Nel dibattito sul rilancio dell’economia della Campania torna spesso la proposta di promuovere una legge speciale per Napoli, nella speranza di azzerare debiti, rilanciare l’economia e restituire a Napoli “il ruolo di capitale del Mediterraneo“, come si sente spesso dire.
In realtà non è nulla che non si sia visto in passato. Anzi, fra il 1885 e il 1904 la città di Napoli beneficiò di due provvedimenti speciali che cambiarono definitivamente il volto del capoluogo.
Il primo diede inizio al periodo del Risanamento, di cui abbiamo parlato qui. Il secondo, invece, fu del 1904 per garantire il rilancio industriale della città. Ed ha lasciato in eredità l’Ilva di Bagnoli, senza dimenticare la zona delle Paludi e la zona industriale di San Giovanni a Teduccio.
E non solo: l’EAV, che ancora oggi è la più antica azienda di trasporti pubblici locali, nacque con questo provvedimento con la funzione di società per l’energia elettrica. Anche l’Istituto Autonomo Case Popolari, nato dopo questa legge, fu protagonista: dobbiamo a questo ente la costruzione del Rione Diaz, ma anche di Scampia e Secondigliano negli anni ’50. Senza dimenticare il Rione Luzzatti, che prese il nome dal deputato che nel 1903 promosse la legge sull’edilizia popolare.
Molte altre opere rimasero inattuate: ad esempio era nei piani anche la distruzione di parte dei Quartieri Spagnoli per costruire una strada uguale e parallela a Via Toledo.
Napoli, un problema nazionale
All’inizio del Secolo XX Napoli si presentava divisa fra grandi splendori e grandi scandali: da un lato c’era lo straordinario periodo d’oro della cultura napoletana, con la città che stava per sfornare una delle migliori generazioni di artisti, musicisti e poeti della sua Storia con Di Giacomo, Russo, Bovio, Scarpetta e tantissimi altri.
Dall’altro, invece, l’inchiesta Saredo sulla camorra amministrativa aveva descritto un sistema di criminalità e potere corrotto che governava le amministrazioni della città da trent’anni (Francesco Saverio Nitti disse in quell’occasione: “il più grande camorrista a Napoli è il governo“).
Il problema di Napoli, soprattutto, riguardava il suo tessuto industriale ed economico, che non aveva retto bene allo shock dell’Unità d’Italia, passando da un mercato chiuso e protezionista al modello europeo e liberale sostenuto dal Regno di Sardegna.
La ragione che aveva portato Napoli al passaggio da capitale economica d’Italia a capoluogo problematico fu oggetto di enormi discussioni nella politica, sostenuta dai diversi pensatori “meridionalisti” che portarono avanti soluzioni per risolvere la “Questione Meridionale” sollevata da un deputato lombardo nel 1871.
La situazione economica di Napoli era al collasso e stava degenerando in proteste, scioperi e un enorme flusso migratorio verso le Americhe. Se ne interessò in prima persona anche il Presidente del Consiglio, il bresciano Giuseppe Zanardelli, che decise di visitare personalmente la Basilicata e le regioni più depresse del Sud Italia per capire in prima persona le problematiche del territorio. Fu un viaggio estremamente rischioso, pieno di disagi e pericoli su strade inesistenti, territori dimenticati e ambienti ostili per un uomo anziano e malato (Zanardelli morì appena due anni dopo il suo viaggio).
Proprio quest’esperienza convinse il capo del Governo ad interessarsi in prima persona sull’elaborazione di una legge speciale prima per la Basilicata e poi per Napoli, che il deputato Francesco Saverio Nitti invocava da anni, sostenuto da politici di ogni colore: da Luzzatti a Rubini, arrivando a Colajanni e Salandra.
Fu proprio lui il promotore del disegno di legge che poi sarà approvato dal parlamento con il nome di “Legge Nitti”: nell’idea della politica dell’epoca, infatti, l‘unica soluzione per risollevare un territorio depresso era favorire la nascita di industrie attraverso un enorme investimento dello Stato sulla città di Napoli, che doveva diventare il traino di tutta l’economia meridionale.
Il Nord Italia fa la spesa a Napoli
Il problema, secondo la visione del tempo, era legato al fatto che Napoli non avesse un tessuto di industrie pesanti sul territorio. L’avvocato Davide Mele, relatore della Legge speciale per Napoli, spiegò che nei lavori preparatori ci si divise fra due schieramenti: il primo riteneva che era necessario trasformare Napoli in una città turistica di lusso, fatta di piccole imprese locali, grandi alberghi e attività ricreative. L’altro, invece, sosteneva l‘assoluta necessità di realizzare grandi industrie che, a loro volta, avrebbero portato anche piccole attività, sul modello di Milano. Vinse la seconda visione.
