Si possono riassumere in un solo articolo i nomi dei migliori medici di Napoli e della Campania? Assolutamente no, perché inevitabilmente si dovrebbe scrivere un trattato da migliaia di pagine, con foto, nomi e infiniti ricordi e aneddoti.
Non c’è da meravigliarsi: la scuola medica italiana ha a Salerno una delle sue capitali, trova a Napoli espressioni di eccellenza internazionale nell’Ospedale degli Incurabili ed ha nella provincia di Benevento un’intera stirpe di luminari sanniti che hanno fatto la storia del XIX e XX secolo.
Cerchiamo allora di scoprire, pescando alcuni esempi dagli ultimi mille anni di storia, alcuni dei nomi più affascinanti della storia della medicina: sentiamoci un po’ più orgogliosi di appartenere a questa terra.
Trotula de Ruggiero, la numero uno
Non si può parlare di medicina in Campania senza nominare Trotula, una donna che visse a metà fra leggenda e Storia durante il secolo XI. Fu la prima donna medico d’Italia e la più famosa delle “Mulieres Salernitanae”, il gruppo di donne che studiò liberamente nell’Università salernitana, dove non c’era restrizione di sesso. Era erede di una ricca famiglia di origini normanne e, durante i suoi studi, scrisse numerosi trattati sull’importanza dell’igiene e sull’anatomia femminile, dalle questioni legate alla fertilità (fu fra le prime a sostenere che l’infertilità potesse essere anche un problema maschile) e sui problemi legate alle complicanze del parto. Il suo “De passionibus mulierum antes et post partum” fu il primo trattato scientifico a parlare di ginecologia, ostetricia e puericoltura, un’opera che anticipò di secoli gli studi sulla donna.
Grazie ai suoi studi chimici rilevò anche una proprietà speciale di un fiore, ideale per la cura dell’igiene femminile: fu così che inventò anche una prima forma di detergente intimo.
Antonio Cardarelli, il maestro
Dire “Cardarelli” significa nominare la Cassazione della Medicina. Era noto come “il maestro” perché, per quasi cent’anni, ha formato tutte le generazioni di medici napoletani all’interno dell’Università e fra le corsie dell’Ospedale degli Incurabili. Era un uomo brillante, curioso, capace di intrattenere interlocutori di qualsiasi età: fu pensionato a forza nel 1923 per le nuove leggi (e aveva ben 92 anni!) e i suoi studenti, per protesta, andarono a seguire i corsi in casa sua a Via Costantinopoli, dove fornì lezioni private fino alla morte avvenuta nel 1927 a 96 anni.
Di origini molisane, si trasferì giovanissimo a Napoli per studiare medicina. Si attribuivano a lui doti sovrannaturali e un occhio clinico leggendario: riusciva a diagnosticare malattie con il solo sguardo e su di lui circolavano leggende miracolose di ogni tipo.
Un giorno un collega mandò un complice da Cardarelli per farlo visitare, nella speranza di truffare il medico e gettare discredito sulla sua immagine. Cardarelli diagnosticò una nefrite e fu preso in giro da tutti i suoi detrattori, che gli rivelarono lo scherzo.
Poco tempo dopo il “finto malato” morì per davvero a causa di una nefrite. E nessuno rise più.
Fu il medico personale di tutti i protagonisti della sua epoca: da Vittorio Emanuele II a Umberto I, passando anche per Garibaldi, Benedetto Croce e Giuseppe Verdi. Al suo corteo funebre parteciparono decine di migliaia di persone: fu davvero uno dei migliori medici di Napoli e della Storia d’Italia.
Anche di Cardarelli Jorit ha realizzato un bellissimo murales davanti al suo ospedale, ma abbiamo voluto omaggiarlo con il suo busto.
Giuseppe Moscati, il “medico santo”
L’uomo che mise d’accordo religione e scienza. Un allievo di Cardarelli, anche lui di origini sannite. La famiglia lo voleva avvocato, ma decise di seguire il suo amore per la medicina e per l’umanità intera: fu così determinato nella sua missione che decise di consacrare la sua intera vita a Dio e ai pazienti, che visitava gratuitamente e che sosteneva nelle spese.
Nel frattempo insegnava all’Università, svolgeva conferenze in tutta Europa ed era anche primario dell’Ospedale degli Incurabili: tutti i suoi guadagni erano investiti per curare i suoi assistiti, tant’è vero che fu soprannominato “medico anargiro” (ovvero: poveraccio!).
Questa attività intensa e incessante stressò il corpo oltre i suoi limiti e Moscati morì nel 1927 nel suo studio, a soli 47 anni. Il popolo continuò ad invocarlo come santo. E santo lo diventò per davvero nel 1987.
