Di Valeria Jacobacci
Scrittrice e socia dell’Accademia Filangieri di Partenope.
Tra i suoi romanzi Io, Teresa Filangieri, Flavius, 2003 (già Fausto Fiorentino, 1999).
1. Una nascita aristocratica e una formazione illuministica
Essere una protagonista della cultura non è il principale intento di Teresa Filangieri; tuttavia, dal pensiero di Gaetano Filangieri le arriva sicuramente il concetto illuminista che lega all’economia e alla giustizia sociale ogni possibilità di sviluppo e progresso.
D’altra parte, l’appartenenza ad una famiglia di antichissima nobiltà (il capostipite Angerio, da cui il nome Filangieri, da ‘filii Angeri’, arriva in Italia nel dodicesimo secolo, al seguito di Guglielmo il Guiscardo)1, la colloca in un ambiente aristocratico in cui ad una donna sono consentite un’educazione raffinata e importanti frequentazioni ma non autonomia e indipendenza. Sarà, in ogni caso, merito di quell’ambiente colto e innamorato dei ‘diritti umani’, a favorire l’evoluzione di una mentalità moderna e, per quanto possibile, spregiudicata.
Non è difficile immaginare le difficoltà incontrate da qualunque donna che nell’Ottocento volesse acquisire una propria veste politica. La domanda è quindi: in che misura le idee di Gaetano Filangieri sono entrate a far parte della cultura e del pensiero di sua nipote, Teresa Filangieri?
Per rispondere a questa domanda bisogna risalire ad alcuni tratti salienti della sua vita e alle differenze che separano i due secoli, il Settecento dei “lumi della ragione”, e l’Ottocento che vide invece il trionfo dello Spirito con gli ideali risorgimentali e con un forte contributo della Chiesa cattolica.
Teresa è esattamente al centro di queste due diverse dimensioni e le potenzia entrambe.
Il retaggio culturale del Settecento arriva dalla sua stessa vicenda familiare. Sua nonna, Carolina Frendel, sposò Gaetano Filangieri, morto a trentasei anni, prima che la Rivoluzione napoletana del 1799 sconvolgesse i piani di un illuminismo moderato, condiviso dalle teste coronate.
La contessa Carolina Frendel2 era ungherese ed era giunta a Napoli nel 1780 per occuparsi dell’istruzione di Maria Teresa e Luisa Amalia di Borbone, figlie del Re di Napoli Ferdinando IV di Borbone e della Regina Maria Carolina. A corte, Carolina Frendel incontrò Gaetano Filangieri, lo sposò nel 1783 con il permesso dei sovrani, ed ebbe con lui un primo figlio che battezzò Carlo, in onore della Regina. Scrivendo di Carolina a Franklin, Gaetano la descrive così: «Una dama, che io amo fino all’eccesso, e dalla quale sono ugualmente amato; una dama, le virtù della quale la farebbero distinguere nella Pensilvania istessa».3
A corte, la regina Maria Carolina coltiva idee liberali e possiede un’importante biblioteca, curata da Eleonora Pimentel Fonseca. La regina parla in francese, ha studiato latino e greco e si circonda, in un primo momento, di intellettuali. Dopo la decapitazione di sua sorella Maria Antonietta, regina di Francia e moglie del re Luigi XVI, però Maria Carolina perseguiterà tali intellettuali, considerandoli dei traditori.
I princìpi dell’Illuminismo sono presenti a corte come le idee più avanzate, sulla scorta di Filangieri e Genovesi. Sono le idee professate nella Scienza della legislazione, quelle che Teresa assimila fin dai primi anni di vita, ed è lì che si evidenzia l’ethos, la morale che è alla base della società civile.
Le basta aprire uno dei volumi, estraendolo dagli scaffali delle librerie di casa, per trarre suggerimenti e chiedere spiegazioni. Parole come: «prima che nel mondo vi fossero gli eroi distruttori degli uomini […] [g]li uomini riconoscevano tutto alla terra, ed un’abbondante raccolta era il maggior beneficio della natura» e «l’umanità riprendeva allora i suoi diritti, e la vanità deponeva le sue assurde distinzioni» e «giacché noi ci stimiamo, dunque, a vicenda necessari, stimiamoci come uguali, amiamoci come fratelli, e la concordia regni sempre tra noi»4.
Queste letture certamente forgiarono il carattere di Teresa Filangieri ma l’essere donna non era certo un compito facile. «Da dove nasce questa gonnella?»5. Chiedeva scherzosamente suo padre, il generale Carlo, quando da bambina la portava con sé a fare esercitazioni a cavallo nel Campo Marzio. E il punto è proprio questo, il femminismo di Teresa è innato, evidente, naturale: dalla difficoltà provata dall’ufficiale ad apprezzare una figlia femmina, dopo la gioia di aver avuto finalmente un maschio, terzo dopo due figlie, nasce lo sforzo da lei compiuto, ancora nella tenera infanzia, per essere approvata e meritare ammirazione. A cinque anni, cantando sottovoce la canzoncina francese del soldato ferito, Teresa conquista l’affetto paterno, incantata dai racconti di battaglie e imprese coraggiose. È una consapevole seduzione coronata da successo ma anche l’emulazione di un carattere forte, una costante della sua personalità.