Furono individuati due territori ai lati di Napoli: uno ad est ed uno ad ovest, che avrebbero avuto una esenzione totale di tasse e spese doganali per i primi 15 anni di attività.
Praticamente erano vere e proprie “zone franche” dove chi apriva aziende non pagava di fatto nulla. Una situazione golosissima per tutti coloro che avevano la possibilità di investire denaro e, in quel caso, si trattava in gran parte di imprenditori del nord Italia. Per rendere l’affare irrinunciabile, la legge garantì che per 10 anni lo Stato avrebbe commissionato una percentuale fissa di lavori alle industrie con sede a Napoli.
L’alta Italia – accusata spesso di ostacolare ogni rigenerazione del Mezzogiorno – ha per prima iniziato il risveglio desiderato, inviando alcuni uomini industri ad impiantare stabilimenti, ad eccitare Napoli con l’esempio, a segnare il principio di una metamorfosi ricca di bene.
Avv. Davide Mele, Camera di Commercio di Milano, 1906
Il concorso per l’assegnazione dei territori di Bagnoli, che vent’anni prima dovevano diventare il “Rione Venezia” per trasformare la periferia ovest in una località turistica, furono invece assegnati all’Ilva che costruì, a prezzo di costo, l’acciaieria che oggi è croce del territorio.
Dall’altro lato della città, a San Giovanni a Teduccio, la svizzera Corradini veniva rilevata dalla milanese Banca Commerciale Italiana, che creava anche la SOFIA (Società Officine Ferroviarie Italiane Anonime) e assumeva anche il controllo dell’azienda metallurgica Benvenuti. A Baia, invece, l’officina Armstrong (che era il secondo più grande produttore di siluri in Italia) fu rilevata dalla genovese Ansaldo.
La piccola avventura della fonderia De Luca di Via Gianturco, invece, finì nel neonato mercato automobilistico: ci fu una joint venture con l’inglese Daimler, che si ritirò improvvisamente dagli accordi mandando in fallimento l’azienda napoletana.
Infine, dove sorgeva il polo industriale decadente di Pietrarsa, le Officine Meccaniche Milanesi rilevarono i cantieri navali della Hawthorn-Guppy.
L’altra grande scommessa della legge speciale per Napoli, non a caso, fu la modernizzazione del Porto, con lavori costosissimi.
Le opere pubbliche per rilanciare la regione
La legge speciale per Napoli autorizzò anche tantissime opere pubbliche per migliorare la competitività della città: dalla riforma della facoltà di Ingegneria, che diventò la “Scuola superiore politecnica” con l’obbligo di insegnamento di elettrotecnica, scienza delle costruzioni e applicazioni elettriche, alla ristrutturazione completa dei laboratori e delle officine di tutti gli istituti tecnici della città. Per Nitti l’Università era un punto fondamentale: a suo avviso, infatti, l’educazione industriale era la base dell’autonomia economica di una regione.
Fu poi costituito l’Ente Autonomo Volturno, un’azienda di Stato che nei suoi 120 anni di Storia ha assunto tantissime forme: nacque come azienda idroelettrica, realizzò infrastrutture strategiche ed oggi esiste ancora nel campo dei trasporti pubblici.
Non dimentichiamo l’impulso che fu dato all’Istituto Autonomo Case Popolari, che ebbe l’incarico di costruire nuovi rioni per ospitare il proletariato napoletano e dopo la seconda guerra mondiale fu essenziale per assicurare case nuove alle migliaia di sfollati.
Una vittoria di Pirro
Come tante vicende nella politica Italiana, c’era chi esultò per la rinascita di Napoli e chi invece parlò di disastro senza precedenti per il futuro della città. Altri, come Giustino Fortunato, dissero che il Governo Italiano aveva semplicemente ripetuto lo stesso errore fatto ai tempi dei Borbone: si curò Napoli pensando di aver curato tutto il Sud Italia, mentre per le altre province gli interventi furono talmente blandi da lasciarle nell’arretratezza totale. Diceva: “La questione meridionale non si risolve affrontandola come un’emergenza. Bisogna trattare il Sud con strumenti ordinari”.