Per approfondire la sua storia, clicca su questo link.
Ferdinando Palasciano, il precursore della Croce Rossa
Un carattere eclettico e particolarissimo, nacque a Capua nel 1815 e morì a Napoli nel 1891. Se la Croce Rossa esiste oggi, una mano importante l’ha data l’esperienza di Palasciano, che fu estromesso dalla firma dell’atto di nascita dell’organismo solo per un intrigo politico.
Anche lui era un amante della cultura e a 25 anni aveva già tre lauree: Belle Lettere e Filosofia, Veterinaria e medicina e Chirurgia.
Dopo aver visto in prima persona il bombardamento di Messina operato da Ferdinando II ai danni dei rivoltosi, decise di curare borbonici e nemici. Da quel momento decise di spendere la sua vita per affermare un principio storico: la neutralità dei feriti in guerra. Fu proprio questa sua battaglia etica e politica che, dopo l’Unità, lo portò in politica e poi nelle accademie di tutte le capitali d’Europa per diffondere le sue teorie.
Beffa della Storia, non mise il suo nome sulla Convenzione di Ginevra del 1864.
Fu anche il fondatore della Società italiana di Chirurgia, con sede a Napoli.
Una curiosità interessante: si innamorò a Firenze di una nobildonna russa, Olga Von Wawilov, e come pegno d’amore fece costruire una replica di Palazzo della Signoria a Capodimonte, la famosa Torre del Palasciano.
Di Palasciano, invece ne abbiamo parlato in questo link.
Domenico Cotugno, l’ippocrate napoletano
Una storia di campagna, quella di Cotugno, che finì con un epilogo epico. Nato nel 1736 a Ruvo di Puglia, si trasferì senza un soldo a Napoli per studiare medicina con il solo intento di diventare uno dei medici migliori di Napoli.
Visse in scantinati, non mangiò per giorni, dormì nei ripostigli dell’Ospedale degli Incurabili per risparmiare soldi e pagarsi gli studi. Visse una vita di stenti per vent’anni prima di diventare il luminare più famoso d’Italia.
Si diceva che a Napoli non poteva morire nessuno senza il permesso di Cotugno.
Abbiamo raccontato la sua storia appassionante su questo link.
Mariano Semmola, il medico-filosofo
Tra i tantissimi medici che lavorarono a Napoli, Semmola fu l’unico che nacque davvero a Napoli, nel 1831. Un tempo dava il suo nome a Spaccanapoli, prima che venisse intitolata a Benedetto Croce. Questo è per intendere la sua importanza.
Figlio d’arte, il padre Giovanni era un altro famosissimo medico, Semmola aveva anche interessi politici, legali e filosofici. E infatti scrisse anche manuali universitari di filosofia: una cosa assolutamente insolita.
La sua opera più importante, oltre all’attività accademica, fu in ambito legale: Semmola fu l’autore del primo codice sanitario nazionale, promulgato nel 1888 su proposta di Francesco Crispi.
Ne abbiamo parlato in questo articolo.
Leonardo Bianchi, il mancato premio Nobel
Beneventano di origine, è stato un famosissimo psichiatra nonché direttore di diverse strutture ospedaliere, come il manicomio di San Francesco di Sales (oggi diventato il Liceo Vico).
La sua prerogativa fu quella di impartire ai suoi studenti la necessità di trattare le persone mentalmente inferme in modo umano, prendendo le distanze dalle crudeltà tipicamente associate alla parola “manicomio”.
Autore di numerosi testi, di cui il “Trattato di Psichiatria”, adottato anche da università estere. Fu perfino candidato al premio Nobel per la medicina.
Fu un caro amico di Giuseppe Moscati, che spesso assisteva alle sue conferenze. Proprio in una di queste, Bianchi morì, al termine dell’esposizione del suo ultimo studio e pare che proprio Moscati accorse in suo aiuto, ma inutilmente.
La sua storia completa la raccontiamo in questo link: Leonardo Bianchi
Giovanni Pascale e la lotta ai tumori
Un uomo dagli interessi poliedrici, che ha vissuto con grande intensità il suo ruolo di medico, sia fornendo assistenza sul campo durante la prima guerra mondiale, sia successivamente, dedicandosi a tempo pieno al suo lavoro ed ai suoi pazienti.
Nel corso della sua carriera, la sua attenzione si pose sulla lotta ai tumori, al punto di creare una fondazione, ancora oggi esistente, nonché una clinica rivolta al trattamento dei tumori, che continua ad impegnarsi nella stessa battaglia del suo fondatore tutt’ora.
Morì sul suo “campo di battaglia”, in sala operatoria, molto provato dall’intenso lavoro, e fu coerente fino al suo ultimo pensiero con le sue idee: si sentì male, ma esortò i suoi assistenti a non soccorrere lui, bensì a continuare l’operazione, preferendo salvare la vita al suo paziente.