Una delle prime opere scritte da Teresa Filangieri è infatti una biografia del padre, il generale Carlo Filangieri. Dopo il nonno filosofo, questa seconda figura consolida il primato maschile nella vita della famiglia. La fase successiva è legata all’essere madre, ma non è tutto qui.
Non è andare splendidamente a cavallo o aspettare il ritorno dell’eroe dalla guerra l’obiettivo di Teresa, molto più forte in lei è il dettato del pensiero di Gaetano. E lui ha scritto: «da per tutto gli uomini sono sempre spinti dalle distinzioni e dalle ricompense», e anche «un cuore oppresso dalla povertà non ha altro sentimento se non quello della sua miseria»6. Quali sono le cause della miseria? «[Essa] si perpetuerà finché le leggi restringeranno nelle mani di pochi tutte le proprietà, tutti i fondo dello stato»7, e «finché le leggi e gli abusi feudali non saranno riformati […] questa miseria finalmente si perpetuerà, finché queste cause […] non saranno abolite»8.
Sono queste le premesse dell’attività di Teresa. Ma, come entrare in gioco? Le donne sono consapevoli, nel suo momento storico, di un notevole carico di responsabilità, a onta del ben noto scetticismo di cui sono oggetto. Il cammino è appena iniziato. Le vicende delle suffragette americane e, non meno riconosciuta, l’influenza di alcune donne, come Madame de Staël, nel movimento romantico, o le imprese della contessa di Castiglione, nel delicato gioco che portò all’unità d’Italia, servono a sottolineare il contributo ideale del pensiero femminile, confinato però alla sfera delle influenze extra partes.
L’Ottocento vede un irrigidimento del costume, indubbiamente più severo, a causa di un recuperato senso religioso, nonostante questo, la coscienza sociale ha un più ampio spazio. La donna può sistemarsi così in un ambito morale che le consente l’azione diretta nelle opere di carità e nelle istituzioni rivolte all’educazione. È un primo passo che in qualche misura si può definire “politico”, se così vogliamo intendere la partecipazione anche da parte delle donne alla cosa pubblica, almeno nei suoi molteplici interessi e manifestazioni di carattere sociale. Questo significa che una donna come Teresa Filangieri è molto più moderna di quanto si possa immaginare e percorre tutte le strade che saranno in futuro dirette allo sviluppo di una dimensione politica al femminile.
È sola in questa particolare dimensione? Non esattamente. Il suo operato si intreccia con la storia della carità a Napoli: a questa antica e unica risorsa per i poveri Teresa dedica i quattro volumi, editi per Giannini nel 1875, la Storia della Carità napoletana9. Molte amiche la seguono nelle iniziative umanitarie e una, in particolare, ispira tutta la sua opera: Paolina Craven Laferronnays10. Questa nobile scrittrice francese riflette una tipologia ormai diffusa in tutta l’Europa progressista, che vede nella donna una duplice valenza: intellettuale da una parte, attiva nel sociale dall’altra.
Paolina era figlia di un ambasciatore, aveva vissuto a San Pietroburgo e a Parigi, prima di trasferirsi a Roma e poi a Napoli, dove, oltre a Teresa, che sarebbe diventata la sua migliore amica, conobbe Augusto Craven, diplomatico inglese che sposò, restando con lui a Napoli per diversi anni. Insieme a Teresa Filangieri intraprese molte opere umanitarie, rivolte all’accoglienza e al sostegno di ragazzi e anziani bisognosi, in particolare.
Si tratta di donne altolocate, favorite da un’educazione moderna e da frequentazioni stimolanti, è l’inizio di una via di sicuro successo. Amica di Paolina è Lady Giorgina Fullerton11, stesse idee, stesse scelte12. È a loro che Teresa si rivolge quando ha bisogno di appoggio nel reperire i fondi per i terremotati di Casamicciola13.
Napoli ha, nella sua fase preunitaria, una dimensione internazionale che le consente di assorbire una mentalità evoluta, sia pure in una particolare dialettica pietismo-illuminismo, quanto meno presso quelle classi sociali in cui questo è possibile.
Dunque, in qualche modo, nonostante la repressione successiva alla rivolta del 1799, le idee illuministiche, seminate da Gaetano Filangieri nel secolo precedente, stanno dando diversi frutti, di varia natura, così come un’aria internazionale, specialmente europeista, è di nuovo portatrice di importanti cambiamenti.
2. Un’epidemia di colera
Nata nel 1826, Teresa Filangieri è educata secondo princìpi illuministici, vive il periodo rivoluzionario del ’48, respira l’atmosfera che porta all’Unità d’Italia.
La situazione cambia drasticamente quando l’unità, pur così fortemente voluta, porta squilibri e disagi irreversibili ed un progressivo isolamento della capitale di un regno, Napoli, abbandonata ad uno sconfortante ruolo di emarginazione, nella quale sembra impossibile qualunque forma di miglioramento sociale e culturale.
