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Il rapporto tra la Toscana guelfa e la corona angioina rimase, fino al regno di Giovanna I, quasi un dato caratterizzante della politica angioina in Italia centrale. Esso divenne incredibilmente stretto ed articolato sotto il regno di Roberto d’Angiò, quando i banchieri toscani divennero uno degli elementi strutturali delle politiche finanziarie del Regno di Sicilia, così come presso altre monarchie d’Europa.

Il rapporto tra corona napoletana e toscani risultava tuttavia peculiarmente diverso da quello presente in altri regni europei, dove pure i toscani avevano, nel commercio e nelle politiche fiscali, un ruolo tutt’altro che di second’ordine. Il guelfismo toscano divenne, nei burrascosi anni del regno di Roberto d’Angiò, un agente politico di centrale importanza per mantenere un certo grado di influenza su tutta l’Italia centrale, entrando in contrasto con le mire egemoniche dell’Impero che, nelle figure di Errico VII e Ludovico il Bavaro, cercò di riguadagnarsi delle sfere d’influenza nell’Italia comunale.

Carlo di Calabria in un dipinto di Anton Boys (XVI secolo)
Carlo di Calabria in un dipinto di Anton Boys (XVI secolo)

Fu nel difficile periodo che vide l’affacciarsi in Italia di Ludovico il Bavaro, pericolosamente alleato con Federico III di Trinacria, che Firenze, opulentissima e operosissima città simbolo del guelfismo toscano, cercò nell’autorità angioina un rifugio dalle sue recenti disfatte militari. Dopo la sconfitta di Altopascio del 1325 contro le milizie ghibelline Lucchesi i Fiorentini si rivolsero alla corona angioina nella persona di Carlo duca di Calabria, futuro re di Sicilia e, all’epoca, importantissimo personaggio politico nel contorto scacchiere Italiano.

Carlo di Calabria pareva ai fiorentini un candidato ideale: giovane vitale, con una valida esperienza militare e politica. Tuttavia ciò che più interessava ai fiorentini era assicurarsi, tramite la presenza di Carlo di Calabria nella loro città, la protezione e tutela del ben più influente padre, all’epoca ago della bilancia della politica italiana.

Carlo di Calabria nel suo monumento funebre presso Santa Chiara

I rapporti tra la città e Carlo di Calabria furono scanditi tramite un dispositivo giuridico a dir poco peculiare: un contratto. I due contraenti, il duca e il comune di Firenze, erano vincolati da responsabilità e doveri gli uni verso gli altri: Carlo di Calabria doveva mantenere inalterato l’assetto istituzionale cittadino, rimanere in città per almeno 30 mesi in tempo di guerra e, qualora il conflitto fosse proseguito, per tre mesi estivi all’anno.

Dal canto loro i Fiorentini diedero ampi poteri a Carlo di Calabria: oltre al governo dell’apparato militare del comune, spesso affidato a regnicoli, il duca aveva il potere di appuntare o destituire gli ufficiali della città. Inoltre i provvedimenti presi dal duca, in caso di conflitto, erano da ritenersi validi anche nel caso in cui essi andassero a confliggere con quelli cittadini.

Roberto d’Angiò, particolare del manoscritto dei Regia Carmina di Convenevole da Prato, metà del XIV secolo, Firenze, Biblioteca Nazionale.

Tale dispositivo contrattuale, riscontrabile già dai primi anni del regno di Roberto d’Angiò, permetteva ai comuni di mantenere le loro magistrature e le loro istituzioni pur entrando a far parte dell’orbita angioina. Dal canto suo la corona napoletana, rimodulando in senso estensivo e non intensivo le mire egemoniche sull’Italia centro – settentrionale già nutrite dagli Svevi, poté aumentare in diversi periodi la sua sfera d’influenza divenendo elemento di importanza centrale in particolar modo nei periodi di crisi.

La signoria di Carlo di Calabria durò tre anni, dal 1325 fino alla morte del duca, nel 1328. Il suo periodo di residenza a Firenze, tuttavia, lo vide presente per circa un anno. Il padre, forse impaurito per le sorti del suo unico erede maschio, lontano dai confini del regno in un periodo di profondi sconvolgimenti politici e militari, lo richiamò nel 1326, contravvenendo agli accordi stipulati dal figlio e creando malcontento presso i Fiorentini. La sua improvvisa morte avvenuta a Napoli due anni più tardi potrà sembrare, avendo presente le attenzioni paterne, uno strano gioco del destino.

Silvio Sannino

Roberto il saggio in trono in una miniatura della Bibbia d’Angiò

Bibliografia

Pierluigi Terenzi, Gli Angiò in Italia centrale, Potere e relazioni politiche in Toscana e nelle terre della Chiesa (1263 – 1335), Roma, Viella, 2016.

Romolo Caggese, Roberto d’Angiò e i suoi tempi, Firenze, R. Bemporad & Figlio, 1921.

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