Cronache da Napoli: una storia del Cilento
C’è sempre una sorta di malinconia al ritorno dalle vacanze dal Cilento. Il tempo comincia ad ingrigirsi, il vento abbozza ad alzarsi, e quella fresca brezza settembrina che accompagna i pensieri di chi va, di chi viene, di chi resta o di chi semplicemente ozieggia, inizia a penetrare negli animi. Cosa ci avrà lasciato questa estate? Non si sa. Attimi di gioia, di amore, di noia e magari di storia. Ma sì, magari di una storia iniziata secoli fa e mai finita che rimane sopita aspettando solo il momento giusto per essere scoperta e narrata: vi prego signore e signori, mettetevi comodi. Vi narrerò della mia tragicomica storia dal Cilento!
C’era una volta e c’è tutt’ora un piccolo paesino insù le colline della costa del Cilento, tra Santa Maria di Castellabate e Acciaroli, denominato Ortodonico, caratterizzato da immensi campi di ulivi e palazzi antichi appartenenti e appartenuti a tale nobile famiglia Amoresano: ovverosia, non si sa per quale grazia o sventura, la mia famiglia. Di Ortodonico non si hanno molte notizie, si sa che sotto epoca romana fu chiamata “Ortodopnicus”, poi successivamente mutata in “Ortodominici” in età medioevale per la sua abbondanza di acqua e di piantagioni (lett. “Orto del Signore”), e che intorno al XIII secolo fu fatta erigere in loco una torre di avvistamento dagli Amoresano, torre che ancora oggi rimane simbolo del paese. Torre sopravvissuta ai secoli, ma ahimè, non agli attuali proprietari, che facendone un bed&breakfast ne hanno abbattuto i merli medievali originari. Ah, birichini!
Cercando e spulciando tra i vari archivi in Cilento di Montecorice, Cava de’ Tirreni e Agropoli, tra pagine mancanti e documenti inesistenti, si scopre che gli Amoresano, accompagnati dall’epiteto fisso “venuti dal mare”, non erano altro che pirati saraceni instauratisi in loco probabilmente durante la famosa battaglia di Punta Licosa, e che una volta sterminati i monaci e rasa al suolo l’abbazia del luogo della quale non vi è più traccia, avevano imposto il loro dominio laico nella zona distinguendosi dagli altri paesi dipendenti dal clero.
Correndo un po’ attraverso i secoli e i titoli (marchesi, baroni, conti… titoli molto spesso messi come posta in gioco e quasi sempre persi), la maggior parte delle colline e dei magazzini ottocenteschi della zona sono rimasti a me e alla mia famiglia: ed è qui, che la mia avventura ha avuto inizio.
È usanza mia e dei miei cugini del Cilento sin dalla tenera età sperderci in mezzo ai campi: trascorrendo tutte le estati nel paese di famiglia, abitando a due passi di distanza, la cosa ci è sempre risultata molto facile. Un’estate a cercare un ponte caduto durante la seconda guerra mondiale, un’altra a seguire le carcasse di vitelli dilaniati, un’altra ancora ad arrampicarci sugli strapiombi, il tutto condito da poche semplici regole estive che rendevano il tutto più affascinante. Niente internet o whatsapp. Bottiglie d’acqua. Fune e torcia.
Era seppellito nel nostro campo, di fianco la casa.
-Guarda!
-Oddio, Alex, aprilo! Che cos’è?
-Questi sono bulloni, vecchi attrezzi da lavoro, arrotolati in pergamena…sembrano pagine della Bibbia!
-Fai vedere!
– “Reggimento… fanteria…”, non è la Bibbia! È un documento di congedo militare!
-Anno 1922!
Era l’ultimo giorno d’estate di quest’anno, quando una parte della storia ha deciso di ritornare in superficie.
(Continua…)
Alex Amoresano
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