La seconda metà dell’Ottocento presenta, per questo, problemi sempre più gravi e la perdita, almeno in parte, di quell’appoggio che le classi sociali più agiate, spesso impoverite, non riescono più a dare. Teresa Filangieri è una di quelle figure che vivono in pieno questo difficile passaggio riuscendo però, con tenacia e determinazione, a inserirsi in un contesto difficile, in molti casi tutto da inventare.
Per lei si tratta di ricominciare veramente una vita nuova. Il 1860, oltre a essere uno spartiacque politico, è anche l’anno in cui muore la figlia dodicenne, Lina, nata dal matrimonio con il duca Vincenzo Fieschi Ravaschieri.
Dalle ceneri di un mondo che non c’è più deve rinascere quell’araba fenice che è lo spirito femminile. Politicamente non esiste neanche più l’intellighenzia salottiera che aveva animato il dibattito romantico; a tutti, alle donne in particolare, tocca fare i conti con una realtà povera tanto di risorse quanto di idee. L’unica strada è l’azione.
Partita definitivamente la Craven, l’impulso verso le opere umanitarie è nelle mani di Alfonso Casanova14. Di antica aristocrazia, studioso di lettere classiche, intellettuale liberale che aveva partecipato ai moti del ’48, Casanova era in contatto con gli intellettuali del tempo. Diventò presto amico di Teresa e, dagli anni ’60 in poi, si dedicò essenzialmente alla beneficenza.
Casanova istituisce orfanatrofi per bambini abbandonati ma anche case di assistenza e avviamento al lavoro, per quelli che, ormai cresciuti, devono inserirsi nel tessuto sociale. È questa l’occasione per Teresa di cimentarsi in pieno nella lotta contro la malattia e la povertà.
Da Cava dei Tirreni, dove trascorre un’estate lontana dalla calura cittadina, nel raccoglimento doloroso per la morte della sua bambina, si precipita a Napoli per dare il suo aiuto nella contingenza di un’epidemia di colera.
Accoglie l’invito che Giuseppe Vacca, magistrato, liberale, rivolgeva dalle pagine del Piccolo15 ai cittadini per la formazione di un comitato di assistenza ai colerosi. Il dolore per una perdita senza rimedio diventa per lei superamento e sublimazione, attraverso quella coscienza sociale che Gaetano Filangieri aveva risvegliato con i suoi scritti.
Teresa Filangieri fece parte del comitato e iniziò a visitare personalmente i quartieri più colpiti, dove non esistevano misure igieniche, dove l’affastellamento di palazzi fatiscenti, le stradine senza sbocchi e i vicoli senza luce favorivano il diffondersi del colera. Si tratta di quegli stessi quartieri, Porto e Pendino, in particolare, che furono sventrati più tardi con le opere del Risanamento.
Quello che le apparve subito evidente fu la fame che affliggeva i più poveri, istituì quindi le «cucine economiche»16. Aveva capito che l’inedia era la causa maggiore di un’epidemia che trovava terreno facile in organismi deboli: presso queste mense gratuite era almeno possibile per i poveri mettersi per quanto possibile in forze. Finita l’epidemia, Teresa chiuse le cucine, così come a Casamicciola17, in occasione del terremoto, aveva provveduto a sospendere gli approvvigionamenti e ad aprire libretti di risparmio per gli abitanti, piuttosto che limitarsi a soccorrerli.
Come Gaetano Filangieri aveva indicato, le era ben chiaro il concetto che solo il guadagno che proviene dal lavoro può mettere fine alla miseria. Ad opera sua, e della sua cerchia di amici, nascono altre istituzioni per avviare al lavoro i fanciulli e salvare dalla strada le ragazze “pericolanti nell’onore”, istruendole in un mestiere e fornendole di una dote da spendere all’uscita dall’istituto in cui sono state ricoverate.
Leopoldo Rodinò18 aveva fondato a Napoli l’Opera per la mendicità a sostegno dei mendicanti, di lì a poco la marchesa di Salsa, Lady Strachan19, gli consegnò diecimila ducati per istituire la Scuola e Convitto per le fanciulle cieche, che di solito le famiglie povere costringevano per strada a chiedere l’elemosina. Rodinò affidò a Teresa l’incarico di ispettrice e patrona della scuola, da qui seguì per lei l’incarico del prefetto Mordini20 di condurre un’inchiesta sui Reali Educandati.
Non solo cameriere e cuoche, sarte o modiste uscivano dagli educandati, ai quali Teresa presiedeva a capo dell’Opera di ricovero e patrocinio21, il Gran Patronato delle orfane e derelitte, ma anche maestre, telegrafiste, computiste. È solo l’inizio dell’attività filantropica di Teresa Filangieri Fieschi Ravaschieri.
