La Basilica di Santa Maria del Carmine Maggiore al Mercato è uno dei più grandi esempi del barocco napoletano, scrigno di popolarità e di storia della tradizione napoletana.
Si erge nel cosiddetto Campo Moricino, l’attuale Piazza Mercato, da cui la Piazza del Carmine non era ancora divisa. Stando a una data incisa su un sepolcro di un bambino che si trova nella chiesa, le prime pietre risalgono al 114, arricchite poi durante l’epoca del monachesimo.
Ampliata nel 1283 per volere di Margherita di Borgogna, figlia di Carlo d’Angiò, con il cospicuo lascito che Elisabetta di Baviera donò ai monaci, destinato in partenza al riscatto per il figlio Corradino di Svevia fatto decapitare da Carlo I d’Angiò in piazza Mercato. Giunta a Napoli troppo tardi, la regina di Baviera lasciò la somma ai monaci per le messe perpetue e per l’accudimento della tomba del giovane re sfortunato.
Sulla parete che sormonta le tre porte d’ingresso sporge il grande organo monumentale, di circa 3500 canne, a 50 registri musicali, finemente lavorato in legno indorato.
Lungo le pareti laterali si aprono due serie di cappelle tra loro intercomunicanti. Realizzate con doppi pilastri corinzi policromi, le cappelle presentano negli archi a tutto sesto ricchi ornati fioriti con testine d’angeli su disegno di Fanzago e altari in gran parte realizzati dai fratelli Cimafonti su disegno di Tagliacozzi-Canale nel Settecento. Alcuni degli affreschi e dei quadri che ornano le volte, gli altari e le pareti si devono al celebre Francesco Solimena. All’esterno delle cappelle si trovano due organi piccoli, situati uno sulla porta che introduce al chiostro, e l’altro di fronte, sulla porta di Via Carmine. La loro prospettiva dorata e intagliata a traforo si deve al Fanzago.
I sepolcri all’intento della Basilica di Santa Maria del Carmine
All’interno della Chiesa troviamo attualmente il sepolcro di Corradino di Svevia, voluto da un suo discendente, il principe Massimiliano di Baviera, ultimo dei Hohestaufen nel 1847, su disegno del Thorwaldsen, scultore romantico danese. In origine il principe fu sepolto dietro l’altare maggiore. Quando nel 1646 il Cardinale Filomarino fece abbassare il pavimento dietro l’altare vennero alla luce due casse di piombo con i resti di Corradino. Finalmente questi furono tumulati nella base della statua ed il 14 maggio 1847 furono celebrati solenni funerali commemorativi.
Non ebbero purtroppo la stessa sorte i sepolcri di Masaniello e di Aniello Falcone, anch’essi secondo le fonti custoditi originariamente nella Basilica di Santa Maria del Carmine, dei quali non si conosce più l’ubicazione.
La chiesa del Carmine è legata infatti anche al ricordo della rivoluzione seicentesca del pescatore napoletano. Masaniello infatti vide la morte proprio all’interno dell’edificio sacro per mano dei sicari armati dalla collera del popolo deluso ed inferocito dal fallimento rivoluzionario.
Il culto della Santa Maria del Carmine
Tutto nasce dal culto dei napoletani per la Madonna Bruna, quella che è spesso chiamata in causa nell’esclamazione, cara ai napoletani, “mamma ‘ro Carmene”. L’icona della Bruna è un’immagine di grande intimità, in cui i volti della donna e del figlio sono vicini, dai colori estremamente simbolici.
In particolare il giorno dedicato al culto della Madonna Bruna è il mercoledì. La storia risale all’anno 1500, in cui il papa Alessandro VI indisse un giubileo per lucrare le indulgenze. Da Napoli partì per la città Vaticana un gruppo di pellegrini, in particolare dell’arciconfraternita dei cuoiai, che portò con sé l’immagine della Madonna del Carmine. Durante il percorso, grazie all’intercessione della Madonna, si verificarono “multi miracoli de surdi, et cechi et stroppiati” e numerose grazie spirituali.
Tornata l’icona mariana a Napoli, per ordine di Federico II d’Aragona, il 24 giugno del 1500 si riunirono nella chiesa del Carmine molti malati per implorare dal cielo la sospirata guarigione. Quel 24 giugno era un mercoledì. Questo fatto determinò la scelta di venerare in modo particolare in questo giorno della settimana la Vergine Bruna. Nacquero così i “mercoledì del Carmine”.
