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Il migliaccio, che sia dolce o salato, con il suo sapore deciso, simile alla pastiera, ci ricorda che il periodo carnevalesco è terminato, ed è giunto il momento di trasportarci alla Pasqua.

Il migliaccio, tra cucina e letteratura

” a dio pastenache e fogliamolle, a dio zeppole e migliaccio, a dio vruoccole e tarantiello, a dio caionze e cento figliole”, ed è così che Basile ne lo cunto de li cunti quando uno dei protagonisti sta per allontanarsi da Napoli, saluta quelle che erano le pietanze più prelibate nel Seicento napoletano, tra questi immancabile il migliaccio.

Le origini di questa pietanza son ben più antiche, già dal Medioevo Martino da Como considerato il più importante cuoco europeo, all’interno del suo Libro de Arte Coquinaria, dedica l’intero capitolo IV intitolato per far ogni ragion torte alla ricetta del migliaccio, in cui è già presente la ricetta modificata da quella d’origine, che ancora oggi conosciamo e che aggiunge il latte alla farina di miglio.

La ricetta originale è frutto della povertà che si viveva nelle campagne napoletane, in cui era viva la voglia di festeggiare le ricorrenze religiose, ma mancavano le materie prime per onorare le feste con una tavola imbandita.

L’originale, risalente agli inizi del Medioevo, comprendeva due semplici ingredienti: la farina di miglio grezzo e il sangue di maiale. La farina di miglio grezzo, da cui il migliaccio prende il nome, fa parte della famiglia delle graminacee e durante il Medioevo era utilizzato come sostituto della carne dalle famiglie povere europee. Il sangue di maiale, oltre ad essere un ingrediente della ricetta del sanguinaccio, ne veniva utilizzato per tante altre, perché del maiale non si butta nulla!

migliaccio dolce fatto in casa

Il sangue di maiale, l’ingrediente proibito prima dalla chiesa e poi dalla legge

Il procedimento affinché il sangue potesse essere commestibile era abbastanza semplice, ma richiedeva una certa velocità nei passaggi da compiere. Appena ucciso il maiale, il sangue veniva fatto colare in un recipiente e, ancora caldo, mescolato, per evitare che si formassero grumi e coaguli. Veniva poi conservato in un luogo asciutto e fresco e filtrato prima dell’utilizzo.

Con l’avvento del cristianesimo, questo alimento venne pian piano eliminato dall’alimentazione quotidiana delle famiglie povere medievali, in quanto veniva considerato dalla Chiesa un pasto con una certa simbologia cannibalica. Se prima con i greci e i romani questo alimento rappresentava fertilità e propiziava ad un buon avvenire, durante la metà del Medioevo veniva visto con un’ accezione macabra, che evocava l’impiego alimentare di corpi di condannati.

Dal 1992 anche la legge italiana vieta la vendita del sangue di maiale, perché potrebbe provocare infezioni e malattie a colui che lo ingerisce, se conservato in modo inadeguato o proveniente da animali allevati in allevamenti intensivi.

A sostituire il sangue, in questo dolce che nasce fin troppo povero, fu il latte o l’acqua che insieme alla farina di miglio e in seguito a quella di mais che arrivo dalle Americhe, venivano mischiate fino ad ottenere un composto compatto e omogeneo, arricchito poi di acqua profumata agli agrumi, canditi e zucchero a velo.

Già l’odore, molto simile a quello della pastiera che si sente arrivando all’interno della cucina della nonna, ci trasporta inevitabilmente ai giorni pre Pasquali anticipando di quaranta giorni la gioia della risurrezione e del buon cibo che ci aspetta dopo un periodo di privazione e sacrificio spirituale

In cucina con Jeanne Carola Francesconi

Jeanne Carola Francesconi fu una delle più importanti scrittrici di libri di ricette napoletane, il suo interesse per il cibo e la gastronomia napoletana, fecero sì che i piatti tipici della città arrivarono anche oltre oceano. Qui di seguito riportiamo la ricetta del migliaccio dolce della Francesconi:

Ingredienti:

Acqua 1L ;

Cannella un pizzico;

Raschiatura di mezzo limone;

Burro gr.30;

Zucchero gr.40;

Sale un pizzico;

Farina di mais di Bergamo gr 150;

Passi gr.40;

Pinoli gr.30;

Zucchero a velo q.b;

Volendo: qualche pezzetto di frutta candita.

Procedimento:

Fate bollire un litro di acqua con la cannella, la buccia di limone grattugiata, il burro, lo zucchero e il sale. Versate a pioggia la farina e, sempre mescolando, fatela cuocere mezz’ora. Dopo aver tolto la polenta dal fuoco, aggiungete i passi e i pinoli e, volendo, dadini di frutta candita. L’impasto deve avere la consistenza di una crema un po’ densa. Ungete di sugna o di burro un ruoto di circa cm. 20 di diametro, versate il composto e infornate in forno caldo da tre quarti d’ora a un’ora, finché la pizza non sia colorita. Lasciate raffreddare, sformate e spolverizzate di zucchero a velo.

Bibliografia

Yvonne Carbonaro, Il cibo racconta Napoli, l’alimentazione dei napoletani attraverso i secoli fino ad oggi, Storiak, 2017

Amedeo Colella, mille paraustielli di cucina napoletana, cultura nova, 2019

Jeanne Carola Francesconi, La cucina napoletana, Grimaldi & C. Editori

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