Li troviamo nei musei più famosi del mondo; hanno un valore inestimabile in termini storici ed economici; ci regalano fotografie delle città italiane di tre secoli fa con un livello di dettaglio impareggiabile. Stiamo parlando dei quadri di Gaspar Van Wittel, il padre della pittura di veduta in Italia, che fu legatissimo a Napoli.
Non potrebbe essere altrimenti: suo figlio fu l’ancora più famoso Luigi Vanvitelli, il padre della Reggia di Caserta.
Una pittura “senza filtri”
L’Olanda e Napoli hanno una qualche alchimia speciale quando si parla di pittura. Se infatti nel XIX secolo un altro olandese, Anton Sminck Van Pitlo, giunse in città e fondò la Scuola di Posillipo, cento anni prima giunse nel Regno di Napoli un giovane pittore olandese in cerca di fortuna, chiamato dal viceré in persona.
La storia di Gaspar Van Wittel, però, comincia a Roma nel 1673, quando decise di lasciare la sua Amersfoort in cerca di fortuna.
Nella capitale dello Stato Pontificio c’era infatti una enorme colonia di olandesi che, a vario titolo, erano impegnati nelle arti o in lavori mercantili. Da quel momento la sua vita fu un pendolo fra il Regno di Napoli e la futura capitale d’Italia.
Di Van Wittel sappiamo pochissimo perché, stranamente, nessuno ci ha mai parlato di lui sul piano umano. Attraverso qualche lettera e le testimonianze dell’epoca possiamo scorpire che era di carattere molto serio, attentissimo ai dettagli (e lo notiamo nei suoi quadri!) e caratterizzato da una puntualità nordica che non lo abbandonò mai. Anzi, inizialmente mal tollerava gli italiani, tant’è vero che da ragazzo entrò a far parte della Schildersbent, il “clan dei pittori” con sede a Roma, che era un’associazione di artisti olandesi, tedeschi e fiamminghi che si ribellava ai canoni antichi della pittura e non accettava nessuno “straniero”, tant’è vero che si poteva parlare solo in olandese. Poi cambiò il suo cognome in Vanvitelli.
Fu proprio durante la sua esperienza romana che Gaspare Vanvitelli decise di creare un nuovo modo di dipingere i panorami: a suo avviso, la realtà è bella così come la percepiscono gli occhi. Non sono necessarie fantasie, angeli che scendono dal cielo, prospettive dall’alto o altre distorsioni tipiche del passato. Ciò che serve è solo lo sguardo umano e un pennello capace di definire la scena: se nei tempi della fotografia questo concetto può sembrare ovvio, per l’epoca fu una innovazione straordinaria.
Una produzione industriale di quadri
Se facciamo due conti, notiamo che esistono numerosissimi quasi identici di Vanvitelli. Spesso cambia qualche dettaglio, come i soggetti che si muovono nella scena, le finestre aperte o chiuse o la presenza di qualche elemento particolare. Altre volte invece cambia l’orario del giorno: alcuni sono al tramonto, altri a mezzogiorno.
Ad esempio, rimanendo nel periodo napoletano di Vanvitelli, ci sono ben diciotto versioni della Darsena di Napoli tutte in apparenza uguali. Se contiamo la famosissima Veduta del Largo di Palazzo, che è uno dei quadri più famosi di Napoli in assoluto, ne abbiamo ben sei quasi uguali. Le uniche differenze sono i dettagli, che Vanvitelli dipingeva con una precisione quasi fotografica.
Van Wittel non era pazzo nel disegnare lo stesso soggetto continuamente, e non è nemmeno mai tornato 18 volte nello stesso luogo a ridipingere i suoi quadri, se la fantasia ci ha fatto immaginare una scena simile alla Cattedrale di Rouen di Claude Monet. Anzi, per giunta quasi tutti i quadri napoletani li ha realizzati nel suo studio di Roma.
Il trucco dietro la sua produzione industriale di quadri era infatti la fotografia e una buona memoria.
Già nel XVIII secolo era infatti noto uno strumento chiamato “Camera Ottica”. Era un oggetto rudimentale: siamo lontanissimi ancora dalla prima fotografia, datata 1828, ma la camera ottica permetteva di creare una proiezione in piccolo di ciò che passava attraverso l’obiettivo. In pratica era una macchina fotografica senza pellicola, sostituita dalla mano del pittore che ricalcava le linee su un foglio di carta.
In questo modo Vanvitelli aveva a disposizione una serie di bozzetti precisissimi dai quali partire per produrre i suoi quadri: poteva replicarli all’infinito, semplicemente immaginando posizioni diverse per i soggetti, e bastava la sua memoria per ricordare colori, forme ed atmosfere. Questa tecnica fu di grandissima ispirazione per Canaletto, uno dei paesaggisti più famosi d’Italia, che dichiarò in prima persona di essere stato influenzato proprio da Gaspar Van Wittel. Per giunta, quasi tutti i bozzetti sono conservati nella Reggia di Caserta. Roma è invece la casa di buona parte dei suoi dipinti, assieme a Firenze e Capodimonte.
L’eredità di Gaspar Van Wittel
Mentre lavorava per il Palazzo Reale di Napoli nel 1700, per giunta, si sposò con una nobildonna napoletana. Dall’unione nacque il piccolo Luigi, chiamato così in onore del viceré Luigi Francesco de la Cerda, che per giunta lo battezzò in prima persona.
Anche se appena un anno dopo Gaspar Van Wittel fu costretto a fuggire da Napoli per i vari movimenti politici a favore degli austriaci che presto avrebbero portato al crollo del Viceregno, in realtà il pittore olandese nel suo studio romano continuò a dipingere e rivendere quadri di vedute napoletane per tutto il resto della sua vita, anche quando, arrivato alla veneranda età di 83 anni, era praticamente cieco. Ma non si disperò affatto: aveva infatti lasciato la sua eredità in ottime mani.
Il figlio, Luigi Vanvitelli, fu chiamato ad assistere il padre sin da quando era poco più che bambino. Prima colorava alcuni suoi quadri poi, da adolescente, diventò un vero e proprio “socio” della sua bottega d’arte. E infine, quando il giovane Luigi scelse la strada dell’architettura, il padre lo aiutò a trovare committenti ricchi nelle province del Centro e Nord Italia.
Era questione di tempo. Mentre Gaspar Van Wittel era sul letto di morte, Carlo di Borbone entrò a Napoli. Dovremo aspettare 15 anni per rivedere un Vanvitelli in Campania: il figlio Luigi fu infatti chiamato per costruire opere monumentali che, ironicamente, sono diventate il soggetto privilegiato dei pittori vedutisti dei secoli seguenti.
-Federico Quagliuolo
Leave a Reply