3. Una vocazione per la filantropia
La dedica di Teresa Filangieri in esergo alla sua Storia della Carità a Napoli recita: «Alla memoria della mia Lina che un dì mi disse, mentre io piangevo il suo martirio “Mamma son tanti i poveri che soffrono”»22. Per questa strada e con questo spirito nascono altre opere di beneficenza, fino alla creazione dell’ospedale per bambini “Lina Ravaschieri”23, il primo ospedale chirurgico in Italia per l’infanzia.
Durante l’impresa etiopica, sotto il governo Crispi, Teresa Filangieri, dirigente della Croce Rossa napoletana, accolse i reduci di Adua nella sua villa di Pozzuoli. Non si tratta solo di spirito umanitario: quasi suo malgrado, l’opera di Teresa assume un atteggiamento politico e realizza in concreto il compito precipuo di una società, che è quello di prendere atto dei bisogni più urgenti al suo interno e provvedervi.
In questo atteggiamento sono indispensabili capacità organizzative e imprenditoriali. Per far fronte alle spese Teresa deve farsi consegnare dal marito la sua dote; ciò vuol dire che l’aspetto economico, strettamente collegato a qualunque iniziativa, è il vero grande ostacolo di ogni donna che voglia socialmente cimentarsi. Qualunque ritorno delle imprese in termini di guadagno va comunque ad esclusivo vantaggio delle opere umanitarie avviate.
Questo rende un’idea della posizione politica di una donna nell’Ottocento: non agisce mai in rapporto a se stessa ma in favore degli altri. Teresa non ha certo bisogno di lavorare per vivere, se volesse farlo, non esisterebbero lavori adatti a lei. O, quanto meno, nessuno che non presupponga un fine elevato e un capitale familiare.
Può essere valido un confronto con Adelaide del Balzo, a cui si deve a Napoli lo sviluppo dell’Istituto Suor Orsola Benincasa24, da semplice asilo d’infanzia a ciclo completo di studi per fanciulle, fino all’Università.
4. Il retaggio delle “madri della patria”
Considerando la vita e le vicende di Teresa Filangieri nel suo particolare momento storico, rileveremo una personalità originale, matura, per molti versi ante litteram.
Essere a cavallo di avvenimenti sconvolgenti di un certo ordine costituito porta di solito a una crisi obbligata, ne è testimonianza il mondo poetico tormentato di Goethe o di Foscolo, un doloroso disappunto per le speranze deluse e gli ideali disattesi. Teresa invece non si piega, neanche davanti al destino peggiore per una madre, la sua è la tempra degli spiriti forti.
Nell’Ottocento gli studi su Vico influenzano fortemente la cultura dominante, rappresentano, in qualche modo, il tema di fondo della cultura italiana ed un raccordo con quella francese ed europea.
È in questo modo che Ottocento e Settecento si saldano insieme, alle donne passa il settecentesco retaggio delle “madri della patria” della Repubblica napoletana del 1799.
Le definì così Eleonora Pimentel Fonseca25, che, da “pastorella di Arcadia” alla corte di Ferdinando e Carolina di Borbone, diventò giacobina, artefice del giornale più significativo del momento, Il monitore napoletano, e infine martire, impiccata in piazza Mercato perché la nobiltà spagnola non le venne riconosciuta: non le fu assegnato l’onore del capestro.
Madri della patria furono Giulia e Maria Antonia Carafa26, “madri della patria”, così chiamate da Eleonora sulle pagine del Monitore27, perché raccoglievano non solo denaro per la causa ma anche contributi finanziari per i poveri. Avevano cercato di aiutare quel popolo che esultò quando fu decapitato il giovane Gennaro Serra di Cassano, figlio di Giulia e del duca Luigi Serra di Cassano. Le porte del Palazzo Serra di Cassano furono chiuse in segno di lutto, non sono state più riaperte.
Lo spirito giacobino non muore di certo, si trasforma. Questo spirito nasce dall’Illuminismo, appartiene a quell’ondata di pensiero che ebbe il suo culmine con l’entrata a Napoli dello Championnet28 e vide la fine con la partenza dei Francesi, portatori dell’albero della libertà, destinato ad essere abbattuto ma non certamente dimenticato. Al di là di rivoluzioni e restaurazioni, e al di là dell’astro napoleonico, il pensiero illuministico resiste e dà i frutti dell’età contemporanea.
Il retaggio delle “madri della patria” napoletane passa a quelle donne che in qualche modo parteciparono al Risorgimento italiano e alle sue conseguenze. È all’indomani di esso che una forte contrapposizione si viene a creare anche per il ruolo politico della donna nella nuova società.
Nel 1866 Cristina di Belgioioso29 scrive il saggio Della condizione delle donne e del loro avvenire in cui, pur riconoscendo la valenza delle forze femminili in ogni campo, dichiara che un’eccessiva invadenza delle donne porterebbe a una pericolosa destabilizzazione di un’Italia ancora precaria nella sua unità. È quindi consigliabile che le donne rimangano nei loro ruoli tradizionali, cooperando in questo modo al comune interesse.
È la stessa situazione che porta le donne americane a recedere, dopo la lotta per il suffragio universale, ad una volontaria abdicazione e al rientro in luoghi e mansioni più specificamente “femminili”.
