Francesco Caracciolo è oggi ricordato da napoletani e turisti per lo più per l’omonima via sul Lungomare a Napoli che ne porta il nome. Ma chi era?

Nella tumultuosa Napoli del ‘700 infatti furono tanti gli eroi vicini alla corte di Ferdinando IV. Tra questi, i libri di storia hanno restituito ed enfatizzato il nome di Horatio Nelson, ammiraglio inglese, che aiutò i sovrani a fuggire in Sicilia durante i moti rivoluzionari, e visse un’appassionata relazione d’amore con Emma Hamilton, moglie dell’ambasciatore britannico del Regno di Napoli e intima amica dei sovrani. Ma se quella di Nelson, è una vita nota al punto da meritare romanzi e film, anche la vita di Francesco Caracciolo, ammiraglio della corte partenopea, merita di essere ricordata.

Francesco Caracciolo, un nobile militare

Figlio del Duca di Brienza Michele Caracciolo e di Vittoria Pescara, che apparteneva alla famiglia dei duchi di Calvizzano, Francesco Caracciolo inizia la sua carriera militare giovanissimo, a 14 anni, quando assunse il ruolo di guardiamarina soprannumerario, nel 1767 fu nominato alfiere di fregata.

L’ammiraglio napoletano trascorse in mare gran parte della sua vita. All’età di 29 anni, dopo un addestramento in America, ottenne già il grado di tenente di vascello da Acton e gli fu affidata la fregata Santa Dorotea.

E se il se il sovrano, e la regina consorte Maria Carolina, erano sul Vanguard di Horatio Nelson, le più alte cariche della nobiltà partenopea, si trovavano invece sulla nave capitanata da Caracciolo, il Sannita, di cui era diventato ammiraglio.

Francesco Caracciolo ritratto
Francesco Caracciolo, ritrattoFrancesco De Gregorio (1900-1910)

La competizione con Nelson durante una tempesta

Francesco Caracciolo dimostrò di essere, al pari dello stesso Nelson, un ammiraglio accorto e abile: durante la traversata del Tirreno che portò i Borbone da Napoli a Palermo, la flotta napoletana si ritrovò nel bel mezzo di una tempesta, e mentre la nave dell’ammiraglio Nelson rischiò quasi di affondare, il Sannita di Caracciolo fu governato così bene che riuscì a superare indenne i forti venti e la pioggia.

Questa straordinaria impresa valse a Francesco Caracciolo un elogio pubblico da parte del Sovrano, suscitando l’invidia del collega inglese.

Horatio Nelson, che nel corso della sua carriera militare perse la vista all’occhio destro e subì l’amputazione di un braccio, doveva di certo aver mal visto quest’uomo che si faceva largo tra le attenzioni del re, diventandone da quel momento il suo più acerrimo nemico, fino a pretenderne la testa al termine della rivolta.

Dalla nobiltà partenopea ai repubblicani

Deluso dalla decisione del sovrano di fuggire una seconda volta in Sicilia, nel marzo del 1799 Francesco Caracciolo fece ritorno a Napoli. Acclamato come un eroe dai repubblicani, combatté valorosamente sulla fregata Minerva proprio contro la flotta inglese, partecipando in maniera significativa alla causa repubblicana. Questo tradimento lo rese particolarmente inviso non solo dai Sovrani, ma da tutta la corte borbonica.

Ma anche quegli stessi repubblicani che lo avevano osannato, gli voltarono le spalle quando, alla morte del padre, divenne Duca di Brienza, ereditando con il suo titolo tutti quei privilegi nobiliari tanto malvisti dai giacobini.

Quando Francesco Caracciolo fu catturato il 25 giugno del 1799 dal colonnello borbonico Scipione La Marra e sottoposto ad un processo-farsa, fu la stessa Maria Carolina, forse spinta dalla stessa amante di Nelson, Lady Hamilton, a pretenderne la condanna a morte.

Infatti, la corte militare, presieduta dal conte Thun, nonostante che Nelson in persona avesse richiesto la pena capitale per l’ammiraglio, in un primo momento aveva stilato una sentenza che lo condannava al carcere a vita.

Francesco Caracciolo chiede cristiana sepoltura, Ettore Cercone (1850-1896)
L’ammiraglio Francesco Caracciolo chiede cristiana sepoltura, Ettore Cercone (1850-1896)
Certosa e Museo di San Martino, Napoli

La condanna sulla Minerva

L’esecuzione avvenne proprio per mano di Nelson, il giorno stesso della sua sentenza, alle 17 del 29 giugno del 1799, a bordo della nave ammiraglia inglese Foudroyant.

Il re Ferdinando e la regina Maria Carolina, che aveva in odio i rivoluzionari a causa della fine fatta da sua sorella Maria Antonietta decapitata sulla ghigliottina durante la rivoluzione francese, spinsero per ottenere la pena capitale per l’ammiraglio napoletano, approfittando dell’amicizia che Emma Hamilton aveva con la regina.

La misura dell’odio che Horatio Nelson doveva provare nei confronti di Francesco Caracciolo può darcela la modalità con cui fu giustiziato. Nelson costrinse così il conte Thun a modificare la sentenza già scritta. In qualità di nobile e militare, l’Ammiraglio Caracciolo aveva chiesto di essere fucilato, ma Nelson glielo negò. Caracciolo fu così condotto sul ponte della sua nave, la Minerva, e impiccato a uno degli alberi. Come ulteriore spregio al suo corpo non fu data sepoltura, ma gettato in mare.

Secondo i racconti del tempo, pare però che il suo corpo non fu divorato dai pesci come probabilmente sperava Nelson, ma riemerse nei pressi di Castel dell’Ovo, proprio mentre la nave di Re Ferdinando rientrava nel porto di Napoli. Mosso a compassione, il Sovrano decise così di dare a quel corpo, straziato e tumefatto dalla permanenza in acqua, una degna sepoltura.

Francesco Caracciolo tomba Chiesa di Santa Maria a Catena
Tomba di Francesco Caracciolo

La sepoltura nella chiesa che guarda il mare

Fu deciso così di seppellire l’ammiraglio Francesco Caracciolo nella Chiesa di Santa Maria della Catena, fondata nel XVI secolo da una confraternita di pescatori e marinai dell’antico borgo di Santa Lucia. Il corpo fu inizialmente deposto nella cripta, concepita in origine come luogo funerario e poi collocato nel transetto sinistro della chiesa. Fu solo nel 1881, con la riapertura al culto di questo edificio sull’antica cinta muraria, che fu posto un epitaffio in memoria di Caracciolo, ricordato come grande ammiraglio della repubblica.

Scolpita sulla sua lapide di marmo un’ancora, legata da una catena e cinta da una corona di alloro, quella del trionfo, il riconoscimento ad un uomo che ha attraversato i mari e la storia, monarchia e repubblica, con uno sguardo sui cambiamenti politici intorno a sé e il cuore rivolto sempre verso il mare cui sentiva di appartenere.

Bibliografia

I Signori di Napoli, Sara Prossomariti
L’arciconfraternita e la chiesa di Santa Maria della Catena in Napoli, Ugo Dovere

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