Poco più di cent’anni fa, alle spalle di Piazza Garibaldi, qualcuno urlò “UCCIDETE RE UMBERTO!“. Era un ragazzo di appena 21 anni, Giovanni Passannante, passato alla storia come il primo “terrorista” d’Italia, che diede inizio alla stagione degli attentati ai governanti.
Quella in fotografia è piazza Principe Umberto di notte, mentre la città dorme. Di giorno, come nella più caotica delle casbah, si ammucchiano bancarelle in cui si mischiano indiani, cinesi, etiopi e napoletani, gli odori speziati e pungenti dei venditori di kebab, le urla dei parcheggiatori, il suono delle valigie dei viaggiatori che si dirigono alla Ferrovia e… proprio il sangue di Re Umberto I che ancora macchia la strada.
140 anni fa, infatti, in questo luogo cambiò per sempre la storia del mondo: ci fu il primo attentato ad un re e, di fatto, cominciò così la stagione del terrorismo.
Un giovane anarchico lucano che scrisse la storia
Era il 17 Novembre 1878 e la piazza aveva un altro nome: a Largo Carriera Grande, in cui passava la carrozza con Re Umberto e la sua famiglia.
Circondati da fiori, applausi, saluti e sorrisi, il sole di Napoli aveva quasi fatto dimenticare che Partenope era la patria del movimento anarchico europeo (grazie all’arrivo in città di Bakunin, il filosofo russo fondatore dell’anarchismo).
Mentre la carrozza passava fra la fanfara militare e gli applausi della folla, chissà quali furono i pensieri di quel ragazzo di appena 29 anni, Giovanni Passannante, invisibile in una massa di straccioni, che meditava con un coltello fra le mani. Tutta la sua vita passata a fare il cuoco in una osteria, i suoi unici averi erano pochi soldi, un coltello e le tante idee rivoluzionarie che infiammano i ragazzi.
Chissà se pensò “cosa accadrà?“, chissà se pensò al fallimento, chissà se, prima di saltare sulla carrozza del Re, per un attimo esitò.
La storia non è scritta dai dubbiosi: con un balzo felino l’uomo si scagliò sulla carrozza di Umberto, fra le urla della moglie che gettò il suo bouquet di fiori del Vomero, i calci del ministro Benedetto Cairoli e la sorpresa dello stesso re, che fu ferito al braccio mentre tentava di difendersi.
E, mentre l’attentatore urlava “Viva la Repubblica!” e provava a sgozzare il Savoia, arrivarono i corazzieri che lo tirarono giù dalla carrozza e lo picchiarono ferocemente, mentre la folla fuggiva terrorizzata in ogni dove: vedendo un uomo ridotto in fin di vita portato via dai corazzieri, molti non capirono subito che si trattava di un assassinio.
La notizia fece subito il giro del mondo: mai in Italia era avvenuto un evento simile e così plateale, anche se di tentati (o riusciti) omicidi di regnanti ne è ricca la storia. Ferdinando II di Borbone, trent’anni prima, fu ferito al braccio da un soldato ribelle ed alcuni suppongono che questa sia la causa della sua morte. Un attentato nel mezzo della folla festante, però, non si era mai visto prima e da quel momento diventò una tragica consuetudine.
La morte non basta
Passannante, ancora con tutte le ossa rotte dopo il pestaggio, fu condannato a morte.
Il Re volle anche “graziarlo”: una morte non porta dolore, mentre una prigionia in isolamento e senza cibo per trent’anni sarebbe stata una punizione ben più crudele. La sentenza fu emanata e Passannante fu portato in carcere a Porto Ferraio, in una cella d’isolamento al di sotto del livello del mare.
Durante la prigionia, fra torture e sevizie, l’attentatore diventò pazzo e tentò più volte il suicidio, ma non ci riuscì mai. Anzi, nell’ambito di macabri studi della scuola di Lombroso, Passannante, ormai vecchio e distrutto dalla pazzia, fu decapitato nel 1910 ed il suo cranio è stato esposto fino al 2007 nel museo di criminologia di Roma, con il suo cervello in bella vista.
Il suo corpo rimase a Roma per 87 anni, fino a quando la sua città di origine non riuscì ad ottenere il trasferimento delle spoglie di nuovo in Lucania.
Il sacrificio di Passannante, però, ebbe grande impatto in Europa: gli anarchici di ogni paese pensarono che si poteva fare, il popolo poteva uccidere i suoi re. Addirittura il poeta Giovanni Pascoli fu talmente affascinato dal gesto che decise di scrivere un’ode al giovane anarchico. Una iniziativa che pagò con 8 giorni di carcere.
In Italia infatti continuarono gli attentati alla vita di Umberto: a Pavia, a Bologna, a Milano e, infine, a Monza, in cui il Re morì il 29 luglio 1900.
E proprio in Europa, vent’anni dopo, un altro omicidio a Sarajevo sarà la scintilla che fece scoppiare la prima guerra mondiale.
Il paese d’origine di Passannante cambia nome per punizione
Il paese in cui nacque Passannante cambiò nome: Salvia di Lucania diventò Savoia di Lucania. Ma non si fermò qui la punizione: il Sindaco del piccolissimo paesino che contava poco più di 1000 abitanti fu chiamato a Napoli da Umberto, per farlo inginocchiare pubblicamente dinanzi all’autorità regale ed ottenere il perdono.
Ancora oggi, però, il piccolo paesino si chiama Savoia di Lucania ed accoglie gli avventori con un gigantesco murales che racconta il tentato omicidio del Re, quasi come un ammonimento per le generazioni future. Ci sono state iniziative per il cambio del nome nell’antico “Salvia“, ma sono tutte naufragate in un nulla di fatto.
Un traguardo, invece, è stato raggiunto: tramite crowdfunding è stato finanziato un nuovo murales, stavolta commemorativo per Giovanni Passannante proprio nel cuore della sua terra d’origine.
-Federico Quagliuolo
La storia è dedicata a Giovanna Attardi per la sua generosità nel sostenere Storie di Napoli. Aiutaci anche tu con una donazione!
Leave a Reply