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Quello della fiaba è un mondo incantato, un mondo in cui lasciarsi cadere con mente leggera e curiosa, in cui entrare a passi piccoli, piccoli come quelli di un bambino. Si tratta di farsi condurre ad occhi chiusi dall’imprevedibilità dell’immaginazione, dalla bellezza della fantasia. Sono le fiabe a nutrire per prime la nostra memoria, ad accompagnarci fin da piccoli con la loro magica mano. Un volta diventati grandi, continuano a farci un certo effetto: quando tocca a noi raccontarle a voce bassa, dolcemente, agli occhi sognanti di un bambino. Sembra quasi di trovarvi una voce antica, da vecchia signora, che riveli una sorta di segreto, una qualche profezia.

A pensarci bene, raccontare storie è la più antica forma di letteratura, il primo modo inventato da bimbi e adulti per intrattenersi, per passare il tempo in compagnia. Così, saltando di bocca in bocca, di voce in voce, di libro in libro, i personaggi delle fiabe arrivano a noi da mondi più lontani, più antichi di quanto potremmo immaginare. Accade così per la famosissima fiaba di Raperonzolo.

Petrosinella
Petrosinella

Dai fratelli Grimm a Giambattista Basile

La sua versione più recente è infatti quella cinematografica della Disney, ma la storia era già contenuta nella raccolta Fiabe dei fratelli Grimm. Facendo ancora un passo indietro e trasferendoci dalla Germania dei Grimm alla Napoli del ‘600, ritroviamo la stessa storia ne Lo cunto de li cunti, la raccolta di cinquanta fiabe in dialetto, pubblicata dal napoletano Giambattista Basile. Le differenze tra le due versioni sono ben poche.

Per cominciare Raperonzolo si chiamava Petrosinella.

Petrosinella

C’era una volta una donna in dolce attesa che, affacciata alla sua finestra, vedeva in un giardino vicino una rigogliosa pianta di prezzemolo (‘o petrusino in napoletano). Aveva una così strana voglia di assaggiarlo, e così insaziabile, che stava quasi per diventar matta. Un giorno non riuscì a resistere. Discese nel giardino e prese di nascosto un po’ di quella pianta saporita. Accadde così per più volte, finché un mattino fu sorpresa dalla proprietaria del giardino, un’orribile orca! Quest’ultima, adirata, pretese in cambio di tutto il prezzemolo rubato il figlio che lei portava in grembo. La donna spaventata lo promise e fuggì via.

Trascorsero i mesi e finalmente nacque una splendida bambina che, per una voglia a forma di prezzemolo, i genitori chiamarono Petrosinella. Trascorsero gli anni e quella terribile promessa fatta all’orca sembrava quasi dimenticata.  Un giorno però, Petrosinella incontrò l’orca che, ahi me, riscosse il suo debito. La rapì e la rinchiuse in una torre altissima, costruita magicamente senza porte o finestre, con una sola finestrella alla cima. La ragazza, che aveva dei capelli lunghissimi, era solita calarli da quella finestrella per far salire soltanto la sua rapitrice.

Ma un giorno, mentre l’orca non c’era, si arrampicò per quelle trecce dorate un bel principe che si innamorò perdutamente della triste fanciulla della torre. I due amanti decisero di fuggire insieme. Petrosinella però aveva sentito dall’orca che per essere davvero libera avrebbe dovuto trovare tre pigne che erano state nascoste nella torre. Solo dopo averle trovate, quindi, scappò con il suo principe. L’orca si accorse della loro fuga e si lanciò all’inseguimento, ma quelle tre pigne magiche servirono a fermare la sua corsa e a sconfiggerla. Petrosinella così sposò l’amato dimostrando che, come scrive Basile:

n’ora di buon porto

fa scordare ciento anne de fortuna.

Claudia Grillo

Bibliografia: Lo cunto de li cunti, II, 1

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