Un uomo nobile non per il titolo, ma per la memoria che creò di sé. Marco di Lorenzo era un macellaio analfabeta che diventò uno degli uomini più ricchi della Napoli nel ‘600. Il popolo lo chiamava addirittura “imperatore”, mentre le persone più colte lo chiamavano “grande come un Cesare“.
Fu uno dei protagonisti della rivolta di Masaniello e addirittura ne uscì talmente arricchito e potente che ebbe un ruolo anche nelle vicende politiche del Regno di Napoli.
Uccise diversi uomini, fece il doppio e triplo gioco fra nobili, re e popolani; aveva mobili d’oro e posate d’argento, i nobili gli chiedevano prestiti e i poveri ricevevano regali di ogni sorta ogni giorno.
Ma lui rimaneva modesto e continuava a vivere fra il suo basso dei Quartieri Spagnoli e una piccola bottega di carni a Via Toledo. E morì ricordato come un re. O meglio: come “capitano del Popolo”, come lui stesso volle farsi chiamare.
Un macellaio ricco come un re
Di Marco di Lorenzo sappiamo quasi tutto, ed è una cosa incredibile, se immaginiamo la difficoltà enorme nel ricostruire le vite antiche. In realtà manca solo un pezzo fondamentale della Storia: nessuno ha mai capito come fece a diventare così tanto ricco da lasciare in dote al funerale una somma di quasi 500.000 ducati, pari a diverse decine di milioni di euro. Lui, che era solo un umile bottegaio e, stando alle fonti, partì da un patrimonio di 14 ducati ricavati dal primo affare fatto da mercante. Cose degne da investitori di bitcoin!
Era completamente analfabeta e nacque ai Quartieri Spagnoli da una famiglia di umilissime origini. Continuò a condurre la stessa vita di sempre nonostante le ricchezze degne di un principe.
In tutto questo, erano i tempi della guerra dei Trent’Anni, che fu uno dei conflitti più sanguinosi della Storia d’Europa fra le potenze centrali. L’impero spagnolo, quindi, chiedeva costantemente tributi alle sue colonie per sostenere le pesantissime spese militari e Napoli era fra le città “fedelissime“, maggiori fornitrici di denaro e truppe.
Cosa c’entra il nostro Marchetiello in un conflitto globale?
Lo spiega Tommaso de Santis, un nobiluomo del tempo: scrisse che si era arricchito vendendo carne alle Galere. Molto probabilmente il nostro macellaio era il fornitore privilegiato della flotta spagnola di stanza a Napoli.
Poi diventò anche “Capitano della grascia” per la Terra di Lavoro: era l’ufficio dell’esattore delle tasse sul cibo e sul grano. Possiamo capire benissimo come, grazie a questi affari, riuscì ad arricchirsi in modo spropositato.
Amico di Masaniello, dei Francesi e degli Spagnoli
La ricchezza dà spesso alla testa e sono frequenti le storie di uomini poverissimi che, una volta arricchiti, rinnegano le proprie origini. Marco di Lorenzo, invece, fu incredibile: riuscì ad essere venerato e stimato da tutti. Amici e nemici.
Il caso perfetto fu durante la rivoluzione di Masaniello: il popolo napoletano si ribellò alle angherie dei Viceré nel 1647 e quel macellaio amico dei potenti fece il doppio e il triplo gioco con un’abilità degna di Iago.
Nel pieno della rivolta popolare, fu infatti rubato a di Lorenzo un carico di 50 bovini: lì decise di schierarsi a favore del popolo e ne approfittò di questo schieramento per liberarsi anche di un paio di persone che proprio gli stavano antipatiche.
Le vittime furono Diomede V Carafa, uno dei capi dei nobili reazionari, e Giuseppe Carafa, che fu letteralmente sgozzato e decapitato da Marchetiello, che le carni le sapeva squarciare con grande maestria: questo gesto così violento ed eclatante fece impazzire il popolo napoletano, che portò la testa infilzata su una lancia e il corpo smembrato a Piazza Mercato, per far festa davanti a Masaniello.
Poi, probabilmente, il nostro macellaio fu anche fra le persone che rubarono gli oggetti preziosi del Palazzo Carafa.
Il popolo in rivolta lo amava, ma in realtà era anche stimatissimo dal conte d’Ognatte, il viceré che venne dopo la rivoluzione.
Nell’intermezzo, in quel turbolento 1647, fu anche amico intimo di Enrico II, il duca di Guisa. Era un nobile francese che, affermando di essere il diretto discendente di Renato d’Angiò, scese a Napoli da Parigi e provò a diventare capo di una Repubblica Napoletana approfittando della confusione e facendo valere il suo diritto sul trono di Napoli risalente a 230 anni prima.
