Vivere Napoli è una esperienza sensoriale, un viaggio nei secoli lungo pochi metri di asfalto; guardare, toccare, sentire ogni giorno le stesse pietre, gli stessi odori, gli stessi colori e le stesse emozioni vissute da uomini illustri di epoche passate che, per caso o per destino, si trovarono a camminare per le stesse strade percorse oggi con indifferenza, nel trantran di una ordinaria mattinata al Centro Storico, precisamente a via Pessina.
Molti di questi uomini ebbero la fortuna di dare il proprio nome al luogo al quale legarono la propria vita: Luciano Armanni sconfisse il colera nella strada che porta il suo nome; Edoardo Nicolardi scrisse le sue più belle poesie nei campi che sorgevano al posto dell’omonima strada; Giovanni Ninni morì nella strada che lo vide diventare il padre della cardiochirurgia in Italia. Si potrebbe continuare all’infinito!
Fra centomila nomi, però, c’è un punto di Napoli in cui si incrociarono nei secoli tantissime vite indimenticabili: Via Pessina oggi è nota solo per il traffico, i clacson ad ogni ora del giorno e la ZTL. Eppure, in soli duecento metri di strada sono nati, morti e vissuti sei uomini che cambiarono la Storia di Napoli, dell’Italia, del mondo.
Chi sono?
Partiamo dal nome della strada: Enrico Pessina.
Un professore di diritto della Federico II, un genio, uno dei più importanti luminari dell’epoca. Si dice che riuscisse a parlare in cinque lingue contemporaneamente, che traduceva i suoi discorsi con la padronanza di un madrelingua e che, a soli 18 anni, già scriveva commenti a sentenze e pareri giurisprudenziali letti, apprezzati e conosciuti in ogni angolo d’Europa.
Nacque e morì proprio in questa strada: era legatissimo alla sua città e non volle mai lasciare la sua cattedra alla Federico II, nonostante abbia ricevuto offerte in tutte le più importanti università d’Europa.
La sua storia la raccontammo qui: Enrico Pessina, il napoletano che insegnò il diritto all’Europa
Di Nicola Rocco anche ne parlammo: Nicola Rocco, il napoletano che creò il diritto internazionale
Il padre del Diritto Privato Internazionale, professore della Federico II che, con i suoi studi, duecento anni fa pensò per la prima volta un diritto comune per tutto il mondo, che superasse i confini degli Stati.
La lapide che lo ricorda si trova proprio all’inizio di Via Pessina, all’incrocio con Via Carlo Doria.
Proprio sullo stesso palazzo giallo, un po’ più in alto, c’è Luigi Amabile, al quale presto dedicheremo una storia.
Un medico, uno storico, un genio, un uomo nobilissimo.
Già a 28 anni insegnava medicina agli anziani medici degli ospedali: chiamato all’Università come professore a trent’anni, fu il creatore della prima cattedra di anatomia patologica (che pochi anni dopo diventò la più prestigiosa al mondo!) e, dopo, tentò l’avventura politica.
Disgustato dai giochi di potere e di palazzo, quando gli furono offerte delle “mazzette” per corromperlo in una questione sulla sanità pubblica, lasciò la sua carica indignato e dichiarò di non voler mai più avere a che fare con il potere. Anche all’università, contrariato da provvedimenti severi che censuravano alcune pubblicazioni, rifiutò il ricchissimo stipendio da professore e decise di insegnare privatamente, per rompere i legami con un mondo universitario che lui stesso definì sporco e corrotto.
Ma le sue passioni non furono legate solo alla medicina.
Nacque medico e, improvvisamente, diventò storico: cominciò ad effettuare ricerche e pubblicare libri su Tommaso Campanella e sull’Inquisizione a Napoli, negli ultimi anni della sua vita conobbe Benedetto Croce e Bartolommeo Capasso e, assieme a loro, diventò uno dei più importanti storici di tutta Italia.
Le sue opere furono così importanti che ancora oggi sono studiate come testi di riferimento: raccontava vite antiche come se fossero romanzi, tanto da essere apprezzato e letto nelle università di tutta Europa.