Il Risorgimento italiano aveva interessato anche donne straniere, come Jesse White30, moglie del patriota mazziniano Alberto Mario, inglese, e come Elisabeth Barret Browning31, che soggiornò a lungo a Firenze con il marito Robert Browning.
All’indomani dell’Unità, questo clima di cooperazione internazionale si esaurisce. La nascita di un nuovo Stato unitario crea situazioni nuove, personalismi angusti, ed anche la donna sembra, come la poetessa americana Emily Dickinson32, ritirarsi a meditare nelle sue stanze.
Paolina Craven Laferronais lascia Napoli il giorno stesso in cui vi mette piede Garibaldi. La scena è descritta in una lettera inviata a Teresa, che si trova a Firenze per curare la piccola Lina33, ormai giunta alla fine della sua breve vita. L’impressione è di sgomento.
5. Il ruolo della donna fra ‘700 e ‘800
Quattro anni più tardi Teresa Filangieri rientra a Napoli, l’ex capitale è squallida, povera e avvilita. Ancora una volta si è verificato l’esodo della parte più consistente del ceto colto e intellettuale, già disperso, quando non sterminato, dopo la Repubblica napoletana del 1799.
Prima di partire, Augusto Craven, marito di Paolina Laferronays, tenta di investire capitali in quella che poteva essere l’inizio di una ricostruzione. Come si verifica anche per altri stranieri che hanno intenzione di restare, è raggirato e truffato da ogni genere di approfittatori, arrivati in città in gran numero, pronti a sfruttare qualunque occasione di guadagno.
Teresa ha definitivamente perso i suoi più cari amici. Le restano i poveri, sono questi, d’ora in avanti, i suoi amici. Abbiamo già detto che questa posizione è appoggiata da un movimento umanitario che fa capo al cardinale Capecelatro, ad Alfonso Casanova, a Frà Lodovico da Casoria. La storia della ripresa sociale è storia di carità.
È evidente l’influenza cattolica e la forte matrice liberale del cristianesimo, inteso come dottrina della progressiva redenzione umana attraverso la storia.
La città nella quale si trova a operare Teresa Filangieri non è il luogo del femminismo di marca socialista, ammesso che ce ne fosse uno. Il popolo napoletano non è contadino, gli operai delle fabbriche appartengono ad altre realtà, almeno quanto le fabbriche stesse. La principale preoccupazione da parte di questi protagonisti della carità a Napoli è la garanzia di un lavoro e la preparazione adeguata che esso richiede.
6. Teresa Filangieri: una donna imprenditrice
Nella costruzione dell’ospedale Lina Ravaschieri Teresa Filangieri dà prova di notevoli capacità imprenditoriali, a partire dalla ricerca del posto dove dovrà essere costruito. Quando lo trova, è solo un vecchio rudere semiabbandonato, in parte alloggio di anziane vedove di militari borbonici34.
Provvede a scioglierlo dai vincoli cui è legato, impiega il capitale in prima persona, dirige i lavori, procaccia il denaro quando il capitale è esaurito. È capomastro, architetto e poi direttore sanitario. L’aspetto delle competenze mediche è fondamentale, la chirurgia pediatrica non è ancora praticata negli ospedali, si tratta di un’innovazione fortemente voluta da Teresa. Nonostante le grandi difficoltà e l’attenzione per le competenze mediche, affidate ai più importanti luminari del tempo, a Teresa non sfugge l’importanza del bello nei luoghi di cura. L’aspetto delle corsie, della cappella, di tutti gli ambienti, è affidata all’opera di Francesco Jerace35, il più noto e capace artista del tempo, suo amico e sostenitore.
Una simile attività non le lascia il tempo per invocare i diritti delle donne; Teresa Filangieri li mette evidentemente in pratica, svolgendo diverse funzioni, di solito appannaggio degli uomini. La sua nascita in una famiglia evoluta non le fa avvertire il disagio che a volte comporta essere donna, del resto, è troppo proiettata verso la soluzione dei problemi per soffermarvisi. In realtà, è la cultura illuministica nella quale si è formata e cresciuta a renderla intimamente sicura dei suoi diritti, indipendentemente dal suo sesso.
Nonostante l’intimo sodalizio con Paolina Craven, seguace e sostenitrice delle idee del “pietismo”, e le molte amiche che la seguono nelle opere umanitarie, la sua capacità, in tutte le imprese cui mette mano, la rende diversa da loro. Teresa Filangieri è ben lontana da quel modello di donna, destinato a restare nell’ombra, oppure a essere ribelle e trasgressiva, almeno per i tempi, col quale quasi tutte le sue contemporanee si trovano a dover fare i conti.
L’opera fervida della carità risponderebbe, se mai, al canone materno dell’offerta, naturalmente gratuita, che tanto bene colloca l’immagine della donna nella concezione cattolica ottocentesca. Teresa è decisamente più avanti di così e lo dimostra.
