Visitare la casa di Clemente Esposito è come entrare fisicamente all’interno di uno dei più bei libri sulla Storia di Napoli: ci si sente storditi davanti alla quantità colossale di immagini, testi, reperti e opere d’arte che ti circondano, tutti disposti ad immagine e somiglianza del padrone di casa: un caos creativo fatto di svariate collezioni che vanno dai manifesti pubblicitari alle monete; attacchi d’arte creativi e panorami mozzafiato che si intravedono da ogni finestra.
Ci troviamo infatti dinanzi all’erede vivente di Guglielmo Melisurgo, l’uomo che esplorò per primo il sottosuolo napoletano. L’ingegner Clemente Esposito, cinquant’anni dopo, ha invece cominciato ad esplorare e mappare l’intero sottosuolo come mai era stato fatto prima di allora, riscoprendo e analizzando ipogei funerari dimenticati da millenni, cavità abbandonate o usate come depositi, senza dimenticare gli ex ricoveri antiaerei della guerra. Ha all’attivo più di 700 cavità mappate, un milione di metri quadri sotto terra visitati, migliaia di discese in pozzi e scantinati e innumerevoli studi di settore pubblicati in libri, articoli e consulenze.
Insomma, parliamo dell’unico uomo che conosce le due Napoli: sulla strada e sotto terra.
Oggi ha creato il Museo del Sottosuolo in una cavità a Piazza Cavour.
Un’energia infinita
Ed eccoci, con una stretta di mano e un sorriso accogliente, davanti alla storia di una vita intera che comincia molti anni fa ad Airola, in provincia di Benevento, quando da bambino per gioco esplorava i pozzi delle campagne sannite. Poi, una volta trasferitosi a Napoli a causa del lavoro del padre, si iscrisse al liceo Vittorio Emanuele e conobbe tre ragazzi iscritti al Centro Speleologico Meridionale. Era un destino scritto e, dagli umidi pozzi di campagna, negli anni ’50 passò ad esplorare le misteriose cavità napoletane di cui si era persa memoria, nei cortili dei palazzi antichi. Tutto per passione. Un hobby insolito e affascinante che occupava le giornate degli studenti.
Nonostante la carta di identità dica che il buon Clemente sia sulla soglia degli 80 anni, il suo corpo se ne infischia dell’età ed è capace di travolgere l’interlocutore con una passione che non si trova nemmeno in un adolescente dopo il suo primo bacio: ancora oggi è infatti attivissimo nelle conferenze, negli studi (il suo ultimo libro è del 2019!) e nelle esplorazioni del sottosuolo napoletano; frequenta mercati ed aste per riuscire ad accaparrasi libri e reperti introvabili ed è anche attento al futuro, avendo scelto dei giovani da formare per poter creare una nuova leva di esploratori del sottosuolo. E spiega: “Abbiamo esplorato più o meno i due terzi del sottosuolo napoletano: c’è ancora tantissimo da fare!“.
Storie e scoperte sotto il terreno di Napoli
La timidezza non è un tratto caratteriale amato a Napoli. E per fare il lavoro di Clemente Esposito, di certo non si può essere timidi: le prime esplorazioni cominciarono infatti per gioco, letteralmente bussando di casa in casa e chiedendo ai residenti più anziani dove fossero i ricoveri usati durante la guerra. Poi si cominciavano a tracciare le cavità, con il brivido dell’avventura e l’emozione dell’esplorazione: “volevo sempre essere il primo a scendere nelle cavità, correvo prima degli altri, spesso anche in modo irresponsabile. L’idea però di riuscire a mettere il piede in luoghi non toccati da cento o più anni è indescrivibile“.
