Capita spesso di incontrare in giro per la Campania strade con il nome “cupa”. “arena” o “cavone”: sono strade figlie di fiumi e torrenti.

A Napoli, in particolare, questi toponimi sono frequentissimi. Ci sono ad esempio tre quartieri che hanno nomi simili, ma si trovano in posti completamente diversi: Arenella, Arenaccia e San Carlo all’Arena. I Cavoni, invece, non si contano su tutto il territorio cittadino: dal “Cavone” per eccellenza, Via Correra, ai vari Cavone Case Puntellate, Cavone degli Sbirri e quant’altro.

Tutti questi nomi derivano dalla forma che il terreno aveva prima della costruzione degli edifici e sono l’unica testimonianza di come doveva essere in origine il territorio. Di fatto, nei tempi antichissimi, l’intera città di Napoli era circondata da fiumi che la separavano dal resto della terraferma.

fiumi napoli lavandaie
Lavandaie nei pressi di un fiume a Napoli, 1870

Cupa, arena e Cavone

Il “canale” o “canalone” erano i nomi dati a sentieri creati dai corsi d’acqua naturali. Quando il canale veniva incassato nel terreno formava una “Cupa” e, dove la cupa era più profonda, diventava un “cavone“. Questi termini sono tipici del vocabolario centro-meridionale d’Italia. Nel resto del paese, invece, per “cupa” si intende una strada coperta e molto ombrosa.
Differente è l’origine delle varie “arene“: “Arenella” è il nome dato a un luogo che aveva un piccolo spiazzo pianeggiante con dell’acqua. L’Arena, dove si trova la chiesa di San Carlo, invece era un tratto poco profondo che partiva dalla Sanità. Arenaccia è invece un termine dispregiativo: la zona in passato era infatti malfrequentata e paludosa. Più in generale, le arene si chiamano così per indicare i punti in cui si depositavano i detriti portati dalle acque.

Facciamo alcuni esempi:

Arena: di Soccavo, San Carlo, Arenella, Arenaccia, Sanità, di Sant’Antonio

Cavone: Via Correra, degli Sbirri, del Gelso, di Miano, di Santa Maria ai Monti, di San Gennaro dei Poveri

Cupa: Orefici allo Scudillo, Acquarola a Piscinola, Camaldoli e Camaldolilli, Caiafa a Vittorio Emanuele, Capodichino, Lautrec, Della Vedova, Del Cane. L’elenco non è completo (ce ne sono una trentina), ma si può notare che la maggior parte si trova concentrata nella zona est di Napoli.

Napoli ai tempi dei greci con i fiumi
Una ricostruzione digitale di come doveva essere Napoli ai tempi dei greci: si notano tutti i fiumi che circondano la città

Fiumi e torrenti dalle colline

Napoli era dipinta dagli antichi greci come “una città circondata dalle acque“. Ad oggi, però, di queste acque e fiumi non c’è più traccia su tutto il tessuto urbano. D’altronde, se il Sebeto è il più famoso fra tutti i corsi d’acqua napoletani, dalle colline partivano anche piccoli torrenti come il Bellaria dalle parti dei Colli Aminei oppure il fiume di Via Chiaia, a Pizzofalcone.

Tutto aveva solitamente origine dalla collina dei Camaldoli e, fra burroni, discese e passaggi interrati, il corso d’acqua si divideva in tre rami: uno giungeva dal lato di San Rocco, scendeva per Via Ponti Rossi, creava un piccolo pantano dalle parti dell’Arenaccia (e non a caso il luogo prende questo nome) e finalmente arrivava a mare sotto il Ponte della Maddalena, che oggi sembra una inutile altura su un mare di cemento, mentre un tempo serviva a scavalcare il fiume.
Questo torrente, a sua volta, si divideva in due parti all’altezza di Capodimonte: scendeva dal lato Vergini (con la famosa “lava dei vergini”, che era la valanga di detriti che scendeva da Capodimonte e devastava la Sanità), si incanalava dal lato di Largo delle Pigne, attuale Piazza Cavour, e finiva al Lavinaio, in zona Mercato.

