Esistono luoghi della Campania che, nonostante la notevole importanza storico artistica, sono quasi del tutto fuori dalle mete turistiche, uno di questi è sicuramente Santa Maria Capua Vetere.
Il turismo internazionale tende a selezionare poche mete, divenute ormai quasi iconiche o pop. Pompei, Ercolano, Capri, la Costiera Amalfitana, ultimamente Napoli. I territori a nord della città partenopea e nella provincia casertana, sono invece luoghi, se si esclude la Reggia di Caserta, ancora in gran parte fuori dai circuiti.
La storia di Santa Maria Capua Vetere
Quando si parla di Santa Maria Capua Vetere, l’antica Capua, non bisogna confondersi con l’odierna Capua. La Capua Antica nacque nel IX secolo a.C. e fu città osca, etrusca, sannita ed infine romana. Il suo rapporto con i Romani fu ambiguo. Nel quarto secolo era probabilmente la città più grande della penisola italica e sotto assedio da parte dei Sanniti, chiese aiuto ai Romani. Il Senato Romano, che aveva appena firmato un patto di non belligeranza con i sanniti, rifiutò.
Gli ambasciatori di Capua consegnarono per uscire dall’impasse l’intera città a Roma, per costringerla a difenderla, Capua divenne così romana. Il rapporto però si guastò quando, durante la seconda guerra punica, la città si alleò con i Cartaginesi di Annibale che l’avevano occupata. Quando i romani ripresero il controllo di Capua, non le perdonarono il tradimento e la sua rilevanza politica cominciò a declinare, pur rimanendo un importante centro economico. Qui si producevano beni di lusso come profumi, bronzi, ceramiche e unguenti. I mercanti della città si insediarono perfino a Delo, in Grecia.
Le Matres Matutae e gli ex voto delle madri
Per vedere le magnifiche ed enigmatiche Matres Matutae e le statue ex voto delle madri, bisogna visitare il Museo Archeologico della città. Le statue furono trovate nel 1800 all’interno dei resti di un tempio, in località Petrara. Vi era una statua diversa dalle altre, senza bambini, che aveva nella mano destra un melograno e nella sinistra una colomba, entrambi simboli di fertilità, era secondo gli archeologi, Mater Matuta, antica divinità italica dell’aurora e della nascita.
Mentre le madri con in braccio i bambini in fasce, erano ex voto per ottenere il dono della fecondità o per ringraziare per averlo ottenuto. Sono statue davvero iconiche, le madri sembrano essere in competizione su quale tiene in braccio più figli. Secondo gli archeologi sono la testimonianza più eloquente del culto con il quale gli antichi campani onoravano il mistero della vita, considerando la nascita come un evento divino. Cronologicamente si trovano in un arco di tempo che va dal VI a.C. al II a.C.
L’Anfiteatro Campano
L’arco di Adriano era invece la porta della città sulla via Appia: bisogna venire qui per comprendere come il sistema viario romano fosse la spina dorsale dell’Impero Romano.
Purtroppo, dell’anfiteatro da cui ebbe inizio la rivolta di Spartaco rimangono solo le fondamenta, ma a poche centinaia di metri, ne sorge un altro, splendido, di epoca imperiale.
Il secondo anfiteatro romano per grandezza nella penisola italica, dopo il Colosseo, fu costruito nel II d.C. Qui si tenevano i famosissimi giochi gladiatori. Le chiavi d’arco dei primi due ordini ospitavano 240 busti a rilievo di divinità, tra le quali Giove, Giunone, Demetra, Diana, Mercurio, Minerva, Volturno, Mercurio e Mitra. Vi erano anche teste di Pan, satiri e maschere teatrali, sono state trovate poi statue di Venere, Adone e di Amore e Psiche. Splendidi i sotterranei dove vi erano tutte le macchine sceniche e gli apparati che permettevano allo spettacolo gladiatorio di funzionare e creare effetti speciali.
Annesso al teatro vi è poi il Museo dei Gladiatori, che meriterebbe di essere sviluppato maggiormente, magari con la realtà virtuale. Sicuramente la città potrebbe utilizzare meglio la storia di Spartaco e della sua rivolta del 73 a.C. per attrarre turisti e creare eventi culturali. Le vicende del noto gladiatore ribelle si svolsero qui, perché nella città, come ricorda Svetonio in “De Vitae Caesarum”, c’era “una notissima scuola gladiatoria, composta da soli schiavi di grande statura e forza, che venivano addestrati per dare vita a spettacoli cruenti, dove solo chi vinceva aveva la possibilità di sopravvivere”.
