Lunardi e Blanchard sono due nomi che oggi godono di poca fama.
Per anni, secoli e millenni tutti gli esseri umani hanno sognato almeno una volta di poter vedere di persona cosa c’è sopra le proprie teste: dai bambini che sognano di salire sugli alberi per raggiungere gli aeroplani al leggendario Icaro con suo padre, che volarono fino a toccare il Sole. L’Uomo immaginò oltre il cielo gli Dei, poi gli angeli, poi i pianeti. E, quando finalmente la scienza riuscì a superare l’azzurro, si presentò l’immenso e buio Spazio, con i suoi infiniti pianeti e buchi neri.
In una corsa senza meta verso l’infinito, Napoli ebbe un ruolo assai rilevante proprio grazie ai primi aviatori della Storia: il lucchese Vincenzo Lunardi e la francese Sofia Blanchard, rispettivamente il primo aviatore italiano ed eroe nazionale inglese, e la prima aviatrice della Storia.
Dei due, il primo a volare fu Vincenzo Lunardi, nato a Lucca nel 1754, in una ricca famiglia toscana.
Dopo una infanzia d’oro, il padre morì quando Lunardi aveva soli 10 anni, portando con sé nella tomba l’intera serenità della gioventù del giovanissimo Vincenzo. Di lì, fu portato a Napoli a casa di Gherardo Compagni, un nobiluomo assai vicino a Re Ferdinando IV, uno dei più importanti esponenti della comunità toscana che, in città, godeva di un potere immenso.
Il dramma più grande della vita di un bambino, la perdita di un genitore, diventò proprio l’evento che segnò il futuro di Vincenzo Lunardi, quasi come la trama di un film scritto da uno sceneggiatore crudele e geniale: arrivato a Napoli, fu subito avviato agli studi, seguito dalle migliori menti che il Secolo dei Lumi aveva prodotto. Tutti rimasero colpiti dall’eleganza e dall’intelligenza del giovane ragazzino, tanto da destare interesse nei più importanti uomini del Governo.
Fu avviato alla carriera militare sotto esplicito ordine di un altro toscano, Bernardo Tanucci, l’uomo più potente di Napoli dopo il Re. Grazie alla protezione di uomini tanto potenti, viaggiò in tutto il mondo per completare la sua formazione: conobbe le Indie, studiò a Parigi e, infine, fu portato a Londra e nominato ufficialmente segretario dell’ambasciatore del Regno delle Due Sicilie.
Grazie alla posizione privilegiata ed alla sua raffinatissima cultura, ebbe modo di conoscere tutte le cronache dell’epoca, immaginando i primi voli del francese Montgolfier del 1783, gli esperimenti degli italiani : dopo gli incredibili progetti di Leonardo Da Vinci e dopo i voli fantastici di Icaro, finalmente l’Uomo era ad un passo dal cielo. E Lunardi voleva essere protagonista di questo evento epocale.
Proprio a Londra conobbe il napoletano Vincenzo Cavallo, docente alla Royal Society e chimico di fama internazionale: assieme cominciarono a coltivare il sogno di diventare i primi uomini a volare nei cieli d’Inghilterra, ma i loro progetti ricevettero una freddissima accoglienza dagli scienziati dell’epoca. Almeno fino a quando Lunardi non conobbe Re Giorgio III, che si dimostrò interessatissimo al progetto della “Lunardiera“, il pallone volante ideato da Lunardi e Cavallo.
Così, dopo anni di intensi lavori, a Chelsea, dinanzi all’intera Corte Reale, nel 1784 Lunardi divenne il primo “navigatore dei cieli” britannico, così come fu chiamato dalle cronache dell’epoca: quel giorno di fine secolo, dopo milioni di anni di evoluzione umana, Vincenzo Lunardi fu la persona che per prima superò i limiti della natura, entrando nel mondo che un tempo apparteneva solo a divinità ed uccelli.
Dopo anni passati a navigare i cieli dell’Inghilterra, per un incidente morì un compagno di volo e Lunardi fu costretto a lasciare Londra, che qualche anno prima lo aveva celebrato come eroe.
Tornò in Italia alla corte di Ferdinando IV, che lo accolse a braccia aperte: proprio a Napoli fece numerose dimostrazioni di volo dinanzi al Re, ma l’Italia non era ancora pronta ad accogliere tecnologie tanto avanzate e rivoluzionarie.
Nel frattempo durante il volo su Napoli, scrisse il primo diario di volo della Storia.
In cerca di nuove fortune, viaggiò poi anche in Francia, in Spagna ed in Portogallo, ma nel 1806, proprio a Lisbona, si ammalò e morì di una malattia sconosciuta.
E così Lunardi, padre degli aviatori italiani, morì dimenticato e senza riconoscimenti in un paese straniero, ricordato solo da una piccola lapide nel Chelsea, a Londra.
La seconda, Sophie Blanchard, ebbe una sorte non meno crudele: moglie del pilota Jean-Pierre Blanchard, anche lei fu contagiata dall’amore per il volo, tanto da decidere di provare lei stessa ad alzarsi.
Se un uomo volante è però un eroe, una donna che vola è un fenomeno da baraccone: celebri diventarono i suoi spettacoli in tutta Parigi, in cui deliziava l’intero popolo francese, curioso nel vedere una donna che si esibiva nei cieli. Lo stesso Napoleone pretendeva la sua presenza in qualunque festa di corte.
Di lì, viaggiò a Napoli e, nel 1811, si esibì dinanzi a Gioacchino Murat sul Campo di Marte, inaugurando quello che, cent’anni dopo, sarebbe diventato l’Aeroporto di Capodichino.
Tornò a Parigi per esibirsi di nuovo ed il suo ultimo spettacolo si celebrò qualche anno dopo: per colpa di fuochi pirotecnici, il suo pallone prese fuoco, cadde su una casa e la povera aviatrice morì tra mille patimenti.
Ed oggi, nelle sterpaglie di Via della Mongolfiera a Capodichino, tristemente nota per gli omicidi a sfondo camorristico commessi negli ultimi anni, come mesti fantasmi si incrociano i destini delle persone che realizzarono per primi il sogno dell’intera Umanità: imparare a volare. Proprio lì, infatti, per la prima volta staccarono i piedi dal suolo italiano Lunardi e Blanchard.
-Federico Quagliuolo
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