Quel che è certo è che, quando Nitti portò in Parlamento nel 1914 il bilancio dei primi 10 anni della Legge Speciale per Napoli, i risultati erano apparentemente incoraggianti: fra la Zona Industriale e la provincia ovest erano nate numerosissime nuove fabbriche, per lo più specializzate nel settore metallurgico, deturpando eternamente le costiere delle periferie campane, che ancora oggi sono caratterizzate da ruderi e colmate in rovina. Il tasso di occupazione in città era salito notevolmente e le nuove case popolari stavano venendo popolate, nei vari Rioni Luzzatti.
Ma i conti si fanno alla fine. E il bilancio arrivò un secolo dopo con le parole della storica Marcella Marmo, che dimostrò quanto la legge speciale per Napoli fosse stata addirittura deleteria per l’economia in Campania: anziché riuscire a creare un’imprenditoria locale vivace e capace di competere con il Nord Italia, nel 1904 si spalancarono le porte ai colossi già esistenti in Lombardia, Piemonte e Liguria, che d’altronde erano gli unici in grado di investire capitali e portare nuova occupazione, data l’assenza di una offerta meridionale.
Le industrie napoletane già esistenti, per giunta, si trovarono a competere con avversari nuovi che non pagavano tasse ed erano agevolati dallo Stato.
Insomma, la legge speciale per Napoli tamponò il problema dell’occupazione, ma mise una pietra tombale anche sulle ambizioni di autonomia economica del territorio.
Paradossalmente, avvenne il contrario di quanto desiderato da Francesco Saverio Nitti, che per tutta la sua vita cercò di contrastare quelle attività politiche che, all’indomani dell’Unità, concentrarono lo sviluppo industriale solo al Nord.
Di fatto, la legge riuscì a tamponare la crisi del lavoro a Napoli. E lo fece trasformando il proletariato napoletano in operai di aziende del Nord Italia che avevano aperto le loro nuove sedi nel capoluogo o, almeno, avevano modernizzato le vecchie industrie preesistenti.
Poi passò la Prima Guerra Mondiale, che portò l’economia al collasso durante la riconversione delle industrie ad uso civile. E dopo il ventennio, in cui Mussolini aveva dichiarato “definitivamente chiusa la questione meridionale“, la Campania si ritrovò con il suo intero sistema produttivo ridotto in cenere da americani, inglesi e tedeschi.
Si provò allora ad introdurre la controversa Cassa per il Mezzogiorno e i tanti provvedimenti che continuarono a tamponare il problema della scarsa industrializzazione del Sud, senza trovare mai quella scintilla che fa partire il motore di un’economia autosufficiente.
Ed oggi, mentre si invocano nuove leggi speciali per Napoli e per il Sud, bisognerebbe buttare un occhio al passato, che nei suoi errori e nei suoi eterni ritorni ha tanto da insegnare alle nuove generazioni.
-Federico Quagliuolo
Riferimenti:
testo legge 351/1904 per Napoli
Antonio Gramsci, La questione meridionale, Sinapsi, 2018
Giuseppe Galasso, Napoli, Laterza, Bari, 1978
Giuseppe Acocella, Lo Stato e il Mezzogiorno. A ottanta anni dalla legge speciale per Napoli, Guida, Napoli, 1986
Giuseppe Russo, L’avvenire industriale di Napoli negli scritti del primo novecento, Unione degli Industriali della Provincia di Napoli, 1963
Davide Mele, Napoli e le sue nuove condizioni industriali, relazione del convegno avvenuto alla Camera di Commercio di Milano, 1908
Francesco Barbagallo, La modernità squilibrata del mezzogiorno, Einaudi, Torino, 1994
Gaetano Salvemini, Il Mezzogiorno e la democrazia Italiana, Feltrinelli, Milano, 1962
Marcella Marmo, Il proletariato industriale a Napoli in età liberale, Guida, Napoli, 1978
Giustino Fortunato, Il Mezzogiorno e lo Stato Italiano
Francesco Saverio Nitti, Napoli e la questione meridionale, 1903
Francesco Saverio Nitti, l’Italia all’alba del Secolo XX
Ludovico Bianchini, Storia delle finanze del Regno delle Due Sicilie, Edizioni scientifiche Italiane, Napoli, 1971
La legge speciale | Zanardelli: il viaggio in Basilicata (wordpress.com)
Industriale Napoletana Hawthorn-Guppy S.A. • Titolo finanziario storico • Scripomuseum
(4) (PDF) Questione meridionale, legislazione speciale e dibattito storiografico | Francesco Antonio Festa – Academia.edu
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