Negli anni ’50 e ’60 erano stati prima trasformati in cantine per le conserve e poi, con l’avvento dei frigoriferi, finiti tutti in discariche, come ci testimonia anche l’esperienza del Giardino di Babuk restaurato dal prof. Oliviero. Ed è qui “che mi sono fatto una cultura sui cessi napoletani!“, spiega con un sorriso. “Davvero, non ci crederesti. Potrei dire di aver visto più gabinetti sotto terra che persone in città, a volte una famiglia ne aveva anche tre o quattro collezionati nelle cantine: quando si rompeva un gabinetto, veniva messo giù. Potremmo fare uno studio sull’evoluzione delle abitudini più intime dei napoletani!“.
La capacità incredibile del mondo sotterraneo è quella di sottrarre gli oggetti allo scorrere del tempo. “Una delle scoperte di cui vado più fiero è legata a una cavità connessa con un corso d’acqua dell’Acquedotto della Bolla. Se riusciamo a dimostrare che sotto terra scorre ancora l’acqua nelle condotte dell’antico acquedotto greco, potremmo dire di essere dinanzi ad una rivelazione unica al mondo: un acquedotto che funziona da 2400 anni. Il mio lavoro sta andando anche in questa direzione”.
Il sottosuolo non mi spaventa!
“Il sottosuolo non è un luogo di cui aver paura: non c’è vita, ma solo storie da ricostruire“, spiega Clemente Esposito con un sorriso quando, spolverando il mio passato da urbex, gli chiedo quanto potesse essere fastidioso incontrare animali o insetti nel buio. La risposta demolisce la fantasia di chi immagina le esplorazioni come percorsi a ostacoli fra trappole e percorsi degni dei film di Indiana Jones. “…a meno che non ci sia l’intervento umano, tutti i luoghi che ho scoperto popolati da insetti, animali o muffe erano rovinati da qualche manufatto spesso non proprio in regola o avevano aperture da qualche parte, che siano naturali o dovute a tubature o lavori abusivi. D’altronde, ogni essere vivente va a caccia di acqua e cibo per garantire la propria esistenza: queste cose, in ipogei sigillati da millenni, di certo non le trovi“.
“L’unica cosa che mi fa davvero paura è il sottosuolo che non conosciamo. Ci sono ancora centinaia di cavità che non abbiamo mai visto, chiuse da chissà quanto tempo. Sono un pericolo per due motivi: potrebbero essere scoperte in occasione di eventi drammatici oppure, senza individuarle e mapparle, corriamo il rischio di perderle assieme ai loro contenuti”
Per il resto, “tre sono le cose che mi mancano: la piscina degli Incurabili, che è il luogo in cui venivano buttati i morti poveri dell’ospedale, il ricovero sotto San Domenico Maggiore e il ricovero sotto Porta San Gennaro. Poi potrò dirmi felice“.
Se Clemente Esposito, come ogni esploratore che si rispetti, è in cerca sempre dell’ultima scoperta, si può dire che una mattinata passata insieme sia stata sufficiente per trasformarmi in esploratore di casa sua: durante la nostra conversazione, infatti, il mio sguardo cadeva continuamente sulle decine di punti di interesse che caratterizzavano al sua stanza. E lui, da buon padrone di casa, ha intercettato subito la mia curiosità. Sono finito ad osservare soffitti affrescati con San Gennaro che regge in una mano la città e poi mi sono perso a leggere le biblioteche con titoli talmente invitanti da dover sfogliare in almeno due vite. La sensazione è quella di essere entrati in uno degli ultimi templi della “Napoli Nobilissima” che viene raccontata in quei giornali di un secolo e mezzo fa, quando i giovani studenti avevano il privilegio di frequentare la biblioteca di Benedetto Croce, la casa di Gino Doria o lo studio di Enrico De Nicola.
Potremmo definire certe persone “custodi del Tempo”, con un nome degno di un film Marvel e una missione davvero epocale: tramandare e custodire con sapienza pezzi della cultura che altrimenti si perderebbero lungo la strada delle nostre vite che distrattamente vagano ogni giorno fra i quartieri della città, fra mattoni e strade che non cambiano da quasi 3000 anni.
-Federico Quagliuolo
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