Per comprendere meglio la devozione dei napoletani per la Madonna del Carmine rimando alla lettura della poesia di Ernesto Murolo, padre di Roberto, Miercurì d”o Carmine, pubblicata per la prima volta su un’edizione del Gennaio 1916. È possibile ascoltarne i versi tramite alcuni video https://www.youtube.com/watch?v=9dynbyiJy5E.
Il crocifisso della basilica di Santa Maria del Carmine
Il ‘o crucifisso ‘o Carmene, il crocifisso ligneo conservato all’interno della Basilica di Santa Maria del Carmine, fu il protagonista di un miracolo che avvenne nel XV secolo, durante la lotta tra gli Angioini e gli Aragonesi per il dominio di Napoli.
Durante l’assedio aragonese di Napoli del 1439, Pietro d’Aragona, fece azionare una bombarda, con la quale lanciò una grossissima palla, che sfondò l’abside della chiesa e puntò proprio verso la testa del crocifisso. Ma la legenda vuole che il Gesù Cristo della Chiesa di Santa Maria del Carmine non si fece colpire, abbassò la testa sulla spalla destra ed evito la palla di cannone! Non solo, il giorno dopo Pietro d’Aragona ci voleva riprovare, ma mentre preparava il nuovo attacco, una palla di cannone angioina partì proprio dal campanile del Carmine e va a troncare il capo di Pietro.
Dopo 3 anni, nel 1442 gli aragonesi riusciranno ad entrare in Napoli ed Alfonso d’Aragona per prima cosa fece un’operazione di captatio benevolentia nei confronti dei napoletani: venne al Carmine a venerare il crocifisso cui suo fratello aveva attentato e gli fece costruire un bellissimo tabernacolo.
Da quasi 600 anni quindi ‘o crucifisso ‘o Carmene è chiuso nel tabernacolo posto nel corridoio sull’altare, cui si accede per una stretta scaletta; è sempre coperto da un drappo rosso e viene svelato solo per 8 giorni l’anno, dal 26 dicembre al 2 gennaio. Quando i napoletani si vedono persi, si affidano a ‘o crucifisso ‘o Carmene. Allora avvengono aperture straordinarie. Per esempio, venne svelato per la pestilenza del 1656 o per il terremoto del 1688. Di recente è stato svelato il 20 marzo 2020, in occasione della pandemia di Covid19.
Il campanile di Santa Maria del Carmine
Al fianco della chiesa si erge, con i suoi 75 metri di altezza, il più alto campanile della città di Napoli, il cosiddetto campanile di “fra Nuvolo”, dal nome del celebre architetto del barocco napoletano che ne progettò la cuspide ottagonale, nota ai napoletani come “‘o pero”, per la forma che ricorda il frutto.
È presente già durante le vicende angioino-aragonesi dell’assedio di Alfonso e del Cristo “miracoloso”. Danneggiato da uno dei devastanti terremoti napoletani, quello del 1456, fu rifatto dal Palamidessa nel 1458; nel 1459 occorse l’opera di ben cento galeotti per porvi le campane, sotto la guida di Girolamo de Signo. Il Campanile fu poi completato nel 1622 da Giacomo Conforto e solo nel 1745 furono messe in opera la palla e la croce che lo chiudono in alto. Sulle campane sono scolpiti i volti di S.Angelo Martire, S.Anna e S.Alberto.
Il campanile è luogo di una delle più pittoresche feste popolari napoletane: l‘incendio del campanile. In occasione della festività della Madonna del Carmine (16 luglio), i “fuochisti” napoletani gareggiano l’uno contro l’altro, ricoprendo il campanile di fuochi pirotecnici, dando l’esatta impressione di un glorioso incendio che divampa dall’edificio.
La torre campanaria di Santa Maria del Carmine ricorre in una delle più belle espressioni della lingua napoletana: Piglià ‘o cuoppo ‘aulive p’’o campanaro ‘o Carmene. È uno dei modi che si usa a Napoli per stigmatizzare le sviste: quanto bisogna essere distratti per confondere il maestoso campanile con l’involucro di carta di forma conica contenente olive?
Claudia Colella
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