Raccontare qui l’intera storia di Spartaco sarebbe impossibile, ma la sua vicenda personale e quella della rivolta degli schiavi, è stata sicuramente una delle più importanti di tutto l’Occidente.
Il mitreo
A Santa Maria Capua Vetere non si può poi non visitare lo splendido e perfettamente conservato mitreo. È ritenuto il più antico d’Occidente e uno dei più importanti. Gli storici raccontano che il culto solare di origine indo-persiana penetra in Campania attraverso schiavi e mercanti giunti a Pozzuoli dal porto di Delo.
Nell’Impero Romano la nuova religione assume caratteri mistici e fa proseliti soprattutto tra militari, schiavi e gladiatori e questo spiega la particolare diffusione a Capua, non a caso Mitra è anche raffigurato nelle chiavi di volta degli archi dell’Anfiteatro. Scoperto negli anni Venti sotto un edificio a torretta, l’ipogeo rievoca la grotta in cui Mitra nasce e imprigiona il toro.
Si entra da un piccolo e buio corridoio e di colpo si apra la splendida sala. Lo sguardo è subito catturato dall’affresco di Mitra che sacrifica il toro in fondo alla sala. Ai lati vi sono le sedute per i fedeli, la stanza è coperta da una volta stellata che nell’antichità doveva scintillare con gemme di pasta vitrea, mentre il pavimento è in coccio pesto e marmo.
Nell’affresco centrale in cui sacrifica il toro, Mitra è vestito con abiti dalla foggia orientale, con un mantello rosso che, aprendosi, mostra la volta celeste. Gli studiosi sottolineano come tutto nell’immagine ricorda che Mitra sia una divinità cosmica. Dalla ferita del toro sgorga il sangue che genera la vita e tutte le piante benefiche.
Il grano viene generato dalla coda e la vite da uva nasce dal sangue che viene leccato da un cane. Ahriman, il dio del male, invia un serpente e uno scorpione che gli attanaglia i genitali, per bloccare la fecondità.
Sulle altre pareti vi sono splendidi affreschi, tra cui spicca uno con rare scene di iniziazioni al culto misterico di Mitra. Il percorso di purificazione prevedeva prove di coraggio e forza molto violente, in cui l’iniziato era nudo, bendato, con le mani legate e in ginocchio. Ogni grado raggiunto era legato alla protezione di un pianeta. Vi sono alcuni segni che indicano che il luogo di culto fu fatto chiudere nel IV secolo, in particolare gli archeologi hanno rilevato dei segni lasciati in modo intenzionali sulla figura di Mitra, a cui è stato strappato un pendente che portava al collo e deturpato una parte del volto.
La fine della città: Radelchi I ed il berbero Kalfun
La storia di Capua antica terminò nell’841 d.C., quando nel bel mezzo di una lotta di successione al ducato beneventano, Radelchi I, assoldò una banda di saraceni nord africani comandata dal berbero Kalfun, divenuto in seguito il primo dei tre emiri islamici che governarono Bari, nel breve periodo in cui la città pugliese divenne un emirato musulmano.
Bibliografia
Werner Johannowsky, Materiali di età arcaica della Campania, Capua Sessa Aurunca, Cales, Calatia, Napoli, 1983
Werner Johannosky, Capua Antica, fotografie di Marialba Russo, Napoli, Banco di Napoli, 1989
Angela Palmenteri, Su una chiave d’Arco figurata dell’Anfiteatro Campano, Napoli Nobilissima. Rivista di Arti, filologia e storia, LXVII, 2010
Lorenzo Quillici, Comuni di Brezza, Capua, San Prisco. L’Erma di Bretschneider, 2002,Isbn 978-88-8265-315-6
Sitografia
https://www.museocampanocapua.it/collezioni/eta-antica/lemadri/
https://www.beniculturali.it/luogo/museo-archeologico-dell-antica-capua-e-mitreo
https://storico.beniculturali.it/mibac/opencms/MiBAC/sito-MiBAC/luogo/MiBACUnif/luoghi-della-cultura/visualizza_asset.htlm?id=15499&pagename=157031
http:77www.trecani.it//enciclopedia/spartaco_%28Enciclopedia-italiana%29/
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