Le donne nell’Ottocento, in ogni caso, non sono né più né meno dotate che in tutti gli altri secoli, compreso il nostro; lo confermano in ogni modo possibile e in ogni circostanza. Quello che cambia di volta in volta sono i condizionamenti a cui esse sono sottoposte: nel secolo romantico si fa sentire l’influenza della Chiesa.
Sicuramente più spregiudicate le Giulia Beccaria o le Pimentel Fonseca del secolo precedente, influenzato dai “lumi”. Queste ultime, consapevoli e incrollabili sostenitrici dei propri diritti, in quanto parte dei diritti umani, erano state capaci di impossessarsi della propria vita, con tutti i rischi implicati. L’accettazione del rischio è infatti strettamente connessa all’esercizio del diritto a tutte le forme di libertà.
La definizione di “donna libera” non è concepibile se non nel senso di “uomo libero”, per questo non ha diritto di cittadinanza nel secolo romantico. Nulla può indurci a pensare che Teresa non fosse consapevole dei limiti posti alle libertà femminili, era invece molto abile nel superare gli ostacoli: per ottenere uno scopo può essere sufficiente uno stratagemma, piuttosto che una battaglia. Teresa parla di rado del marito nei suoi scritti, accenna a lui, come al fratello, quando fa riferimento ai contributi economici che in alcune occasioni le occorrono.
La modernità di Teresa Filangieri è in una mente pratica e altruista, che è il suo personale modo di rappresentare, nei limiti del suo tempo e della sua città, una dimensione politica. Mettere insieme la capacità di dare, materna ed altruistica, con quella di operare, più specificamente maschile e pragmatica, è il segreto del suo successo. In qualche modo sembra quasi una metafora della politica, in bilico, all’epoca, fra regimi monarchici, più o meno edulcorati da costituzioni e concessioni ai diritti civili, e una visione democratica, orientata all’istituzione di repubbliche parlamentari, accentratrici oppure no.
7. L’Eredità de La Scienza della legislazione di Gaetano Filangieri
Il pensiero di Gaetano Filangieri anticipa di molto i secoli a venire. Lo scambio epistolare con Franklin, e la conseguente trascrizione, nella Costituzione degli Stati Uniti d’America, di alcune idee scambiate fra il filosofo e il politico, mettono chiaramente in luce il salto temporale e spaziale necessario alla realizzazione di quelle stesse idee.
L’Unità d’Italia fu fatta. Da quel momento mancava ancora una manciata di decenni, neanche un secolo, perché si rinunciasse a corone o a bastoni pastorali e si arrivasse a una repubblica democratica. Nel frattempo, la crescita di una coscienza civile, indispensabile, irrinunciabile, insostituibile, passava da una filosofia umanitaria e da una profonda concezione dei diritti umani. Passava da La Scienza della legislazione di Gaetano Filangieri. L’importanza dell’economia, dell’industria, dell’emancipazione da povertà e ignoranza sono i punti salienti della cultura illuministica della quale ancora oggi ci nutriamo.
Teresa Filangieri tenne lo sguardo ben fermo su questi temi, la sua opera puntò quindi all’educazione, unico modo per riconoscere diritti dei quali altrimenti gli esseri umani non potrebbero avere coscienza, e alle cure mediche, da offrire a chi ne ha bisogno, perché la salute del corpo e della mente resta la base di ogni «diritto alla felicità».
La costruzione dell’ospedale Lina Ravaschieri non trova come unica spiegazione il senso materno e il dolore per la perdita della figlia. Essere orfani era la disgrazia peggiore in una società che faceva poca attenzione all’infanzia; essere malati, e per di più poveri, non offriva molte vie di scampo. C’era bisogno di orfanatrofi, Istituti per l’istruzione, ospedali per bambini.
Teresa Filangieri li realizzò. Per farlo, non poteva aspettare il voto alle donne, che in Italia si concretizzò nel 1946, agì come se già esistesse e, nel percorso evolutivo, sicuramente vi contribuì. Morì agli inizi del nuovo secolo, nel 1903, dopo aver fatto quello che era in suo potere per affermare e realizzare fondamentali diritti umani, la salute, l’istruzione. E la bellezza.
Le sue opere umanitarie le sono sopravvissute: gli Ospedali Riuniti per Bambini36 sono tutt’oggi una realtà cittadina e fanno parte della Sanità pubblica. Non c’è soluzione di continuità. L’evoluzione della società civile si appoggia ai singoli progressi dell’umanità. Progressi che, secondo i dettami di Gaetano Filangieri, valgono sempre e ovunque.