Il progetto finì ovviamente nel sangue, e tutti i congiurati fecero una bruttissima fine. Ma anche da questo pasticcio, il macellaio ne uscì indenne.
Anzi, nel nuovo governo spagnolo tornò immediatamente a trafficare con i potenti, senza mai dimenticare la sua modesta bottega. Fra i tantissimi traffici del macellaio, c’è anche una lettera di Enrico II commosso per la bontà degli arrosti che gli venivano regalati.
Sempre in piedi
Molti storici dell’epoca avevano più di qualche dubbio sulla storia di “Marco di Lorenzo capitano del popolo“. Molto probabilmente il buon Marchetiello fu un genio del marketing: riuscì a creare una narrativa attorno a sé tale da uscire “pulito” dalla rivolta di Masaniello: secondo Tommaso de Santis, forse in realtà era segretamente d’accordo con il re e faceva i nomi dei rivoltosi ai militari spagnoli. Ma queste sono storie che non potranno mai essere provate.
Quel che è certo è che, dalla rivolta di Masaniello, il nostro Marco di Lorenzo uscì ancora più arricchito e potente, addirittura fu chiamato dal Conte d’Ognatte per avere pareri su come rilanciare il mercato e gli affari a Napoli, poi diresse anche l’ospedale di San Gennaro alla Sanità. E continuò ad esigere tributi in Terra di Lavoro.
Il funerale di un re, il testamento di un santo
La morte di “Marchetiello“, com’era chiamato affettuosamente dai napoletani, fu un funerale di quelli che nemmeno gli imperatori ricordano. Morì il 22 agosto 1669 a causa della gotta, ma il suo testamento era stato già depositato da molto tempo.
Si dice che l’intera città si sia vestita a lutto, le donne piangevano e si strappavano i capelli, i nobili salutarono un caro amico (ben felici di non dover restituire più diversi debiti contratti con lui), il viceré lo omaggiò commosso. Addirittura fu commissionato a Luca Giordano un medaglione d’oro con il suo volto, da esporre sulla facciata della chiesa.
Il lascito di Marco di Lorenzo fu straordinario: rimise tutti i debiti (per un valore di oltre 35mila ducati) e liberò dal pagamento del fitto tutti i suoi inquilini più fedeli, perdonò tutte le persone che lo avevano minacciato o derubato.
Poi lasciò un fiume di denaro da destinare praticamente a tutti: al nipote arrivarono 140.000 ducati, mentre il Monte de’ Poveri Vergognosi ne percepì 80.000, vincolati a diverse attività: innanzitutto la preparazione di “pane a rotolo” (che era una variante più costosa e pregiata della “palata“, che invece era il pane del popolo); poi numerosissimi lasciti per pagare i riscatti degli schiavi catturati dai pirati, per sostenere le vedove, per aiutare le prostitute, e poi ancora per fare processioni religiose. Poi lasciò anche un feudo dal valore di 60.000 scudi all’Ospedale di San Gennaro dei Poveri e, per non far mancare nulla a nessuno, anche una masseria al Vomero del valore di 20.000 ducati ai monaci Camaldolesi.
La chiesa in cui fu sepolto Marchetiello, la Santissima Trinità di Palazzo, non esiste più perché è stata sostituita da San Francesco di Paola sotto Ferdinando I di Borbone.
Ma non tutto è perduto: oggi, alle spalle della Piazza della Ferrovia, c’è una via che porta il suo nome. L’ennesima mossa indovinata di un uomo che, 400 anni fa, riuscì a scrivere un gran finale per la sua narrazione anche dopo la sua morte.
-Federico Quagliuolo
Riferimenti:
Luigi Coiro, Memoria di un ricco beccaio: marco Marco di Lorenzo tra Masaniello e i viceré, in Napoli Nobilissima settima serie – volume III, gennaio-aprile 2017
Giuseppe Galasso, Napoli Spagnola, Sansoni Editore, Firenze, 1982
Aurelio Musi, Mezzogiorno spagnolo: la via napoletana allo Stato moderno
Tommaso de Santis, Historia del tumulto di Napoli, Parte Prima, Leyden Napoli, 1652
Relatione della morte e funerali di Marco di Lorenzo celebrati dal venerabile Monte de’ Poveri Vergognosi, dichiarato da Lui erede particolare in docati ottantamila da impiegarsi in varie opere di pietà data in luce per ordine dell’illustrissimi Signori Governatori del Medesimo Monte, Napoli, 1669
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