Il Codice leuciano è la raccolta di leggi che regolamentava la vita all’interno della Real Colonia serica di San Leucio, nel Regno di Napoli, e fu firmato nel 1789 dal re Ferdinando IV. Per l’epoca fu un un codice di leggi molto innovativo, che venne celebrato anche in un sonetto della nobildonna Eleonora Pimentel Fonseca.

Le origini del codice leuciano: progenitori illustri

Le radici del codice leuciano risiedono nel pensiero illuminista napoletano e nella concezione utopistica della società da parte di Tommaso Moro e Tommaso Campanella. Infatti, leggendo “La Città del Sole“, si notano alcune similitudini con dei precetti contenuti all’interno del codice leuciano.

Un altro punto di riferimento riguarda sicuramente la creazione delle comunità del Guaranì, in Paraguay, da parte dei Gesuiti, anche se si tratta di una comunità realizzata lontano dal Vecchio Continente.

L’utopia non era ancora tramontata nel pensiero filosofico del Settecento, ma gli illuministi avevano riscoperto i valori dell’uguaglianza tra gli uomini immaginando luoghi in cui il benessere e la giustizia potessero trionfare.

Utopia” infatti è la rappresentazione di una società razionale, ben strutturata e perciò felice, e si contrapponeva ad un’Europa mal governata. Nella società di “Utopia” si abolisce la proprietà privata, mentre l’uso dei beni è permesso a ciascuno secondo i propri bisogni, si sopprime il denaro e i beni sono stimati solo per il loro valore e non come merce di scambio. Il lavoro è un dovere sociale per tutti, le cariche sono elettive e hanno una durata, anche quella del principe è elettiva ma dura a vita.

Si superava così la concezione monarchica della Signoria descritta da Machiavelli ne “Il Principe”. Nuovo punto di riferimento di Campanella è “Repubblica” di Platone, superandolo nella concezione religiosa del governo.

Il filosofo di Stilo rifiuta lo studio astratto e propone il contatto con la realtà viva delle cose, incita allo sviluppo delle attitudini psico-fisiche degli individui, al di là del sesso, in quanto ogni cittadino dovrà compiere per sei ore al giorno un lavoro manuale.

Nella “Città del Sole” non esistono ceti privilegiati, clero, aristocrazia, tutti i mestieri sono uguali, l’utilità è simbolo di nobiltà ed è ritenuto onorevole servire gli altri, i vestiti sono semplici e uguali per tutti.

Antonio Planelli, autore del trattato sull’ “Educazione dei Principi” non poteva ignorare tali predecessori.

Statua di Ferdinando I delle Due Sicilie nel cortile del Belvedere di San Leucio con in mano il codice leuciano
Statua di Ferdinando I delle Due Sicilie nel cortile del Belvedere di San Leucio con in mano il codice leuciano

Il codice leuciano: attribuzione

Il codice leuciano fu attribuito dai contemporanei a Gaetano Filangieri e a Bernardo Tanucci, ma lo storico casertano Giuseppe Tescione ritiene che le leggi furono scritte dallo stesso re Ferdinando anche se la redazione materiale avvenne per mano di Antonio Planelli di Bitonto.

Ferdinando attinse al pensiero del Planelli in modo vago e confuso, ma lo stesso pedagogo riordinò il testo delle leggi, dandogli la stesura definitiva che tutti conosciamo. Nel codice leuciano, notiamo una perfetta ortodossia religiosa e dinastica e un forte paternalismo che lo stesso Tescione attribuisce al re.

Invece lo storico Benedetto Croce esprime un giudizio sferzante, sostenendo che l’esperimento di San Leucio sia solo un “capriccio di sovrano”.

L’ingresso del Complesso di San Leucio

Il codice leuciano: le leggi

Il Codice leuciano inizia con un’introduzione attraverso la quale il sovrano si rivolge, parlando in prima persona, ai suoi sudditi spiegando le ragioni della sua benevolenza e e gli scopi che lo hanno portato ad assumere tali decisioni legislative.