-Valeria Jacobacci
Per approfondire: Io, Teresa Filangieri – Valeria Jacobacci – Libro – Flavius Edizioni – I lumi | IBS
Note:
Discorso genealogico della famiglia Filangieri, estratto da L’istoria del feudo di Lapio, compresa nel volume II di Erasmo Ricca, La nobiltà delle due Sicilie, Stamperia di Agostino de Pascale, Strada S. Paolo n. 48, Napoli, 1863. ↩︎
Si veda Carolina (Charlotte) Frendel, in Nobili Napoletani ovvero delle Famiglie nobili e titolate del Napoletano, ascritte ai Sedili di Napoli, al Libro d’Oro Napolitano, appartenenti alle Piazze della città del Napoletano dichiarate chiuse all’Elenco Regionale Napolitano o che abbiano avuto un ruolo nelle vicende del Sud Italia. ↩︎
Gaetano Filangieri, Lettera a Benjamin Franklin del 2 dicembre 1782. ↩︎
Gaetano Filangieri, La Scienza della legislazione, Libro II, Capo XV. ↩︎
Teresa Filangieri Fieschi Ravaschieri, Il generale Carlo Filangieri, Treves Editori, Milano, 1902. ↩︎
Gaetano Filangieri, La Scienza della legislazione, Libro II, Capo XV. ↩︎
Ibidem. ↩︎
Ibidem. ↩︎
Teresa Filangieri Fieschi Ravaschieri, Storia della Carità napoletana, Stabilimento tipografico F. Giannini, Napoli, 4 volumi, 1875. ↩︎
Pauline Marie de La Ferronays, sposata Craven (1808-1891). Scrittrice e filantropa, Paolina Craven era una fervida credente, fece parte di quel movimento “pietista” che informò una parte consistente della cultura religiosa del diciannovesimo secolo, vide nella Chiesa cattolica una solida base per il progresso morale e sociale dell’umanità. Famoso il romanzo Le récit d’une sœur, sulla storia della sua famiglia, profondamente religiosa e convertita al cattolicesimo. V. inoltre Teresa Filangieri Fieschi Ravaschieri, Paolina Craven e la sua famiglia, Napoli, Cavalier Antonio Morano editore, 1892. ↩︎
Lady Giorgina Fullerton (1812-1885). Scrittrice e filantropa inglese, fu una delle prime autrici inglesi convertite alla Chiesa di Roma. Compose romanzi di successo, dopo la conversione al cattolicesimo scrisse The life of St. Frances of Rome, Sadlier & Co, 1855. Paolina Craven scrisse di lei una biografia: Lady Georgiana Fullerton. Sa vie et ses Oeuvres, Perrin 1889, che si sofferma sulla sua attività filantropica. ↩︎
Interessante, a riguardo, il volume di Carol E. Harrison, Romantic Catholics: France’s Postrevolutionary Generation in search of a Modern Faith, Cornell University Press 2014. ↩︎
Oscar Meuricoffre, La carità nell’Isola d’Ischia, Napoli 1883. Giuseppe Barone, La catastrofe di Casamicciola, Napoli, Morano, 1883. ↩︎
Alfonso Casanova (1830-1872) fu un filantropo napoletano. Scrive di lui G. Fortunato, Lettere nuovamente edite, Roma 1916. ↩︎
Il Piccolo: Giornale politico letterario, direzione Vico Pellegrini, anno 1884, 5 settembre 1884, n. 247, “Organizzazione del comitato centrale di soccorso per il colera Croce Bianca e Croce Rossa”; 14 settembre 1884 n. 256, “Denaro raccolto in favore dei colerosi spedito alla Duchessa Ravaschieri di Napoli”; 26/27 settembre 1884, n. 268, “Il comitato centrale di soccorso ai colerosi (Croce Bianca e Croce Rossa)”. ↩︎
Ibidem. ↩︎
Ibidem. ↩︎
Leopoldo Rodinò (1810-1882), responsabile della Pubblica Istruzione di Napoli, insegnò nel liceo del collegio di padre Ludovico da Casoria, suo allievo fu Benedetto Croce. Fondò a Napoli l’“Opera per la mendicità” a sostegno dei mendicanti. Oggi la scuola è diventata Fondazione con la denominazione “Istituto Strachan- Rodinò” ONLUS. Ne fa parte la Società Sportiva dilettantistica “Strachan-Rodinò” e un “Ambulatorio oculistico per la prevenzione delle malattie dell’apparato visivo in età scolare” con il patrocinio del Comune di Napoli, dell’Ufficio Scolastico Regionale per la Campania e dell’UNICEF. ↩︎
Lady Strachan (1785-1868): Luisa Dillon, moglie di sir Richard Strachan, ebbe il titolo di marchesa di Salsa da Carolina Berio, con regio decreto del 2 maggio 1834, ebbe tre figlie, Matilde, Charlotte e Sarah Louisa. Se è lei nel dipinto “Lady Strachan and lady Warwick making love in a park” il richiamo al lesbismo è evidente, non è dato sapere da chi e perché commissionato, il quadro sembra polemico e dissacrante, forse segno di misoginia, un attacco alle donne troppo “libere”. ↩︎
L’avvocato Antonio Mordini fu prefetto di Napoli e deputato dal 1872 al 1876. ↩︎
Teresa Filangieri Ravaschieri Fieschi, Storia della Carità Napoletana, Vol. I, 1875 Biblioteca Nazionale di Napoli ↩︎
