“San Gennaro esce illeso dalla fornace” di Giuseppe de Ribera è uno dei quadri più significativi della possenza del Santo Gennaro durante il martirio.
San Gennaro: il culto familiare dei napoletani
Fiumi di inchiostro sono stati già utilizzati e migliaia di parole sono state scritte per raccontare non solo di San Gennaro, ma anche del rapporto intrinseco, a tratti familiare, che lega il Santo Patrono a Napoli, ma soprattutto ai Napoletani.
Tante anche le leggende che ruotano intorno a Lui: secondo una di queste non si chiamerebbe nemmeno Gennaro, ma Procolo.
“Gennaro” deriverebbe da “Ianurio” della Gens Ianuaria, famiglia nobile romana legata al culto del dio Giano. Diverse le fonti che ne attestano, però, storicamente il martirio: 305 d.C. sotto l’imperatore Diocleziano.
Molti i racconti legati alla sua nutrice e al suo aver raccolto il sangue di colui che un tempo era stato “il suo bambino” e che la barbaria delle persecuzioni anticristiane avevano ucciso.
Ma perché San Gennaro è stato decapitato?
I leoni ammansiti: il primo tentativo di uccisione di San Gennaro
Gennaro è arrestato e condannato a morte per la sua fede cristiana, all’interno dell’anfiteatro di Pozzuoli.
Questa tipologia di condanna, o meglio ancora di martirio, era tipica dei Romani.
Sono state centinaia i martiri che hanno trovato la morte a Roma nell’arena del Colosseo, divorati dalle fauci di bestie affamate. Lo stesso si fece con l’allora vescovo di Benevento ma le cose andarono diversamente: nella fossa dei leoni dell’anfiteatro di Pozzuoli le belve rimasero ferme, ammansite, lasciando tutti sconvolti.
La fornace: il secondo tentativo di uccisione
Ed ecco che si decide di ardere vivo il vescovo su di una fornace, cercando di mettere fine alla sua vita. E si procede, ma il giovane beneventano ne esce miracolosamente illeso.
Sì, San Gennaro esce illeso dalla fornace! Solo la decollazione alla Solfatara, nella cui Basilica ancora si conserva la pietra col suo sangue, gli toglierà la vita.
La tela di Ribera dedicata alla fornace alla Cappella del Tesoro
Jusepe de Ribera, meglio noto come lo Spagnoletto, è stato un pittore spagnolo estremamente attivo a Napoli, sull’onda del tempo barocco e del caravaggismo dal quale nascerà la scuola pittorica napoletana. Nel 1626 realizza una delle opere presenti all’interno della Cappella del Tesoro: “San Gennaro esce illeso dalla fornace“.
L’opera si presenta realizzata seguendo i dettami del barocco trionfante, i colori della tavolozza sono sgargianti, le figure delineate coi contorni risaltati ma che armoniosamente si sposano con gli altri.
La figura del Santo è quasi plastica, ma non è al centro della scena, risalta nelle sue espressioni, nell’atteggiamento stupito delle mancate ustioni.
I volti sconvolti degli astanti per quello che hanno appena visto, gli angeli sopra la mitra che col loro candoro volutamente contrastano con l’aquila dorata, emblema dell’impero romano.
Il contrasto angeli/aquila vuole anche mettere in risalto lo scontro tra Cristianesimo e impero, dal quale l’impero ne uscirà sconfitto.
L’arte nella Cappella del Tesoro di San Gennaro
La Deputazione del Santo volle all’epoca i migliori artisti sulla piazza per decorare la casa di San Gennaro. Lo Spagnoletto era uno di questi.
Il suo capolavoro si mescola e nel contempo risalta perchè racconta la possenza del Santo Gennaro e la potenza del Cristianesimo. Racconta della vittoria della Vita sulla Morte, la base della fede cristiana da cui ne deriva la Pasqua cristiana.
“Morte e Vita si sono affrontate in un prodigioso duello“
Recita così un verso della Sequenza di Pasqua, recitata nelle chiese all’ottava della Pasqua di Resurrezione.
Soltanto la decollazione alla Solfatara del 19 settembre 303, ha messo fine alla vita terrena di Gennaro, vescovo di Benevento.
Ma il sangue raccolto dalla sua nutrice e quello rimasto impresso sulla pietra della decollazione, col miracolo della liquefazione, lo rendono vivo sempre.
Bibliografia di riferimento
V. Pacelli – La pittura napoletana da Caravaggio a Luca Giordano – 1996
Edizioni Scientifiche Italiane – Cap. II pagg.: 59 – 91
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