Portare scale per strada era un’attività davvero rischiosa: chi veniva beccato a portare con sé un bello scaletto a pioli senza una giustificazione, rischiava di finire in carcere. Dopo il tramonto era ancora peggio. Pena: la morte.
Se pensiamo subito ad eventuali sanzioni contro i ladri, inizialmente non era questa l’intenzione dei re di Napoli: la legge nacque per vietare gli incontri segreti tra amanti ed è rimasta in vigore per più di 5 secoli.

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Uomo su una scala, incisione del XVII secolo

La legge del Re Saggio

Il problema degli amanti notturni era davvero grosso. Numerosissimi giovani, di ogni classe sociale, si intrufolavano nelle stanze delle proprie amate usando ogni sorta di espediente creativo: chi si arrampicava sulle facciate dei palazzi, chi invece usava panni, corde e altre soluzioni per scavalcare i balconi e le finestre allo stesso modo dei ladri d’appartamento, ma in questo caso accolti con grande gioia. Non sono rari i casi di cronaca che vedono la morte di sfortunati amanti scambiati per ladri dai passanti, e quindi linciati dalla folla, oppure arrestati e poi uccisi dalle guardie.

Davanti a questi malcostumi che andavano contro i rigidissimi principi della religione cattolica, il re Roberto d’Angiò fu chiamato a intervenire con decisione. La dinastia angioina era infatti vicinissima alla Chiesa e di certo non aveva alcuna intenzione di scontentare il papa.
Il capitolo di Re Roberto, che nel linguaggio medievale equivaleva all’ordinanza moderna, vietò categoricamente qualsiasi amore al di fuori del vincolo matrimoniale e tutti i fedifraghi scoperti in flagrante avrebbero subito la pena di morte.
L’atto ricevette il sigillo dal sovrano in persona, come spiega Bartolommeo Capasso, che ebbe il privilegio di poter studiare l’archivio angioino distrutto durante la II Guerra Mondiale.

Amanti libro miniatura scale
Due amanti che si incontrano nella miniatura di un libro rinascimentale

De scalarum prohibitione noctis tempore

Passano i secoli, ma a quanto pare il problema delle scale e degli amanti non si risolse. Erano i tempi del viceregno di Napoli, famoso già per numerose bizzarrie legali dei suoi amministratori. Proprio dello stesso periodo è infatti nota anche la prammatica contro la musica in città.

Era il 1560 quando fu emanata una prammatica severissima dal viceré Pedro Afan de Ribera, duca di Alcalà, che diventerà famoso in città per aver provato a introdurre a Napoli l’inquisizione spagnola.
Ribadì un vecchio provvedimento emanato circa trent’anni prima dal viceré Filiberto di Chalons in cui, appunto, si proibiva ai cittadini il trasporto di scale senza un giustificato motivo. Nell’atto del 1560 si cita la “certa esistenza” della prammatica del Duca d’Oranges, anche se era stata smarrita già all’epoca.
Evidentemente il bando originale era troppo generico e creava parecchi problemi che intasavano i tribunali napoletani. Così si pensò bene di snellire il provvedimento: bastava essere sorpresi con una scala di notte per essere condannati a morte. Oppure ad un’altra pena ad arbitrio del re“.
Tutti i commentatori delle prammatiche dell’epoca sono concordi sul fatto che, con il pretesto di punire i ladri d’appartamento (che già avevano numerosissime leggi a loro dedicate), si voleva in realtà emanare un atto con il moralistico fine di eliminare il fenomeno delle scappatelle d’amore.

Pedro Afan de Ribera
Pedro Afán de Ribera | Real Academia de la Historia (rah.es)

La scala che condannò a morte Colantonio Brancaccio

Fu il viceré Don Pedro di Toledo a firmare una delle più clamorose condanne a morte, dato che la vittima fu un giovane rampollo della famiglia Brancaccio, una delle casate nobiliari più importanti di Napoli.
Si chiamava Nicola Antonio (abbreviato in Colantonio), aveva poco meno di vent’anni e fu beccato di notte da una ronda armata, mentre stava entrando nella finestra della stanza della sua amata, una giovane della famiglia Orsini.
Arresto, processo il giorno seguente e condanna esemplare per decapitazione a Piazza Mercato.

A nulla valsero le lettere inviate dalla famiglia alla cancelleria del Regno, chiedendo la grazia o quantomeno uno sconto di pena. Don Pedro di Toledo, uomo inflessibile e amministratore severo, aveva trovato una condanna esemplare che poteva essere d’esempio alla città intera.
Il giovane fu quindi portato a Piazza Mercato per l’esecuzione, davanti alla classica scena del pubblico piangente e curioso davanti al patibolo: fu un evento davvero clamoroso che, però, non fermò le abitudini dei napoletani, che semplicemente cominciarono a trovare nuovi modi per consumare i propri amori clandestini: c’era infatti chi utilizzava funi per salire sui balconi e chi invece procedeva sotto terra, passando per gli ipogei e i pozzi.

Insomma, l’amore non si fermò e le pene diventarono più miti nel tempo, ma la prammatica non fu mai formalmente abrogata. E il commentatore di questa legge, Francesco De Jorio, fu sollevato nel dire che nel suo secolo, sotto Ferdinando IV di Borbone, questo delitto era ormai cosa passata. La legge, però, rimaneva vigente anche al tempo dei Borbone: alla pena di morte per i portatori abusivi di scale era semplicemente comminata una “punizione ad arbitrio del re“.

-Chiara Sarracino

Riferimenti:
Francesco De Jorio, introduzione allo studio delle prammatiche del Regno di Napoli, Stamperia Simoniana, Napoli, 1777
Bartolommeo Capasso, La vicaria vecchia, Giannini, Napoli, 1889
Pietro Giannone, Istoria Civile del Regno di Napoli, Libro 2

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