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Il “bosco della Salandra” ci fa immaginare chissà quale animale mitologico nascosto in una selva dal sapore fantasy. In realtà di cose nascoste ce ne sono moltissime, mentre il nome “Salandra” deriva dalla famiglia proprietaria di questi terreni, non imparentata col famosissimo politico dell’Italia liberale.

Passeggiando per questa fittissima selva di faggi, fra la spazzatura e gli scarichi di trent’anni di scempi, si nascondono tesori assolutamente straordinari: il “Ciaurriello“, un mausoleo romano ancora oggi conservato, la “Grotta del Brigante“, che si riferisce agli episodi postunitari e, non ultimo, un monastero interamente scavato nella roccia.

Mausoleo del Ciaurriello bosco della salandra
Il mausoleo del Ciaurriello, o ciò che ne rimane, compare all’improvviso dentro il Bosco della Salandra

Il Ciaurriello: i resti di una villa romana sotto i nostri piedi

Ci basta camminare fra i sentieri confusionari fra la vegetazione fittissima per notare qualcosa di interessante: spuntano, di tanto in tanto, alcuni pezzi di muro in opus reticulatum, proprio la classica tecnica utilizzata dagli antichi romani nella costruzione. Anzi, bisogna fare attenzione a dove si mettono i piedi: improvvisamente il terreno si apre in piccoli avvallamenti: si tratta di cisterne.

Due millenni fa il terreno che ci circonda doveva infatti essere completamente diverso: le pendici della collina dei Camaldoli erano infatti un immenso campo coltivato, probabilmente per lo più con vigneti, con attorno diverse ville rustiche. Del bosco della Salandra, invece, se ne parlerà almeno nel medioevo, quando giungeranno dal mondo arabo gli alberi oggi presenti.

Fra le tante rovine, ecco spuntare il reperto più bello di tutti, un mausoleo funerario simile al Ciaurro di Marano, ma in condizioni di degrado ben maggiori: si chiama “Ciaurriello“, perché è più piccolo del più famoso monumento maranese, e proprio l’origine del suo nome ci conferma la presenza saracena in zona, “tjaurr” significa infatti “infedele“. E le usanze funerarie romane erano di certo classificate come tali dai musulmani, ma anche dai cristiani, che non tolleravano la cremazione.

Nonostante i due millenni di vita, è ancora in piedi senza alcun intervento di restauro e consolidamento. Straordinaria la capacità degli antichi di costruire edifici magnifici anche una volta diventati rovine.

La presenza di Ciaurro e Ciaurriello così vicini (per non menzionare la Conocchia, sparita, e i mausolei di Scampia) ci suggerisce un’altra cosa: probabilmente qui passava una delle diverse strade che collegavano Napoli alla zona dei Campi Flegrei. La zona di Quarto Flegreo, d’altronde, è proprio a pochi passi ed è uno dei luoghi con il più alto numero di mausolei funerari in Campania. E, se non ci fossero gli alberi, riusciremmo addirittura a vedere Mondragone, che all’epoca era Sinuessa.

Grotta del Brigante interno Gesuiti
L’interno della grotta del Brigante, con un curioso simbolo dei Gesuiti

Il brigante Cerulo

Facciamo un salto di almeno 1.700 anni. Proseguendo nella selva, il tempo passa come se non ce ne accorgessimo. E allora, crollato l’Impero Romano e perduta quell’unità che aveva caratterizzato l’Italia per quasi un millennio, ci ritroviamo nel 1863. Di nuovo si parla di unità, stavolta fatta con l’annessione dell’antico Regno delle Due Sicilie.

Ogni trauma politico crea i suoi partigiani da un lato e dall’altro, ed anche il Regno delle Due Sicilie ebbe una folta schiera di nostalgici che, con operazioni di guerriglia, cercava di ristabilire il precedente regime nei territori meridionali. Furono chiamati “briganti”.

L’antichissimo bosco della Salandra era perfetto come rifugio: gli alberi regolari, uguali e fitti, ma soprattutto le “trappole” create dalle antiche cisterne romane, sono ancora oggi una condanna per chiunque non si sappia orientare bene. E per un ricercato sono la salvezza.

