Napoli ed il calcio hanno un legame indissolubile, un continuo incontrarsi in episodi che hanno fatto la Storia. In questo caso, il calcio femminile nasce proprio a Sud.
La storia del pallone napoletano non fu fatta, infatti, solo da Pesaola, Sivori, Cané e Maradona: nel più insospettabile dei modi, Napoli fu anche la patria del calcio femminile italiano, nel lontano 1950: il merito fu di Angela Attini, baronessa di Torralbo, un cognome che ricorda quel lontano sangue spagnolo che scorre in ogni cittadino di Napoli.
L’Italia degli anni ’50 era ancora stordita sotto le macerie di due guerre alle spalle, dagli edifici devastati e dalla voglia di dimenticare gli orrori vissuti: il compito della politica era quello di guidare la ripartenza economica, che a Napoli si trasformò nella colata di cemento più orribile della Storia.
E così, mentre il napoletano Enrico De Nicola firmava la Costituzione ed il suo compaesano Gaetano Azzariti ottenne la prima storica presidenza della Corte Costituzionale, a Napoli cominciarono a costituirsi le prime società sportive femminili d’Italia, un po’ con lo stesso spirito che guidò la nascita del Naples Football Club.
Nel frattempo, il Partito Nazionale Monarchico di Achille Lauro cercava nuovi consensi e nuove idee per adeguarsi a tempi in cui parlare di re e regine era diventato un antico retaggio del passato: fu proprio qui che, in una riunione nella Napoli che era l’ultimo baluardo dei monarchici, la consigliera Attini lanciò una proposta: “perché non incoraggiare lo sport femminile con una lega di calcio?”
Nella grigia sala riunioni del Partito caddero sguardi increduli, con Achille Lauro che, con sorriso beffardo, guardò Attini ed esclamò: “gonne, tacchi e pallone!”
Mentre scoppiavano le risa di tutti i rappresentanti del partito per una proposta così stramba, la donna, con grande testardaggine, continuò a battersi per la sua idea finché, nel 1950, vide la nascita della AICF, l’Associazione Italiana Calcio Femminile: le partecipanti furono Vomerese, Secondigliano, Napoli, alle quali si aggiunsero le cugine della Capitale, Lazio e Roma.
In realtà, Napoli non era nuova alle aperture dello sport verso le donne: già nel 1934 fu adottato dalla SSC Napoli, per la prima volta in Italia, l’”ingresso gratuito per le donne” nello Stadio Partenopeo, il primo stadio di proprietà di una squadra sportiva di Serie A mai costruito in Italia. Basta pensare che il successore sarà lo Juventus Stadium, oltre 70 anni dopo!
Parlando di stadi, il problema fu però grosso: proprio lo Stadio Partenopeo era stato nel 1942 reso cenere dalle bombe americane, il Collana era devastato dagli autocarri americani ed il San Paolo era ancora un plastico sulla scrivania dell’architetto Carlo Cocchia: mentre la SSC Napoli disputava le sue partite nell‘Orto Botanico di Via Foria, la lega nazionale femminile si adattò con soluzioni di fortuna, finché, negli ultimi anni, non fu adottato lo stadio di Messina, sopravvissuto ai bombardamenti.
Le prime partite erano tragicomiche: senza abbigliamento tecnico e senza preparazione sportiva, si sfidavano su campi di fango ventidue giocatrici delle più diverse estrazioni sociali ed età: dalle ragazze di 18 anni alle casalinghe di 35 anni, tutte con il solo sfizio di buttare la palla in rete. C’era chi giocava ancora con la gonna, seguendo ancora antiche regole fasciste che richiedevano la gonna per diversi sport femminili, chi invece si adattava utilizzando addirittura abbigliamenti maschili, suscitando le risate degli spettatori che, sempre in maggior numero, si recavano ad osservare degli spettacoli così insoliti con il solo gusto di insultare le calciatrici.
Il Partito Monarchico inorridì: la destra conservatrice non voleva foraggiare delle iniziative così ridicole. Nonostante le pressioni di Achille Lauro, la baronessa Altini fu inamovibile: questo sport s’ha da fare, le donne devono divertirsi allo stesso modo degli uomini e sicuramente questa trovata, a suo avviso, sarebbe stata eccellente politicamente.
A risolvere l’impasse politica, però , ci pensò il Derby del Sole: il gemellaggio fra Napoli e Roma doveva ancora nascere e rompersi, ma, già nel 1959, un Roma-Napoli di calcio femminile si concluse con una enorme rissa fra calciatrici, tifosi, arbitri e tecnici.
Si aprì un dibattito pubblico: uno sport così “maschio” ha davvero deviato il gentil sesso? Perché incoraggiare le donne a fare giochi da uomini? Non servì altro per dare l’assist che la politica aspettava da tempo per chiudere l’AICF.
Da allora, il calcio femminile visse di piccole federazioni non ufficiali, partitelle locali ed amichevoli e solo nel 1986 tornerà di nuovo il campionato di calcio femminile organizzato da una federazione ufficiale riconosciuta dalla FIGC.
Forse l’Italia non era ancora pronta per una rivoluzione che anche nella ribelle Inghilterra fu censurata (una legge del 1921 proibì per oltre 50 anni alle donne di giocare a calcio!); forse neanche il ’68 riuscì mai ad eliminare il sorrisetto di Achille Lauro che, ancora oggi, è sulle bocche di tanti uomini quando si parla di donne che giocano a pallone.
-Federico Quagliuolo
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