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Napoli è la città migliore del mondo e vi dimostrerò scientificamente perché“. A dirlo non è il solito blog dai toni un po’ acchiappalike, ma uno scrittore ultraottantenne di sei secoli fa. Si chiamava Loise De Rosa ed è ancora oggi uno dei personaggi più strani, divertenti e interessanti che incontreremo sulla nostra strada.

Ci ha infatti lasciato un manoscritto straordinario che prima racconta la storia del Regno di Napoli, poi cerca di dimostrare al lettore in modo scientifico che Napoli è la migliore città del mondo, infine aggiunge anche una parte in cui racconta tutte le cose strane e insolite viste di persona. Senza dimenticare la componente di inciuci, in cui riferisce di aver personalmente assistito a intrighi di corte, con tantissimi dettagli e retroscena sull‘amore fra Alfonso d’Aragona e Lucrezia d’Alagno.

Vittorio Formentin Loise de Rosa manoscritto
Una fotografia del manoscritto di Loise de Rosa, tratta dal libro omonimo curato dal professor Vittorio Formentin

Loise De Rosa, un vecchietto chiacchierone

Immaginiamo di incamminarci per le strade del centro storico, curiosi nelle esplorazioni di una zona mai vista prima. Ci capiterà sicuramente il vecchietto di turno che, intercettando il nostro sguardo, ci comincerà a snocciolare infiniti aneddoti popolari e storie locali senza alcun filo logico.

Ecco, Loise de Rosa non era affatto diverso. Nacque a Pozzuoli nel 1385 e visse sicuramente per più di 90 anni, era semianalfabeta e di bassa estrazione sociale. Delle sue tantissime attività millantate, sappiamo per certo solo che fumastro di casa, ovvero l’inserviente che si occupava di organizzare i ricevimenti di re, nobili e dignitari di corte: nel ‘400 erano sfarzosissimi e ricchissimi.

Era curioso di natura e, evidentemente, amava origliare i discorsi colti della corte aragonese, avendo avuto la fortuna di poter conoscere e frequentare uomini straordinari come Alfonso d’Aragona, probabilmente imparò a scrivere per la stessa ragione. Abbiamo certezza anche che l’ultima padrona fu Ippolita Maria Sforza, dato che il vecchietto, ormai novantenne nell’ultima parte del libro, le dedica addirittura un inno alla femminilità dove spiega che la donna è la creatura più amata da Dio perché l’ha posta in paradiso, mentre l’uomo nasce dal peccato. Napoli, giustamente, ha vantato molte donne potenti.

Il resto del testo invece è dedicato a un tale don Alonso, che forse era Alfonso, duca di Calabria. Proprio lui lo ingaggiò con una domanda su come interpretare un verso di Dante particolarmente difficile. È chiaro che il nobiluomo, che era una persona acculturata, voleva provocare il vecchio chiacchierone. E lui, dopo un silenzio imbarazzato iniziale, un anno dopo cominciò a scrivere il libro raccontando all’inizio questo episodio.

Alfonso d'Aragona
Alfonso d’Aragona, uno degli uomini più acculturati del suo tempo che anche Loise de Rosa cita spesso con nostalgia

“Napoli è la città migliore del mondo”

“Una bona novella voglio dire a ly nostre napoletane yo, Loise De Rosa. La novella èy chesta, che ly napoletane so de lloro natura ly meglio omene de lo mundo et provolo. State ad audire le mey raiune”.

Così comincia uno dei capitoli più affettuosi del libro di De Rosa, dove il vecchietto spiega che Napoli è la città migliore del mondo attraverso una dimostrazione scientifica: Dio ha diviso il mondo in tre parti: Asia, Africa ed Europa. Chiaramente, l’Europa è la migliore. “Lo napoletano èy nato a la meglio provincia de lo mundo perché Napole sta fondata in Oropa“.
Ma non ci basta. E allora “Quale è la meglio parte de Oropa? Sailo?” “No“. E te lo dico io: L’Italia è la migliore parte dell’Europa. E ovviamente la parte migliore dell’Italia è Napoli.

Non contento di questa dimostrazione, Napoli vanta cavalieri, conti, marghesi, duchi, principi, cardinali e “papi senza numero. Non si contano le fontane, gli ospedali, gli animali selvatici, le cose buone da mangiare. Sono elenchi infiniti di meraviglie che non esistono altrove. Il miglior santo del mondo è San Gennaro, che fa il miracolo del sangue che nessuna città può vantare.

Ma non basta. E allora Loise De Rosa si affida alla filosofia. Il mondo è fatto da quattro elementi: acqua, aria, terra e fuoco. E Napoli li ha tutti e quattro in misura perfetta. Per giunta la capitale è anche “la città con più città attorno di tutto il mondo“. Nell’elenco delle città in provincia di Napoli elenca anche il Molise.

Non manca nemmeno la parte patriottica: se Napoli è la città migliore del mondo, Pozzuoli, che è la città natale del buon Loise, è il luogo con il miglior materiale del mondo, ovvero la pozzolana, e le migliori terme del mondo.

Ma non sei ancora convinto. E Loise lo sa. Confrontiamo allora Napoli con le altre città d’Italia.
Ci sono infatti “13 requisiti scientifici” per definire una città: montagne, pianure, mare e fontane. Poi mura, strade, case, chiese e… le fontane. L’unica cosa brutta di Napoli sono le mura.

