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“Qui giace il cavaliere Alessandro Scarlatti, uomo che si è distinto per padronanza di sé, generosità e bontà. Il più grande rinnovatore della musica, il quale- addolciti i rigidi suoni di una volta con nuova e straordinaria soavità-tolse all’antichità la gloria, alla posterità la speranza di imitare, caro in particolar modo ai nobili e sovrani. La morte, insensibile a farsi piegare dalla melodia, lo spense infine all’età di sessanta sei anni, il 24 ottobre 1725, con gran dolore d’Italia.

 

 

 

Con queste parole il cardinale Pietro Ottoboni rese omaggio al più grande artista dell’Europa settecentesca e non solo: Alessandro Scarlatti.

 

Ci troviamo all’interno della Chiesa di Santa Maria a Montesanto, tra le più importanti del XVII secolo, costruita da una comunità di Carmelitani siciliani, si erge imponente nell’omonima piazza.

 

È proprio qui che riposa, da oltre tre secoli, il più illustre compositore di origine siciliana che tutto il mondo ammirava con occhi incantati.

Appena entrati, l’atmosfera subito cambia. I rumori della città sono solo un lontano ricordo, un gruppetto di anziane donne recita pregherie sotto voce alla Vergine del Carmelo, La quale, in alto al centro dell’altare maggiore, veglia su tutti noi come una vera madre protettiva.

In realtà, il sepolcro Alessandro Scarlatti non si mostra in maniera cosi lampante all’animo dei visitatori; serve un occhio attento, per notare, lì, nella terza cappella di sinistra, un magnifico affresco di Giuseppe Simonelli che raffigura santa Cecilia, la protettrice dei musicisti, davanti ad un organo contornato di angeli.

 

 

La martire, vissuta tra il II e il III secolo, conquistò questo titolo in seguito ad un episodio davvero particolare: appartenente ad una nobile famiglia romana, un bel giorno le fu imposto di sposare il patrizio Valerio. Patì tante sofferenze la giovane ragazza, perché in realtà il suo cuore già apparteneva ad un altro uomo, Cristo, al quale, prima delle nozze, intonò un canto accompagnato dal suono soave del suo organo:

 

 

“Coserva, o Signore, immacolati il mio cuore e il mio corpo, affichè non resti  confusa!”.

Poche settimane dopo, la povera Cecilia fu sorpresa a pregare sulla tomba del marito defunto; un oltraggio troppo grave per gli ordini di Roma, e perciò fu condannata al soffocamento. L’esecuzione avvenne nel bagno di casa sua, mentre Cecilia, instancabile, continuava a cantare inni al Signore che le impedivano di trovare la morte. Fu decisa allora la decapitazione, in seguito alla quale, lasciata in una pozza di sangue, rese finalmente la sua anima a Dio.

 

Ma ritornando ad Alessandro Scarlatti, voi ricordate il suo glorioso passato?

Nacque a Palermo il 2 maggio 1660 da Pietro Scarlatti ed Eleonora Amato, ebbe un fratello, Francesco, e una sorella, Anna Maria.

Fin dalla tenera età manifestò una spiccata predisposizione per la Musica, tanto da spingere il padre, nel 1672, a mandare il giovane Alessandro a Roma per compiere la sua formazione.

Nella capitale trovò subito un inaspettato successo, grazie soprattutto al dramma “Gli equivoci del sembiante” con il quale attirò l’attenzione anche della regina Cristina di Svezia. Prima di abbandonare le magnifiche acque del Tevere, nel 1678, nella chiesa di Sant’Andrea della Fratte si unì in matrimonio con Vittoria Ansalone, dalla quale ebbe numerosi figli, tra i quali Domenico e Pietro Filippo.

 

 

 

 

Nel 1683 partì alla volta Napoli, chiamato dal vicerè marchese del Carpio, dove per lungo tempo furono rappresentate le più belle opere da lui composte, nel Real palazzo di Napoli, tra cui “L’Aldimiro” e “La Psiche”.

Nel capoluogo campano trascorse i suoi anni migliori, ebbe modo di sperimentare quelli che poi diverranno i punti fermi del teatro musicale dell’interno continente europeo. Durante il suo soggiorno partenopeo, compose più di trentacinque drammi per musica, un numero impressionante di cantate, senza mai trascurare la musica sacra e spirituale.  Lasciò un segno indelebile nella Storia, tanto da essere tutt’oggi considerato il fondatore della scuola della musica napoletana.

 

Giunto all’apice della fame e del successo, nel 1702, Scarlatti si ritrovò costretto ad abbandonare Napoli non appena scoppiò la guerra di Successione spagnola tra i Borbone e gli Asburgo.

 

A quel punto, certo di una posizione più che affermata a livello nazionale e internazionale, Scarlatti giunse a Firenze, presso la corte di Ferdinando de’ Medici. Inspiegabilmente, però, in Toscana Scarlatti non ottenne neanche un incarico, gli fu detto che la sua musica era diventata troppo complicata, un eccesso di severità nella forma e nello stile.                                                                                              Dopo un breve ritorno nella città capitolina, Alessandro riabbracciò Napoli e il suo pubblico che tanto lo resero grande nel mondo. Qui scelse di morire in un freddo ottobre del 1725, ma allo stesso tempo qui continua a vivere, nella città che lo ricorda ogni giorno in una delle vie più importanti e frequentate dal suo popolo: Via Alesandro Scarlatti

 

Di: Andrea Andolfi

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