La grotta dove si rifugiava Alfonso Cerulo oggi è ben poco onorata: al suo interno c’è infatti un grosso deposito di amianto, scaricato in modo certamente non legale. Oltretutto, in un dettaglio si riesce a capire che questo luogo fu frequentato in tempi ancora più antichi: in un piccolo angolo compare perfettamente visibile una incisione realizzata da un frate gesuita nel 1615.
Non sappiamo nient’altro: nei dintorni non esistono chiese create o gestite dai gesuiti e tantomeno si ha memoria di una missione nel bosco. Ma quel simbolo è lì, per testimoniare il passaggio di un uomo di cui non abbiamo alcuna memoria, se non quella piccola traccia diventata Storia. Vicino all’amianto moderno.

Cerulo anche scrisse la storia della sua città: diventò infatti famoso per aver creato una gigantesca bandiera, larga e lunga diversi metri, che nottetempo riuscì a legare a diversi alberi sulla collina dei Camaldoli. Quando nel 1863 i napoletani si svegliarono, trovarono una stranissima sorpresa: i tre gigli borbonici svolazzanti sotto l’Eremo dei Camaldoli.

Per questa, ed altre imprese gagliarde, alla fine fu catturato nel 1867 e condannato a morte.

Eremo di Santa Maria di Pietraspaccata
L’eremo di Santa Maria di Pietraspaccata dentro il Bosco della Salandra

Una chiesa nella pietra

Il nostro giro nel bosco della Salandra si ferma davanti a un precipizio. O meglio: davanti a una chiesa di roccia che dà su un precipizio. Si tratta dell’Eremo di Santa Maria di Pietraspaccata, una struttura che esiste da almeno 1000 anni e solo di “recente” è diventata una chiesa.

Molti sospettano che la struttura sia stata abitata sin dai tempi del neolitico, dati alcuni ritrovamenti, ma con maggiore probabilità possiamo pensare che qui vivesse qualcuno già ai tempi dei Romani quando d’altronde per davvero da queste parti c’era una gran vita. La certezza è che nell’alto medioevo, ai tempi del Ducato di Napoli, qui un eremita passava le sue giornate placidamente, vivendo di ciò che offriva la natura e scavandosi la sua casa all’interno della roccia.
Fu solo nel 1600 che alcuni monaci, dopo aver consacrato la struttura a Maria, decisero di stabilirsi all’interno, continuando a scavare un formicaio di stanze e grotte nel cuore della collina di tufo. Ancora oggi questa chiesa è attiva, anche se in condizioni davvero gravi di

Anche il nome merita un approfondimento: “Pietraspaccata” si riferisce letteralmente alla forma della collina: dopo un’eruzione dei Campi Flegrei, infatti, fisicamente si spaccò a metà il terreno, creando una fenditura che oggi si può distinguere solo notandola dall’altro. Nel XVII secolo, probabilmente, la vegetazione era meno fitta ed era più facile vederla nella sua interezza.

bosco della Salandra
il Bosco della Salandra è tutto identico nella sua conformazione. Notiamo, con molta attenzione, il buco in basso: è una cisterna romana.

Questa storia, come tante della nostra Campania, finisce in modo amaro: nel 1943 l’eremo fu colpito da una bomba alleata e fu in gran parte danneggiato. Poi, dopo il furto dell’icona sacra di Maria nel 1970, cominciò un periodo di degrado che l’ha portato al giorno d’oggi. Nonostante tutto, anche se la struttura è inagibile e puntellata, i residenti di Marano continuano tutt’oggi a frequentare il piazzale con una devozione fuori dal normale.

Ed è questa l’immagine più bella e straziante del bosco della Salandra: almeno tre millenni di vite sotto le radici degli alberi. Una catena di vite, eventi storici, storie antichissime e senza nome. Adesso inquinate tutte da scarichi abusivi.

-Foto e storia di Federico Quagliuolo

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