Ne abbiamo parlato su questo link.
Giuseppe Buonomo, l’eroe del colera
Se l’epidemia di colera a Napoli nel 1884 non finì con una strage, dobbiamo ringraziare Giuseppe Buonomo, che fu un buon uomo di cognome e di fatto.
Originario di Gaeta (città che ancora oggi lo venera come un santo), che nel 1825 era parte del Regno delle Due Sicilie, si distinse subito per una brillante carriera nel campo della chirurgia. Fu nominato a capo della task force che avrebbe dovuto gestire l’emergenza di colera che nel 1884 colpì la città di Napoli e con lui lavorarono altri medici illustri come Luciano Armanni.
Ebbe l’intuizione di isolare completamente i malati e progettò rudimentali tute isolanti, lontane parenti di quelle diventate tristemente famose per l’epidemia di COVID. Scelse un’antica villa settecentesca su una salita della Sanità, quella che sarebbe diventata il Convitto Pontano alla Conocchia, e la fece diventare un ospedale d’emergenza per i colerosi.
Per la sua attività fu premiato da Re Umberto I con una medaglia d’oro al valore. Lui rifiutò ogni premio in denaro e ogni onorificenza. Anzi, ordinò che l’oro e i soldi usati per i suoi premi dovevano essere usati per pagare le famiglie che avevano avuto lutti a causa del morbo. Il Comune di Gaeta nel 2019 ha fatto incidere simbolicamente la medaglia che Buonomo non ha mai ricevuto.
Leonardo Di Capua, il medico che difese la scienza
Anche l’Irpinia ha la sua gloria. Leonardo Di Capua, nonostante il cognome, era originario di Bagnoli Irpino, dove vide la luce nel 1617.
Come tanti uomini straordinari nati in province troppo piccole, l’unico modo per andar via dal paese era tramite le istituzioni religiose. E fu così che Di Capua finì fra le mani dei Gesuiti, che lo apprezzarono tantissimo e lo avviarono agli studi in Giurisprudenza. Poi l’”alunno modello” cambiò improvvisamente idea e si laureò anche in medicina a soli 22 anni. E tornò nel suo paese per esercitare la professione di medico.
Fu anche filosofo ed è proprio grazie ad un suo libro, “Il Parere del Signor Lionardo Di Capua”, che diventò famoso in tutta Europa: fu il primo testo scientifico in cui si sostenne, con un ragionamento serrato, il predominio della ricerca scientifica sulla tradizione. Fu un’opera che scandalizzò tutto il mondo cristiano e che gli mise contro proprio i Gesuiti che lo avevano accudito fino ad allora.
Di Capua fu anche un grandissimo sostenitore dell‘importanza dello studio della chimica nei corsi di medicina, che ai tempi non era insegnata. Chissà quante maledizioni si prende ogni giorno dagli studenti bloccati oggi all’esame di chimica!
Fondò anche una accademia scientifica a Napoli, chiamata “Degli Investiganti”. Ed oggi è sepolto nella chiesa di San Pietro a Majella, dove morì nel 1690.
I migliori medici di Napoli: non solo luminari
Un piccolo posto d’onore vogliamo lasciarlo ad un ricordo dolce: Vitale Agrillo non si distinse di certo per studi avanzati o scoperte epocali, ma gli è stata dedicata una delle strade più antiche di Fuorigrotta, l’ex Via Cumana.
Fu infatti un medico di quartiere bravissimo che prese ad esempio l’insegnamento di Moscati: curare i poveri senza alcun interesse. E così fece, passando l’intera vita fra gli ammalati del Rione Flegreo, spesso pagando di tasca propria i medicinali e le terapie.
Alla sua morte l’intero quartiere fu in lutto dimostrando, ancora una volta, che la Storia della medicina non è scritta solo da titoli accademici, ma anche e soprattutto da un profondissimo senso di umanità.
-Federico e Leonardo Quagliuolo
Questa storia è dedicata a tutti i medici che, ogni giorno, dedicano la propria vita per salvare la nostra salute.
Riferimenti e spunti di lettura:
Maria Stamegna, Giuseppe Buonomo, deputato di Terra di Lavoro, Comune di Gaeta, 2006
Gabriele Tedeschi, In memoria del sommo clinico Antonio Cardarelli Senatore del Regno, 1927
https://notes9.senato.it/Web/senregno.NSF/d7aba38662bfb3b8c125785e003c4334/4ba6b7b97b4504904125646f0060839a?OpenDocument
https://www.ferdinandopalasciano.it/la-storia-di-ferdinando-palasciano/