Disegno di Lisa Nagisa
‘O surdato ‘nnammurato, ‘O Sarracino, Maruzzella … erano molteplici i brani napoletani che cantava, diffondendo per le strade di S. Lucia dolci melodie. Il suo corpo, coperto da vestiti uguali a quelli di Pulcinella, ballando, si muoveva con agilità tale da celare la sua vera età che, però, si poteva intuire grazie agli occhi grigi e stanchi che si scorgevano attraverso la maschera nera tipica del personaggio napoletano e grazie alle ciocche di capelli, anch’essi grigi, che, sbarazzine, spuntavano qua e là da sotto al cappello. Ma la stanchezza che gli si leggeva negli occhi era in netto contrasto con il sorriso instancabilmente smagliante che rivolgeva ad ogni passante. Non si mostrava allegro solo per dovere ma perché gli piaceva davvero intrattenere la gente, pur essendo per lui un sacrificio, pur essendo per lui umiliante dover chiedere l’ elemosina. Spesso attorno a questo solare Pulcinella si riunivano gruppi folti di persone che assistevano entusiasti alle sue performance degne di un teatro ma costrette a d accontentarsi di questa o di quella strada di S. Lucia e alla fine delle esibizioni la gente applaudiva e riempiva di monete il bicchiere di plastica ai suoi piedi. Nonostante l’età avanzata e la stanchezza che si faceva sentire sempre di più, il Pulcinella continuava imperterrito; pioggia, sole, vento, tuoni … nulla lo fermava, aveva un obiettivo da raggiungere e non si sarebbe mai e poi mai arreso.
Era una giornata estiva come tante altre, il sole era alto nel cielo azzurro senza nuvole e i suoi raggi sembravano poter spaccare i ciottoli dell’ asfalto di cemento; non tirava un filo d’ aria e la città sembrava fosse coperta da una cappa soffocante. L’ uomo dagli stanchi occhi grigi scese di casa come al suo solito – una catapecchia costruita alla meno peggio stesso da lui quando era giovane – diretto verso Santa Lucia dove, come al suo solito, incurante del caldo quasi sahariano, iniziò a esibirsi. Verso metà pomeriggio si prese una piccola pausa e notò soddisfatto che il bicchiere si era riempito un bel po’; ancora non sapeva che quel giorno non avrebbe raccolto altre monete, infatti, dopo una mezz’ oretta, mentre cantava, iniziò a tossire violentemente, cosa che gli era capitata spesso nelle ultime settimane, ma questa volta la tosse fu accompagnata dal sangue. I passanti lo videro piegarsi in due e accasciarsi a terra con il sangue che continuava a uscirgli dalla bocca. Alcuni lo guardarono con pena e dopo un breve “poveretto” mormorato si affettarono a proseguire le loro faccende; un gruppo di tre vecchiette – una cicciona, una magra che sembrava uno stuzzicadenti vivente e una alta da far paura – iniziarono a inventarsi preghiere stravaganti con tono lamentoso: “ Sant’ Anto’, aiuta a Pulcinella. Santissima Vergine,non farlo morire. San Genna’, accorri qua!”; altri, più pratici, chiamarono l’ ambulanza che arrivò dopo poco tempo, lo caricò in barella e lo portò al Vecchio Pellegrini.
Da lì fu tutto un susseguirsi confusionario di flebo, medici, infermiere, radiografie, , TAC …
Fu sistemato su una barella accanto a una signora in coma etilico, gli avrebbero poi rivelato – un ragazzino con la gamba fratturata – rissa in discoteca – e una ragazza con la testa fasciata – incidente in motorino. Quando si svegliò, giunse un’ infermiera dal viso benevolo e dai capelli dello stesso bianco della divisa per dargli da mangiare e da bere. Mentre stava mangiando il pollo offertogli che, a dir la verità, sembrava fatto di plastica ma che la fame ai suoi occhi lo faceva apparire come preparato da uno chef pluristellato, entrò un medico che, dopo essersi presentato, gli riferì la sua diagnosi con un enorme giro di parole per tentare di essere delicato nel dirgli quello che poi era il “sugo”: tumore al polmone. Poi iniziò a parlargli di operazioni, chemio ed eventualmente di radio. Concluse il discorso promettendogli che avrebbe fatto di tutto per …
“ Dottò, voi non capite. Io non posso operarmi, altrimenti non lavoro più. Voi non lo sapete, dottò, mio figlio sta studiando, vuole diventare un dottore come a voi, ma se non gli do’ io i soldi, chi glieli dà? Non ha fratelli e mia moglie non ci sta più. E’ per lui che ogni mattina mi alzo fregandomene della mia età e della stanchezza e vado a lavorare. Non posso tradirlo proprio ora che sta lì lì per laurearsi. Dottò, io sono vecchio ma lui, mio figlio, è uaglione e ha una vita davanti a lui; è giusto che va così.” Invano il dottore tentò di persuaderlo: alla fine si arrese e disse: “Suo figlio è fortunato ad averla come padre” prima di uscire dalla stanza.
Il giorno dopo S. Lucia sembrava inondata dalla voce del Pulcinella che mai come in quel giorno aveva cantato in modo così disperato. La sua tristezza investiva i passanti che si fermavano, ipnotizzati da quella melodia così straziante e dai suo occhi così sofferenti. Agosto, settembre, ottobre, novembre, dicembre.
20 Dicembre
Era stremato. Se lo sentiva: era tra le ultime volte che avrebbe cantato, forse sarebbe stata proprio quella l’ ultima volta. Ma sì, forse era proprio l’ ultima.
Le note di “Malafemmena” si diffusero per la strada e fu una melodia che sapeva quasi d’ addio. Impiegò tutte le sue forze per cantarla e alla fine ne era completamente privo, così si sedette a terra con le gambe incrociate e la schiena appoggiata al muro e, prima di chiudere gli occhi e reclinare il capo, guardò un’ ultima volta il pubblico che, riempendo il suo bicchiere di monete, applaudiva e fischiava estasiato per la miglior performance mai tenuta dal Pulcinella.
22 Dicembre
Un nuovo medico avrebbe camminato tra i corridoi degli ambulatori napoletani da quel giorno in poi. 110 e lode con il plauso della commissione. Uscito dall’ Aula Magna ispirò a pieni polmoni l’ aria tersa e notò che la giornata era tiepida nonostante il vento. Si guardò intorno, si sentiva strano: aveva raggiunto il suo sogno nel cassetto da quando era bimbo ma nonostante ciò non riusciva a essere felice, avrebbe voluto che tra gli spettatori della sua seduta di laurea ci fosse stato il padre, invece nessuna sedia fu occupata per lui. Alzò gli occhi al cielo e gli parve di scorgere una nuvola a forma di Pulcinella che passava lenta sopra la sua testa.
“Sono fiero di te”.
Si girò di scatto, quasi credendo che il padre gli avesse sussurrato all’orecchio quelle parole.
“Forse era solo il vento” pensò.
O forse no.
-Roberta De Masi-
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