Morì poi proprio nello stesso palazzo di Nicola Rocco, nel 1892. L’unica testimonianza della sua vita è quella lapide nascosta fra due balconi di una parete gialla.
Subito dopo c’è il Generale Vincenzo Giordano Orsini, all’altezza dell’Accademia di Belle Arti.
Nacque a Palermo nell’anno in cui Ferdinando I unificò i regni del Sud Italia. Nato in una famiglia di fedelissimi ufficiali borbonici, fu subito mandato alla Nunziatella, sperando che un giorno avrebbe prodotto un altro fedele servitore delle Due Sicilie. La storia però non andò proprio così.
Proprio in quel 1821, infatti, cominciarono a sentirsi in tutta Europa le prime arie di rivoluzione, che nel 1848 avrebbero cambiato il volto dell’intero continente: conobbe proprio a Napoli tanti compagni che un giorno sarebbero stati i padri dell’unificazione e, nel 1848, lottò per cacciar via Ferdinando II da Napoli, ricevendo in risposta una condanna a morte dai tribunali borbonici.
Non si arrese: girò per tutta l’Italia, conobbe Garibaldi, partì con i Mille e diventò l’uomo più decorato ed influente dell’esercito garibaldino, comandando l’artiglieria e pianificando le battaglie, grazie alla sua conoscenza perfetta dei territori siciliani.
Si trovò a combattere una guerra fratricida, fu costretto ad uccidere i suoi stessi amici che, solo vent’anni prima, erano i suoi compagni della Nunziatella. Dopo il Plebiscito di Raffaele Conforti, provò ad entrare in politica, ma rimase disgustato dai progetti che i nuovi amministratori avevano per Napoli: pieno di sdegno si ritirò a vita privata, scoprendo un grandissimo amore per la cultura che, da militare, non aveva mai conosciuto.
Cominciò a scrivere romanzi, finanziare attività culturali a Napoli e dintorni, scrisse studi e ricerche in ogni campo scientifico finché, nel 1889, morì proprio qui, dopo una vita spesa ad inseguire i sogni di una Napoli ricca, provando a rendere possibile il miraggio di una capitale napoletana a capo della nuova Italia unita.
Vincenzo Villari
Un altro professore della Federico II, figlio dell’università che, proprio in quegli anni, produceva le più grandi menti giuridiche degli ultimi due secoli.
Mentre l’università era frequentata da un giovane Pisanelli e mentre Nicola Rocco enunciava le sue teorie sul Diritto Internazionale, Villari insegnava Diritto Civile, scrivendo libri che, a distanza di secoli, diventarono le basi delle moderne dottrine sulla legge.
Le sue opere furono discusse negli atenei più importanti d’Europa, tanto da far scuola anche nelle università tedesche e francesi.
170 anni fa aprì il suo studio da avvocato in questo palazzo e si racconta che spesso si affacciasse da questi balconi per osservare la folla che passeggiava per Salita Museo, la strada che un giorno sarebbe diventata proprio Via Pessina: si trattava spesso di contadini che, dopo aver passato la giornata a vendere i prodotti delle proprie terre al Mercato o a Piazza Dante, ritornavano nelle proprie case nel Borgo di Capodimonte ed allo Scudillo.
Dopo una vita passata fra libri, università, tribunali e salotti culturali di tutta Europa, Vincenzo Villari morì nel 1877 proprio nella città che servì ed amò.
Alla fine di Via Pessina, ormai superato anche il Museo Nazionale, c’era una lapide sporca, illeggibile, recentemente restaurata e riportata all’antica dignità.
Eppure, ricorda un nome non proprio secondario: Giuseppe Pisanelli, il padre del primo Codice Civile d’Italia. La sua storia la raccontammo qui: Giuseppe Pisanelli, il padre del Codice Civile
Quante vite, quante emozioni, quante storie possono essere raccontate in pochi metri d’asfalto?
Questa storia nasce affinché la memoria non vada mai perduta; affinché, un giorno, possa anche una sola persona essere ispirata dai grandi uomini del passato che morirono in nome di Napoli, per Napoli. Solo così nessun uomo avrà vissuto invano.
-Federico Quagliuolo
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