La finalità è garantire il benessere finale dei propri sudditi, ai quali si sente legato da sentimenti di affetto paterno. Per questo il sovrano detta i doveri generali, a cui seguono le norme vere e proprie, alcune molto dettagliate, altre invece indicate a grandi linee. Il codice leuciano è un documento molto importante per capire il pensiero e le motivazioni di Ferdinando IV.

Nella colonia leuciana è il re che sovraintendeva a tutto. Ognuno deve far bene al suo simile, anche se è un suo nemico. Questo è un precetto divino e si basa sull’eguaglianza che Dio ha dato agli uomini, che sono tra di loro tutti fratelli e diede disposizione che nessuno comandasse gli altri uomini al di fuori di lui.

Si conferma la teoria che il poter del re discende dal potere divino e che sottostare alla sua volontà equivale a obbedire a Dio e alle sue leggi. Non bisogna dimenticare che l’assolutismo monarchico si fonda su queste antichissime regole.

Il merito era l’unica forma di distinzione tra gli abitanti di San Leucio, che il re chiamava artisti. Tutti dovevano vestire allo stesso modo, il lusso era vietato e i testamenti aboliti. I matrimoni non erano combinati ma erano matrimoni d’amore, inoltre lo stesso re donava agli sposi una casa e dava alla sposa la dote.

Si dovevano rispettare le persone anziane ed ascoltare i loro preziosi consigli ed era dovere dei giovani rispettarli ed ubbidirli. Ogni anno, nel giorno di San Leucio venivano scelti dagli abitanti della colonia cinque anziani chiamati “Seniori del Popolo” che avrebbero deciso insieme al parroco tutte le controversie civili e avrebbero fatto in modo che venisse rispettato il codice leuciano.

Nel codice leuciano, veniva istituita la casa degli infermi, una sorta di ospedale dell’epoca, sovvenzionata dallo stesso Ferdinando IV, ed era obbligatoria la vaccinazione contro il vaiolo. Si istituì anche la cassa di carità per gli artisti leuciani in difficoltà economiche.

Anche i funerali erano semplici e senza distinzione per tutti ed erano sovvenzionati dalla cassa di carità. Unico segno di lutto era una fascia nera al braccio per gli uomini e un fazzoletto nero al collo per le donne in caso di morte dei genitori o del marito o della moglie.

I bambini e le bambine a partire dai sei anni dovevano andare a scuola per imparare a leggere, scrivere, contare e il catechismo.

La colonia di San Leucio era aperta anche a chi veniva da fuori, i requisiti per entrare erano saper lavorare bene la seta e possedere ottime doti morali ma bisognava sempre sostenere un periodo di prova di un anno. Nel codice leuciano, troviamo anche i regolamenti di fabbrica e le preghiere che dovevano essere recitate dagli abitanti della colonia.

San Leucio era per Ferdinando un luogo di lavoro, di educazione e vita collettiva, basato su precise regole dettate dal sovrano, che ciascuno doveva rispettare rigorosamente, pena l’esclusione dalla comunità e dalla colonia. Infatti, il fine ultimo del codice leuciano è la felicità del genere umano.

L’amore per San Leucio da parte di Ferdinando IV non venne mai meno, tant’è vero che in esilio a Palermo si fece accompagnare da alcuni artisti leuciani e nel bosco della Ficuzza riprodusse le stesse condizioni di vita di San Leucio.

La rivoluzione napoletana, il periodo napoleonico e l’Unità d’Italia posero un freno al codice leuciano ma resta ancora vivo negli abitanti di San Leucio l’esperimento sociale attuato da un sovrano illuminato e dai suoi intellettuali nel 1789.

Il complesso di San Leucio visto dall’alto

Bibliografia

Codice delle leggi leuciano

Bagnato, A. San Leucio, una colonia borbonica tra utopia e assolutismo, Agra, Roma 1998

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