La visita del presidente John Fitzgerald Kennedy a Napoli fu una festa per l’intera città: in quel lontano 2 luglio 1963 le strade intere furono riempite da un corteo di quasi un milione di persone accalcate lungo tutte le strade da Bagnoli fino a Capodichino: un’accoglienza che la città ha tributato solo ai suoi re.
Fu l’ultima città straniera che vide il presidente americano, prima dell’attentato di Dallas pochi mesi dopo.
Un tour europeo per prepararsi alle sfide degli anni ’60
La visita del presidente Kennedy a Napoli era l’ultima tappa di un giro europeo di incontri con gli alleati del Patto Atlantico. Gli anni ’60, infatti, si aprono con una delle fasi più delicate della Guerra Fredda: dal Muro di Berlino alla crisi missilistica di Cuba, mentre i due blocchi del mondo correvano veloci verso la Luna. Ma fu anche il periodo del primo avvicinamento fra l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti d’America e l’Italia, in questo gigantesco movimento politico mondiale, aveva un ruolo importantissimo. Era infatti il paese atlantico con il Partito Comunista più esteso e poteva essere un ottimo laboratorio per sperimentare i primi tentativi di pacificazione con le sinistre. D’altro canto, John Fitzgerald Kennedy era una figura giovane e molto carismatica che incuriosiva il mondo intero per le sue idee riformatrici e innovative, ma anche per la capacità di risolvere le crisi gravissime che caratterizzarono la sua breve presidenza. Proprio in occasione del suo incontro di Berlino, avvenuto una settimana prima della visita di Napoli, pronunciò la storica frase “Ich bin ein berliner“.
John Kennedy a Napoli: un corteo trionfale
Dopo gli onori e i cerimoniali ricevuti nella Roma capitale, Kennedy a Napoli giunse con un elicottero che atterrò nella base NATO di Bagnoli. Sin dai tempi della II Guerra Mondiale, infatti, la Campania era una delle più importanti basi militari del Mediterraneo, considerata la sua centralità e la posizione strategica seconda solo alla Sicilia. Era quindi naturale la visita nella base NATO napoletana, dove tenne un discorso in presenza del Capo dello Stato, Antonio Segni, e del Presidente del Consiglio, il napoletano Giovanni Leone. Poi, da Bagnoli, partì in una “passeggiata” lunga 16 chilometri che vide il passaggio Kennedy fra Fuorigrotta, Mergellina, Lungomare, Centro Storico, Ferrovia e infine Capodichino.
Il corteo di Kennedy a Napoli fu definito dal mattino un “Trionfo“, intendendo la cosa nel senso più letterale del termine: nell’antica Roma il trionfo era infatti il massimo onore al quale un uomo poteva aspirare. Era infatti un corteo solenne di festa per i generali che avevano riportato vittorie straordinarie, portati in gloria verso il tempio di Giove. Potremmo dire che Kennedy visse emozioni simili, mentre nell’automobile cadevano fiori e coriandoli lanciati dai lati della strada, mentre dai balconi svolazzavano bandierine americane e si sentivano napoletani urlare il nome del presidente: “John, John! Viva l’America!“. Lungo le due ali del corteo c’erano migliaia mani che cercavano di toccarlo (c’è ancora oggi chi si vanta di “avergli quasi toccato i capelli” o chi si vanta delle proprie abilità balistiche, avendogli lanciato nell’auto bigliettini di stima e apprezzamento) e, giunto all’altezza del Teatro San Carlo, il presidente fu costretto a fermare l’automobile per aprire la cappotte e continuare in piedi e allo scoperto, in un bagno di folla che rendeva difficilissima la vita delle forze dell’ordine che cercavano di tenere saldo il cordone di sicurezza.
Vicino a lui c’era il Presidente della Repubblica Antonio Segni con il volto decisamente imbarazzato, segno del suo carattere schivo e duro che poco amava le grandi cerimonie. Ben differente era invece l’umore di Giovanni Leone che aspettava a Capodichino il Presidente degli Stati Uniti, orgoglioso della bellissima figura fatta dalla sua città.
Lo stesso presidente degli Stati Uniti disse, alla fine della sua brevissima visita napoletana, un “Viva Napoli!“ con il tipico accento americano, prima di imbarcarsi sull’aereo che lo avrebbe riportato a Washington.
I Kennedy, l’America e l’Italia: legami antichi
I napoletani non avevano dimenticato quel vicino 1943, quando le truppe alleate entrarono in città. Dopo la Guerra, Edoardo Bennato li chiamava “i maestri americani”, Renato Carosone cantava “tu vuò fà l’americano” e a Roma Alberto Sordi dedicò addirittura un film all’egemonia culturale statunitense sulla nuova generazione boomer.
L’America negli anni del boom economico, d’altronde, era sogno, fascino e moda per un’intera generazione: dalla musica rock alle automobili, arrivando alla tecnologia ai fumetti, che inondavano le case dei giovani dell’epoca.
Per giunta proprio Napoli vanta un’amicizia antichissima con gli States, risalente ai tempi dei Borbone.
La famiglia Kennedy, d’altro canto, era particolarmente amante dell’Italia. Ted Kennedy, nipotino del presidente e futuro senatore del Massachussets, negli anni ’50 e ’60 era un frequentatore della “dolce vita” di Capri.
Per JFK, invece, si potrebbe dire che il detto “Vedi Napoli e poi muori” fu davvero tragicamente profetico per il presidente degli Stati Uniti. La città partenopea fu infatti l’ultimo territorio straniero visitato da John Kennedy prima dell’assassinio di Dallas, avvenuto nel novembre dello stesso anno. Anche lì ci fu una tragica nota italiana: il fucile dal quale partì il colpo era un Carcano italiano assemblato a Terni nel lontano 1940.
-Federico Quagliuolo
Riferimenti:
Libreria e Museo presidenziale di John Fitzgerald Kennedy, Governo degli Stati Uniti d’America
Fotografia di copertina di Archivio Fotografico Riccardo Carbone
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