Classe 1956, originario di Castellammare di Stabia, Annibale Ruccello è una delle voci più autorevoli della scena teatrale partenopea della seconda metà del XX secolo.
Strappato alla vita e all’arte a soli trent’anni da un incidente stradale, è riuscito, nel breve tempo della sua vita, a lasciarci dei veri e propri capolavori drammaturgici.
Annibale Ruccello racconta nelle sue opere una Napoli variopinta e controversa, nel modo colto e originale che ben si adatta alla città. La sua opera parte da uno studio antropologico, storico e linguistico della cultura napoletana e gronda di popolarità.
Difficile apparire sulle scene teatrali pochi anni dopo le vette raggiunge dal teatro di Eduardo, in anni in cui la critica era ancora devota al lavoro del sommo drammaturgo. Annibale Ruccello, però, con l’energia e la sincerità di un giovane talentuoso riesce a conquistare all’unanimità il giudizio della critica, affascinata dalla duttilità e dalla creatività della sua poetica.
Uno sguardo ai testi di Annibale Ruccello
Il suo lavoro inizia nel 1977 quando, con la collaborazione di Lello Guida (con cui fonda negli stessi anni la cooperativa Il carro), scrive L’osteria del melograno, opera rimasta inedita.
Il suo primo lavoro autonomo è del 1980 e si intitola Le cinque rose di Jennifer. L’opera è ambientata negli anni ’70 e ha come protagonista un travestito inquieto e malinconico che abita in un monolocale a Napoli. Emblematica descrizione del “diverso” e dell’emarginazione a cui questa caratteristica costringe. La qualità più sorprendente del testo è quella di essere un atto unico dallo spessore, l’intensità spiazzante e il ritmo coinvolgente di una commedia in più atti.
L’altro capolavoro di Annibale Ruccello è Ferdinando, scritto nel 1985. L’opera ha vinto due premi Idi (Istituto Dramma Italiano): uno nel 1985 come testo teatrale, il secondo nel 1986 come miglior messinscena.
L’ambientazione questa volta è ottocentesca, la dinastia Borbone è appena caduta e con lei tutta la nobiltà che le era fedele. Lungi dal voler scrivere un dramma storico, come l’autore stesso ha dichiarato, l’opera smaschera, tramite la figura del giovane Ferdinando, tutte le ipocrisie, gli odi, le viltà e il degrado dei personaggi che gli girano intorno.
Tra le altre opere ricordiamo: Una tranquilla notte d’estate (1982); Napoli Hollywood…un’ereditiera (1982), rimasto inedito; Notturno di donna con ospiti (1983) e Weekend (1983) con cui vince il premio Idi under35 e che con Le cinque rose di Jennifer formano la trilogia del “teatro da camera”; Maria Di Carmela (1985); La telefonata (1985); La Ciociara (1985), riscrittura teatrale del romanzo di Moravia; Mamma (1986) e Anna Cappelli (1986), che formano il duo delle “piccole tragedie minimali”.
Come in uno strepitoso congegno affabulatorio, i grandi miti della cultura novecentesca finiscono per coesistere in un unico universo. Non c’è spettacolo di Ruccello in cui questa complicata alchimia di mezzi espressivi non si riproduca. Proust, Genet, Strindberg, Pasolini, De Roberto, Tomasi di Lampedusa stanno insieme con Patricia Highsmith e con i film noir, si integrano senza forzature con la suspense alla Dario Argento, dialogano con Mina e con Lucio Battisti, con gli spettacoli trash della televisione più becera e con Raffaella Carrà.
Dall’introduzione di Matteo Palumbo al volume “ANNIBALE RUCCELLO E IL TEATRO NEL SECONDO NOVECENTO”, edizioni ESI.
Annibale Ruccello, il rammarico di una vita strappata troppo presto all’arte
La caratteristica dei testi di Ruccello è quella di unire la tradizione del teatro mediterraneo, da quello classico fino a quello contemporaneo, a un punto di vista del tutto nuovo, fuori dagli schemi prestabiliti.
Affascinati dal livello raggiunto dalla sua produzione drammaturgica in così pochi anni, che continua a vivere solo nelle rappresentazioni delle sue pieces, non ci resta che l’amarezza di non poter sapere fino a che punto il suo talento sarebbe arrivato.
Claudia Colella
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