Roma ad esempio ha i quattro elementi fondamentali, ma “non perfetti”. E poi mancano le fontane, quindi è bocciata. La peggiore in assoluto è Venezia, definita un inferno. “no ave acchua, no corrente, no à montagnia, no piano no ave nullo“.

Spiega Loise de Rosa, che mancano i confronti con Milano, Firenze, Parigi, Genova, Costantinopoli e Il Cairo. Ma “non cè so stato“. E allora sta al lettore viaggiare nelle altre città per constatare di persona come si viva male rispetto a Napoli.

Tavola Strozzi Napoli Loise De Rosa
Un dettaglio della Tavola Strozzi, che rappresenta bene la Napoli dei tempi di Loise de Rosa. Si vede benissimo Santa Chiara sullo sfondo.

Le cose più strane che ho visto

La scrittura del vecchietto prosegue senza sosta. E dedica un lungo capitolo così, de botto, senza senso, alle cose più strane che ha visto nella sua vita, ovvero ermafroditi, uomini con deformazioni e animali con genitali particolarmente grossi. Ad esempio compare una donna di Gaeta che fece “una creatura miezo puorco et miezo omo“.

Poi un giorno incontrò il figlio del cuoco del conte di Ariano, che era “sia maschio che femmina“. E ancora, una tale Iacovella di Sorrento che “non ave cacczo non fessa“, se non “uno solo pertuso dove cecere dove pissia“.

E ancora: all’Orzara c’è un tale che si chiama Cola Felice e ha cinque figli. Quattro “non hanno i loro garofali” “…e non so se me intiende!”.
“Non anno cugliune nulloTranne uno, che ne ha uno. E quindi, tirando le somme, Ce ne mancano nove“.

No ve pare essere mirabbele chesta cosa?

Mostri Loise De Rosa Medioevo
Nel medioevo ci sono alcuni mostri ricorrenti, come gli uomini dai piedi giganti (raccontati anche da Loise De Rosa), i licantropi o la gente con più arti.

Aneddoti, inciuci e curiosità

Per Loise de Rosa la Storia è un elenco di aneddoti e inciuci. Si passa da Ladislao, che fa sbranare gli ospiti sgraditi dai suoi cani, a storie su Federico II (che in realtà lui confonde con Federico Barbarossa), in cui spiega i dissidi fra l’imperatore e la Chiesa con il fatto che Federico desiderasse “più mogli per imitare i cardinali, ma il Papa si oppose. E allora, per vendetta, lo Svevo giunse a Roma, uccise tutti i cardinali e il Papa scappò a Venezia, dove per sette anni si mise a lavorare come cuoco sotto falso nome per non farsi scoprire.
E non solo, anche la storia contemporanea è raccontata dal buon Loise: la povera Giovanna d’Arco diventa una “zitella porcara, tutta squarciata, che mostrava tutte le gambe“.

I re di Napoli sono tutti descritti nei dettagli più strani, nei loro tic e in episodi assolutamente sconclusionati sulle loro vite. In fin dei conti, fra tutti, i migliori sono Alfonso d’Aragona e il figlio Ferrante.

Un manoscritto importantissimo

Insomma, se abbiamo fatto una chiacchierata con un vecchio popolano di 640 anni (Benedetto Croce lo definisce “simpatico vecchio ciarliero“), ragionando seriamente, questo libro ha un valore inestimabile. Si tratta di uno dei primi testi in assoluto scritti in italiano\napoletano volgare, per giunta arrivato in condizioni pressoché intatte. Si è salvato per puro caso, dato che fu portato a Parigi in chissà quale saccheggio, altrimenti l’avremmo perso durante la II Guerra Mondiale assieme a parte dell’archivio di Napoli.

Riusciamo a ricostruire una delle tradizioni orali del popolo per scoprire racconti, abitudini e filastrocche antiche (“chi vo’ stare ioiuso e frisco/ va a lo Castiello dell’Uovo/ loco trova viecchio et nuovo/ et dello buon vino grecisco“). Anche il parlato è interessantissimo: oltre all’italiano volgare, ci sono termini napoletani usati ancora oggi (al posto di dire “adesso\oggi“, de Rosa dice un attualissimo “mo, giusto come esempio) misti a parole prese dal catalano, che era la lingua di corte. E non mancano nemmeno i latinismi sparati un po’ a caso, come una frase di Petrarca attribuita a Virgilio, che evidentemente per i Napoletani doveva essere ancora un personaggio leggendario anche quando ormai San Gennaro era ben solido nella fantasia popolare.

Nell’ingenuità dell’amore verso Napoli e nelle storie esagerate per darsi un tono, in fin dei conti Loise De Rosa è lo stesso personaggio che 600 anni scrisse un libro finito ai margini della Storia e che oggi ricompare nel volto di tutti quei vecchietti in cerca di storie da raccontare, in cerca di quell’ultimo sforzo che tutti noi facciamo per lasciare un’eredità al mondo.

-Federico Quagliuolo

Riferimenti:
Loise De Rosa, Ricordi a cura di Vittorio Formentin, Salerno Editrice, Roma, 1998
Benedetto Croce, Storie e leggende napoletane, Adelphi, Milano, 2013

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