“Si Saliern tenesse ‘u puort, Napule fuss’ muort” è uno degli sfottò più famosi dei salernitani nei confronti dei napoletani. Eppure bisogna smentirlo: il Porto di Salerno è sempre esistito e, paradossalmente, per diverso tempo è stato molto più importante di quello di Napoli.
La cosa diventa ancora più interessante se incredibilmente fu proprio il porto e la vicinanza alla monarchia Sveva a condannare Salerno nel momento in cui fu scelta la nuova capitale continentale del Regno di Sicilia.
Una città mercantile
Abbiamo poche notizie sul Porto di Salerno prima della dinastia degli Svevi. La città, quand’era capitale del principato longobardo, fu enormemente arricchita dalle politiche del Duca di Benevento Sicardo, che mirava ad estendere i domini longobardi sul mare. Prima di allora, infatti, Salerno era un piccolo insediamento di pescatori e mercanti in un’ottima posizione strategica, mai sviluppato molto anche a causa della presenza della vicina Amalfi, che dominava l’intero mediterraneo.
Fu proprio per questa ragione che Sicardo ordinò la conquista della città della costiera e la deportazione di tutti i navigatori amalfitani a Salerno, in modo da dare un impulso economico alla città longobarda.
Re Manfredi e il porto di Salerno: la capitale commerciale del Mediterraneo
Quando camminiamo dalle parti del “Molo Manfredi”, troviamo in questo nome il massimo omaggio che i salernitani fecero al Re di Sicilia che si spese molto per favorire la città.
Il figlio del leggendario Federico II aveva infatti grossi progetti per Salerno che, seguendo la tradizione normanna, aveva individuato come capitale commerciale del Regno di Sicilia continentale.
Nei progetti del re svevo, infatti, i territori continentali dovevano vantare due sbocchi commerciali e centri politici: da un lato Salerno e dall’altro Manfredonia in Puglia, che nel medioevo era raccontata come una città “bella e degna di un imperatore”.
In quest’operazione, però, c’è un po’ di campanilismo: l’uomo più potente nel Sud Italia dopo i re Svevi era Giovanni da Procida che, nonostante il nome, era salernitano.
Amava moltissimo la sua città d’origine, tanto da convincere sia Federico II che Manfredi a investire risorse e denaro per restituirle una centralità politica che mancava da cent’anni.
Non a caso abbiamo anche l’istituzione della Fiera di Salerno nel 1259, sempre per opera del duo Manfredi\Giovanni da Procida: fu per secoli l’evento commerciale più importante del Mediterraneo intero e fu abolita solo nel XIX secolo.
Il porto che favorì Napoli capitale
Torniamo in quel fatidico XIII secolo, quando l’arrivo di Carlo d’Angiò a Napoli segnò definitivamente il destino di tutte le città della Campania, bloccandone la crescita e l’indipendenza: se infatti Capua era stata distrutta secoli prima e Benevento ceduta alla Chiesa, rimaneva solo Salerno a contendere il potere politico a Napoli.
Amalfi, indipendente da sempre, scelse invece la strada della fedeltà per conservare la sua libertà. E tornò a far traffici serenamente nel mediterraneo.
Sulla scelta di Napoli capitale abbiamo scritto questo approfondimento. In questa sede ci basterà sapere che fu proprio la vicinanza di Salerno alla monarchia sveva a condannarla: Re Carlo, che già non sopportava affatto i nobili meridionali e nemmeno amava le città di mare, non pensò nemmeno un attimo a stabilirsi nella città di Giovanni da Procida (che poi diventerà anche l’animatore dei Vespri siciliani proprio contro gli angioini), rischiando magari anche congiure e attentati.
L’importanza data a Salerno da re Manfredi, proprio con il suo porto, fu una delle ragioni principali che fecero prendere un’altra strada politica alla Storia.
Ed è così che il re francese si incamminò verso il Castel Capuano di Napoli. E Salerno, paradossalmente, si trovò con le pive nel sacco e con una certa ostilità da parte dei nuovi regnanti.
Fra il declino e la rinascita
Dopo l’arrivo degli Angioini a Napoli, il porto di Salerno rimase un importante scalo commerciale, ma la politica dei monarchi francesi investì con forza solo sullo sviluppo della capitale che, inevitabilmente, rubò traffici e mercato proprio a Salerno.
Fu così che ci troviamo ai tempi di Carlo di Borbone. Circa 400 anni dopo l’arrivo di Re Carlo d’Angiò, ci troviamo con un suo omonimo sul trono di Napoli, ma dalle discendenze italo-spagnole: le infrastrutture salernitane erano rimaste arretrate e poco sviluppate. E il porto di Salerno consisteva nel solo “Molo Manfredi”, per giunta flagellato dal fenomeno dell’insabbiamento che, a causa delle condizioni del terreno, porta i fondali a ridursi e le barche ad arenarsi.
I Borbone furono i primi in secoli ad investire sul rilancio del porto di Salerno, ma dovremo aspettare solo il 1900 per vedere lavori definitivi, con la costituzione dell’Autorità Portuale.
Negli anni ’50, l’Onorevole Carmine Di Martino, nei piani di ricostruzione per l’Italia promosse la mozione per la costruzione di un nuovo porto per la città, dalle parti dell’attuale zona Arechi, dove sorge lo stadio. I salernitani, con proteste accese, fecero bloccare i progetti.
Ed oggi è ancora il porto commerciale ad accogliere i visitatori che, dall’autostrada, stanno per arrivare a Salerno.
Dall’altro lato c’è la futuristica Stazione Marittima di Salerno, inaugurata nel 2016, che ha l’ambizione di lanciare la città anche nel mondo del turismo.
Insomma, se il porto troppo avanzato condannò il futuro politico del capoluogo 750 anni fa, nel III Millennio Salerno ha saputo ritrovare il suo motore economico, ritrovandosi in città con un porto che è diventato di nuovo simbolo di progresso ed eccellenza.
-Federico Quagliuolo
Riferimenti:
http://www.comune.salerno.it/allegati/25010.pdf
Storia del Porto di Salerno
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