Ibidem. ↩︎
Teresa Filangieri Fieschi Ravaschieri “Come nacque il mio Ospedale” Napoli, Tipografia Panzini, 1903. ↩︎
Adelaide del Balzo Pignatelli (1843-1932). Il suo fine fu la crescita del ruolo delle donne nella società. ↩︎
Lenor de Fonseca Pimentel Chaves (1752-1799), impiccata nel 1799. ↩︎
Giulia Carafa (1755-1841) e Maria Antonia Carafa (1763-1823). Delle due sorelle, condannate all’esilio, Giulia morì, quasi folle, nel suo Palazzo a Monte di Dio, dove era rientrata dopo l’esilio; Maria Antonia non fece mai ritorno e morì suicida. ↩︎
Eleonore Pimentel Fonseca fondò e diresse Il Monitore Napoletano dal 25 gennaio 1799. ↩︎
Jean Etienne Championnet, generale francese, diede vita alla Repubblica Romana e partecipò alla nascita della Repubblica Napoletana del 1799. ↩︎
Cristina di Belgioioso (1808-1871), nota e famosa per aver contribuito a “fare l’Italia”, non fu affatto conformista, viaggiò ovunque, rifiutò un matrimonio convenzionale, sposò il principe Emilio di Belgioioso, bello e sifilitico, dal quale si separò restandogli amica, ebbe una figlia naturale della quale non si conosce il nome del padre. Alessandro Manzoni non gradì la sua visita alla madre Giulia Beccaria perché riteneva la donna “poco morigerata”. Lo scritto di Cristina, “Della condizione delle donne e del loro avvenire”, rappresenta più che altro una mentalità diffusa, riguardante le donne, che non conveniva combattere apertamente, rimandando a momenti più propizi altre rivendicazioni. ↩︎
Jesse White (1832-1906). Inglese, giornalista, amica di Mazzini e Garibaldi, fece reportage e inchieste e diffuse in Europa le idee di libertà e le aspirazioni dei patrioti italiani all’Unità. Sposò un patriota italiano, Alberto Mario, e scrisse, fra l’altro, un’analisi sulle condizioni di povertà a Napoli, “La miseria di Napoli”, del 1877. ↩︎
Elizabeth Barret Browning (1806-1861). Poetessa, fu un’accesa sostenitrice del Risorgimento italiano, invalida per buona parte della vita, conobbe il marito Robert Browning attraverso i suoi scritti, lo sposò contro il volere paterno, abitarono a lungo a Firenze, ospiti della famiglia Guidi, a Palazzo Guidi, dove oggi si trova un Museo a loro dedicato. ↩︎
Emily Dickinson (1830-1906). Educata in una famiglia puritana, la poetessa visse molto appartata, ebbe un’intensissima corrispondenza con sua cognata, Susan Gilbert, alcune lettere, tenute a lungo nascoste, ne rilevano un carattere decisamente erotico. S’innamorò, in seguito, del pastore Charles Wadswort, si trattò di un amore platonico perché il reverendo era già sposato, e, da ultimo, dell’anziano Otis Phillips Lord, che non poté sposare per dissidi familiari. La Dickinson visse la maggior parte della vita in isolamento, conquistando tuttavia grandissimi riconoscimenti. Un’infelicità strettamente legata alla condizione di donna, al represso desiderio di libertà che la portò all’esatto opposto, un lunghissimo isolamento fra le mura domestiche, schiava dei suoi stessi affetti. ↩︎
Teresa Filangieri Fieschi Ravaschieri “Lina” Napoli, Stabilimento Tipografico del Cavalier Francesco Giannini, 1876. ↩︎
Ospedale “Lina Ravaschieri”, finalmente inaugurato il 25 giugno 1879 in via Crocerossa, sulla collina prospiciente il mare. L’edificio ha una storia lunghissima. Già Ospedale per sifilitici, poi Caserma, Cristalleria e infine Ricovero per le vedove degli ufficiali borbonici, Teresa Filangieri dové faticare non poco per ottenerne la concessione dal Genio militare. Cfr. V. Jacobacci, Io, Teresa Filangieri, Fausto Fiorentino Editore, Napoli, 1999. ↩︎
Francesco Jerace (1853-1937), artista di dimensione internazionale, partecipò all’Esposizione Universale di Torino del 1880, le sue opere si trovano in numerosi musei a Londra, Varsavia, Berlino, Dublino, Vienna, come le sue opere, sculture, bassorilievi, monumenti ai caduti. A Napoli si trova il busto di Ludwig van Beethoven, nel Conservatorio di San Pietro a Majella. Il busto di Lina Ravaschieri, commissionato da Teresa Filangieri, era nell’Ospedale “Lina”, è stato trafugato, insieme a molte altre opere e ai ritratti di Teresa Filangieri e dei suoi familiari, nella notte fra il 22 e il 23 aprile del 1998. Cfr. V. Jacobacci, Io, Teresa Filangieri, Fausto Fiorentino Editore, Napoli, 1999. ↩︎
Cfr. V. Jacobacci, Io, Teresa Filangieri, Fausto Fiorentino Editore, Napoli, 1999. ↩︎
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