli, contribuì insieme agli altri sanguinari membri dell’esercito di Fabrizio Ruffo a sedare i rivoltosi nella Capitale e rimettere il sovrano sul trono, seppur l’esercito sanfedista ebbe molto filo da torcere, come suggeriscono episodi quali il drammatico scontro presso il forte di Vigliena.
Gli ultimi anni di Gennaro Rivelli
Ripristinato l’ordine nel Regno, Rivelli fu congedato dall’esercito del Cardinale, dopo aver acquisito una terribile reputazione in tutto il Regno, date le nefandezze di cui si era macchiato. Tuttavia, decise di ritornare allo stile di vita a cui si era ben abituato, quello del criminale. Viveva alla giornata, insieme ad un gruppo di reietti, tra rapine e violenze. Con la fortuna dalla sua, ricevette una nuova grazia, così come molti altri soldati che avevano partecipato alla causa del sovrano e potè continuare a vivere sereno.
Desideroso, finalmente, di un po’ di tranquillità, tornò nelle campagne nel salernitano, dove era nato e dove aveva a vissuto a lungo, dopo che lo stesso amico fraterno Ferdinando IV non voleva saperne più nulla di lui, dato che gli orrori di cui si era macchiato erano divenuti troppi perfino per l’uomo che lo aveva sempre giustificato.
Nella sua terra natia, reincontrò suo fratello Lorenzo, che non aveva dimenticato la morte della donna che avevano entrambi amato e che, perdipiù, aveva cresciuto personalmente i due bambini abbandonati da Gennaro. Quando si incontrarono, Lorenzo sparò a suo fratello, ma lo ferì soltanto. Fu arrestato e, dopo un processo ed anche delle percosse da parte di un manipolo di delinquenti amici di Gennaro, finì in prigione in fin di vita.
Come ultima volontà, Lorenzo Rivelli volle rivedere i due ragazzi che aveva accudito come fossero figli suoi e che aveva mandato in Francia per studiare, uno medicina e l’altro giurisprudenza, cercando di dar loro una vita lontana da tanta violenza, nonostante li avesse cresciuti instillando in loro un profondo odio verso Gennaro, lo stesso che provava lui.
Così, i due fratelli Rivelli decisero di mettere in atto la vendetta desiderata da Lorenzo: scrissero a Gennaro, fingendosi desiderosi di reincontrarlo per riappacificarsi e vivere come una famiglia. Finalmente faccia a faccia con il loro terribile padre, uno dei due lo colpì con un mortaio, ma lo ferì appena. Tuttavia, Gennaro li perdonò.
Ma l’ira che i suoi figli avevano ereditato dallo zio era fin troppa: una sera, a cena, assicuratisi che il padre fosse indifeso, sfoderarono dei coltelli e misero fine alla sua vita, restituendogli la stessa violenza che aveva seminato.
I due fratelli non furono mai processati, nonostante la nuova moglie di Gennaro Rivelli avesse scoperto il corpo del defunto marito e avesse denunciato i due ragazzi, per via del succedersi della parentesi napoleonica e poi dei moti degli anni ’20 del XIX secolo.
-Leonardo Quagliuolo
Bibliografia
“Storie segrete delle famiglie reali” di Giovanni La Cecilia, 1860
“Lazzari: una storia napoletana” di O. Gurgo, 2005
“Napoli 1799” di C. Raia, 1998
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