Graffa dolce, dolcissima, divina. Il sapore della pasta calda, morbida e zuccherosa è la delizia della mattina o la trasgressione di mezzanotte. Questo sapore, però, ha lontanissime origini germaniche, nonostante il dolce sia a tutti gli effetti un prodotto tipico di Napoli e della Sicilia. Chi ha mai sentito parlare del Krapfen?
C’è anche da dire che il nostro “debito culinario” con l’Austria l’abbiamo saldato con le nocciole di Avella, che sono diventate la base del “Wafer Napolitaner”, uno dei dolci alpini più famosi di sempre.
Il trattato di Utrecht alle origini della graffa
L’origine di questa storia è legata al trattato del 1713 che ridisegnò completamente la geografia dell’intera Europa, sancendo la fine dell’Impero Spagnolo e mettendo di fatto la pietra tombale sul suo “Secolo d’oro“. Il Regno di Napoli e il regno Lombardo-Veneto passarono in mano a Carlo VI d’Asburgo, che piazzò in città viceré corrotti e poco amati dal popolo e dalla storiografia.
Con loro arrivarono anche i soldati dal Nord Europa che, fra le tante cose, portarono anche interessanti tradizioni culinarie, come il Krapfen, il dolce di carnevale che intorno al ‘600 diventò tipico dei paesi centroeuropei.
Il dolce è spesso confuso con il “bombolone” in tutta Italia, dato che si tratta tecnicamente di una graffa ripiena dalla forma uguale al Krapfen. Fu l’interpretazione lombarda dello stesso Krapfen portato dagli austriaci.
La preparazione del krapfen era estremamente semplice e nell’impasto erano presenti le patate, cibo principe dei paesi tedeschi che, proprio nel XVIII secolo, furono rivalutate positivamente anche dai cuochi napoletani. La patata, oltre ad aggiungere un sapore corposo, restituisce una morbidezza particolarissima anche dopo la frittura.
In poco tempo a Napoli il krapfen perse la sua tipica forma sferica ed assunse la forma di una ciambella.
Alle origini della parola graffa
Sull’etimologia della parola, quasi tutti i dizionari concordano: è l’italianizzazione del krapfen tedesco che, a sua volta, è una storpiatura di un termine longobardo, “krapfo” o “krappo” in gotico. Significava “uncino” e, nel tedesco arcaico, era il termine utilizzato anche per indicare la forma assunta dai prodotti fritti.
Secondo una leggenda austriaca, il dolce sarebbe nato nel ‘600 per mano di una ipotetica signora Krapf, pasticciera viennese, che avrebbe inventato questo dolce “per errore”, ricordando un po’ la storia della nascita del babà. Altri invece pensano sia stato un farmacista di Graz, che di cognome faceva proprio Krapfen, che nel ‘600. Storicamente è vero che la graffa è un dolce tipico della città austriaca, tant’è vero che nello Stato alpino il krapfen è chiamato “di Graz”. In Germania, invece, lo stesso dolce è chiamato “Berliner”, delegittimando le origini austriache del nostro piatto.
In tanta confusione, l’unica certezza è che il dolce si diffuse in Austria intorno al XVII secolo, sugli autori leggendari invece non c’è notizia. Ma non sorprende che tante città vogliano prendersi l’onore di essere madri del Krapfen.
Tra graffe romane e zeppole
La graffa napoletana potrebbe essere anche un interessante ritorno in casa di una antica ricetta romana, illustrata da Apicio nel suo “De re coquinaria”. Secondo l’autore latino, un dolce fritto era particolarmente apprezzato dai romani: si trattava di una sorta di graffetta, ripiena di pepe, ruta e passito. Ovviamente non esistevano ancora le patate e lo zucchero, quindi era usato il miele come dolcificante.
La preparazione della graffa napoletana, ad ogni modo, ha sicuramente influenzato diversi anni dopo quella delle famosissime zeppole di San Giuseppe, che sono preparate in modo simile nel giorno della festa del santo.
Ricetta della graffa napoletana
Sono necessari questi ingredienti:
500gr di farina 0
3 patate
4 cucchiai di zucchero
10g lievito di birra
50gr burro
50gr latte intero
un cucchiaino di sale
2 uova
1 limone (servirà solo la buccia da grattugiare)
Preparazione della graffa:
- Bisogna innanzitutto lessare le patate nell’acque. Poi, una volta preparate e sbucciate, bisogna schiacciarle in una ciotola assieme al burro, in modo tale da farlo fondere grazie al calore. Dopo aver ottenuto un composto omogeneo, bisogna mescolarlo con il latte e mescolare di nuovo.
- Bisogna aggiungere la farina, zucchero, buccia di limone (poco), sale e le due uova, poi si dovrà impastare finché il risultato non sarà liscio e omogeneo, che non si attacca alle mani. Nel caso in cui fosse troppo “azzeccoso”, allora bisogna aggiungere un po’ di farina.
- Un po’ come i biscotti di San Lorenzello, bisogna lavorare con le mani l’impasto per fare dei filoncini da comporre a forma di ciambella, lasciando il classico buco al centro. Di lì, andranno lasciati su una tavola per la lievitazione, che dura circa 2 ore.
- Le graffe vanno fritte nell’olio di semi per pochi minuti, vanno tolte “ad occhio”, quando diventano dorate. Attenzione alla temperatura dell’olio: se è troppo caldo, sembreranno cotte fuori e rimarranno crude dentro (oppure si bruceranno), viceversa con un olio troppo freddo rimarranno impregnate e oleose.
- Dopo la cottura, la graffa va rapidamente asciugata su una carta assorbente, in modo da assorbire l’olio in eccesso. Di lì, va letteralmente “impanata” nello zucchero e mangiata ancora calda!
-Federico Quagliuolo
Riferimenti:
Antica cucina romana, Apicio e Introna
https://www.dolcidee.it/magazine/segreti-in-cucina/le-graffe-napoletane-dagli-austriaci-a-pulcinella
http://lagustosaidea.it/krapfen/