L’altro ramo scendeva per l’attuale Via Bernardo Cavallino e Domenico Fontana, creava una “arena” all’altezza di Piazza Arenella (oggi Piazza Muzi) e calava giù per Via Gigante, fino ad arrivare al Cavone.

Ponte della Maddalena 1671
Un disegno del 1671 che mostra il Ponte della Maddalena

Il dramma della Sanità e la lava dei vergini

Il rione Sanità è stato, fra tutti, il quartiere di Napoli che maggiormente ha sofferto le conseguenze disastrose dei corsi d’acqua delle colline. Era infatti famosissimo il fenomeno della “lava dei vergini”, che si verificava in corrispondenza di acquazzoni particolarmente violenti e portava dai Colli Aminei un’enorme valanga di detriti che inondava le strade e distruggeva le abitazioni e i bassi del quartiere. La sanità, per giunta, è un vero e proprio canyon senza uscita, con una forma perfetta per raccogliere i detriti da ogni parte. Finché la zona era pressoché disabitata, ovviamente, il problema passava in secondo piano. Dopo la fine del XVIII secolo, con l’urbanizzazione del rione, cominciarono a nascere i problemi.

Lava dei vergini sanità
Anno 1952: la lava dei Vergini ancora devasta la Sanità

Che fine hanno fatto i fiumi e i torrenti?

Alcuni fiumi si presume siano spariti naturalmente sotto il livello del terreno, come (forse) è capitato con il Sebeto o il fiume di Via Chiaia. Altri, invece, sono stati tombati o deviati.

Abbiamo ad esempio notizia, durante i tempi aragonesi, che nel 1484 fu deviato il corso d’acqua che passava dalle parti dell’attuale Via Foria, per farlo arrivare dalle parti dell’Arenaccia. Poi, per scavalcare il nuovo torrente, fu realizzato un ponte. La località si chiama ancora oggi Via Pontenuovo.

Il torrente che passava a Piazza Cavour (all’epoca Largo delle Pigne), invece, fu prosciugato nel 1767, in occasione della costruzione di Via Foria. Si può notare però come la piazza abbia uno stranissimo avvallamento sul lato della Sanità, che testimonia bene le sue antiche origini.

Di tutti i fiumi napoletani, quello che partiva da Capodimonte e “frequentava” Piazza Cavour era senz’altro il più problematico, probabilmente anche perché era stato già deviato in tempi aragonesi. Nel 1868 fu realizzato un collettore sotto la collina di Miradois che aggravò la situazione: il torrente, che in origine scendeva dritto nella Sanità, fu deviato all’interno di un canale che lo fece uscire dalle parti dell’Arenaccia (Piazza Ottocalli per essere precisi), per poi proseguire nell’attuale Corso Novara e poi nel mare, dove già c’era un altro corso d’acqua.

Disegni e tavole antiche, d’altronde, ci testimoniano che nel XV secolo erano presenti numerosi mulini nell’attuale zona di Corso Garibaldi.

Gli ingegneri non calcolarono le conseguenze di questa attività: il corso d’acqua già presente all’Arenaccia raddoppiò le sue dimensioni e più volte fece esplodere i i collettori fognari, addirittura provocando una vittima negli anni ’70, con un’auto che sprofondò sotto terra. I seguenti lavori riuscirono a risolvere il problema.

Il Ponte di Casanova negli anni ’60: si intravede ancora il corso d’acqua, oggi tombato, del fiume.

L’ultima batosta che hanno avuto le antiche acque di Napoli è arrivata nel 1995: in quegli anni fu costruito il Centro Direzionale proprio sopra gli ultimi resti del corso d’acqua che molti individuano nel mitico Sebeto.
Ed oggi, fra nomi di strade che ricordano torrenti antichi e sotto le pompe idrovore che mantengono in piedi il Centro Direzionale, il sangue di Napoli scorre ancora vivo sotto i nostri piedi.

-Federico Quagliuolo

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Riferimenti:
Alfredo D’Ambrosio, Le strade di Napoli antica nella città moderna
Gino Doria, Le strade di Napoli

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