Da “Ciro” Mertens a Ciro Punzo, arrivando all’Orso Ciro, il giocattolo cult degli anni ’90, ad un improbabile Ciro Simpson, il fratello maggiore del nonno Simpson.
Il nome Ciro è diffuso quasi esclusivamente nella provincia di Napoli (con un 90% rispetto al resto della Campania) e si tratta di uno dei nomi più territoriali in assoluto, con una concentrazione maggiore di Gennaro, Carmine e Pasquale.
Se quasi tutti i nomi più iconici di Napoli hanno origini chiaramente latine e cristiane, una cosa allora non si spiega: come è finito ai piedi di Partenope un nome di origine persiana?
Origine di Ciro, un nome che nasce 3600 anni fa
Il nome ha origini antichissime e si diffuse nel mondo antico grazie all’influenza del “Re dell’Universo“, l’imperatore Ciro II di Persia, uno dei più famosi regnanti della Storia che visse nel VI secolo a.C. È anche un nome familiare per gli studenti del liceo classico, a causa della sua onnipresenza nelle versioni di greco. Un’ulteriore testimonianza della sua immortalità.
Durante il suo governo si distinse per il suo amore verso l’arte e la cultura, ma anche per le sue formidabili capacità militari che lo portarono a espandere i confini dell’Impero per una dimensione che va dalla Turchia fino all’attuale Afghanistan.
Il significato del nome è oscuro e l’etimologia non è di facile ricostruzione. C’è chi lo ricollega a un senso di “reale“, “imperiale”, rifacendosi alle origini dell’imperatore persiano. Altri studiosi, invece, avvicinano il significato a “giovane” o “baciato dal Sole”.
Il nome napoletano, però, non è un omaggio alle gesta dell’imperatore originario dell’attuale Iran, ma si riferisce al Santo Martire di Alessandria, venerato in Campania da tempi immemori grazie proprio allo strettissimo rapporto fra gli egizi e gli antichi napoletani.
Ciro di Alessandria, il protettore dei malati
Il santo visse nel III Secolo in Egitto. Era un medico notissimo ad Alessandria ed era soprannominato “anargiro” (senza soldi), proprio come un altro santo che visse 1700 anni dopo di lui, il buon Giuseppe Moscati.
Proprio come il suo futuro collega beneventano, infatti, curava i bisognosi senza chiedere nessun compenso. I tempi però erano pericolosi per i cristiani, che furono perseguitati con ferocia inaudita dall’imperatore Diocleziano.
Proprio le regioni nordafricane dell’Impero Romano furono particolarmente colpite dalle “purghe” dell’imperatore, che si rivolsero contro maghi, stregoni e medici che operavano senza autorizzazione. Più che per motivi religiosi, le persecuzioni furono mirate alla decimazione della classe intellettuale di Alessandria, accusata di cospirare contro l’impero.
Ciro decise allora di fuggire in Arabia, nella speranza di vedere risparmiata la propria vita. Diventò amico intimo di Giovanni, un ex militare romano convertitosi al cristianesimo, e con lui viaggiò a lungo in Arabia, senza mai smettere di curare i malati. La bravura del medico era davvero straordinaria, tant’è vero che si cominciò presto a parlare di “miracoli”. Ci volle poco per finire nelle maglie dell’Impero: i due furono fermati a Canopo e giustiziati il 31 gennaio 303.
I loro corpi furono seppelliti prima ad Alessandria, poi spostati nella città sacra di Menouthis, dove era praticato il culto di Iside (notissimo anche a Napoli) ed era frequentata da marinai che cominciarono a venerare il Santo. Era solo questione di tempo: la forte presenza di alessandrini a Napoli aveva già esportato il culto di San Ciro in città.
Prima di giungere nella sede attuale di Portici, le reliquie dei due santi passarono anche per Roma.
La peste e il culto di San Ciro a Portici
L’origine della diffusione del nome a Napoli e provincia ha un anno ben preciso: 1764. In quell’anno ci fu una gravissima carestia, che anticipò una epidemia di peste che portò via quasi 20.000 anime.
L’unica speranza era pregare. E se San Gennaro si era più volte speso per salvare i napoletani, a Portici il vescovo Giuseppe Moscatelli invitò i fedeli a rivolgersi a San Ciro, il protettore degli ammalati. D’altronde, chi meglio di un medico poteva risolvere una epidemia?
Le preghiere, a quanto pare, funzionarono e il vescovo ordinò la realizzazione della statua di San Ciro nel 1770 in segno di devozione. I porticesi si affezionarono talmente tanto alla figura di Ciro che chiesero il trasferimento delle reliquie da Napoli all’attuale chiesa in cui ancora oggi si venera il santo ogni 31 gennaio.
L’ultimo atto lo firmò Ferdinando IV di Borbone, uomo estremamente devoto alla Chiesa di Roma: fu lui a nominare ufficialmente Ciro Patrono della città di Portici.
Quel momento sancì l’impennata del nome nelle anagrafi napoletane: in città e in provincia un numero sempre maggiore di devoti cominciò ad affidare i propri figli al “medico santo” in segno di devozione. E poi si arriva ai giorni nostri, in cui la devozione dei napoletani si rivolge verso un calciatore belga che, adottato dalla città, è stato battezzato con un nome che porta tre millenni di storia.
-Federico Quagliuolo
Per approfondimenti sull’etimologia: https://it.qwe.wiki/wiki/Cyrus